L’evoluzionismo darwiniano conduce all’ateismo e al nichilismo

Famosi scienziati erano credenti

Argomento diffuso nella pubblicistica cattolica è quello che vede citati, a riprova del fatto che la mentalità scientifica nelle sue espressioni più alte non si pone affatto in contraddizione con la fede religiosa, grandi personalità della storia della scienza che si sono professate credenti: il filosofo della scienza Evandro Agazzi nota come la fede non si sia costituita storicamente come elemento discriminante circa l’adesione alla teoria dell’evoluzione: “nel caso dell’evoluzione non ci fu mai una contrapposizione intrinseca con la religione, poiché sin dagli inizi ci furono fautori e oppositori della teoria dell’evoluzione tanto religiosi quanto atei” (Evandro Agazzi, L’evoluzione: dai dati, ai fatti, alle spiegazioni, alle teorie e alle interpretazioni filosofiche, in AMCI [Assocazione Medici Cattolici Italiani], Evoluzione biologica. Dialogo tra scienza, filosofia e teologia, San Paolo, p. 78); tant’è che addirittura “Secondo Darwin […] l’evoluzione ha avuto luogo nella creazione” (Evandro Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, Fondazione Achille e Giulia Boroli, 2008, p. 101). Fiorenzo Facchini, sacerdote cattolico e professore emerito di Antropologia presso l’Università degli Studi di Bologna, preferisce individuare invece personalità ben determinate: “L’evoluzione dell’universo rimanda ad una causa superiore esterna all’universo. È la conclusione cui sono giunti scienziati come Newton, Galileo, Keplero, Buffon, Einstein e tanti altri” (Fiorenzo Facchini, L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, San Paolo, 2006, p. 18); ed ancora: “fra i darwinisti convinti vi sono credenti altrettanto convinti. Basti ricordare qui l’ebreo Theodosius Dobzhansky, o il cattolico Francisco Ayala” (Fiorenzo Facchini, Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca book, 2008, p. 120). A titolo esemplificativo della pervasività di questo argomento, si vedano le pagine esplicitamente dedicate all’elencazione di queste personalità su siti come quello dedicato alla Documentazione Interdisciplinare di scienza e fede (Scienziati credenti dell'epoca moderna e contemporanea, “disf.org”, consultato in data 13 maggio 2015) o quello della Unione dei Cristiani Cattolici Razionali (Scienziati credenti, cristiani e cattolici, “uccronline.it”, consultato in data 13 maggio 2015).

 

Un’accusa strumentale

Gli studiosi che rifiutano la possibilità o la necessità di una connessione fra teoria evoluzionistica e fede rivelata rispondono invece alla critica di condurre ad ateismo e nichilismo secondo due differenti strategie: la prima è quella di respingere direttamente l’accusa volta al materialismo ed al naturalismo di essere incapaci di fondare una filosofia morale valida (Dawkins, Gould, Pievani, Wilson), mentre la seconda è volta a rendere evidente il carattere strumentale dell’accusa, fallace nel suo argomentare che sovrappone conseguenze di tipo storico ed in ultima analisi contingenti a questioni di coerenza scientifica: Pievani, per esempio, mostra come “La teoria darwiniana viene […] associata, per fare confusione, ad alcune sue estrapolazioni per nulla necessarie ma particolarmente sgradite, come appunto l’eugenetica razzista […] La letteratura trash che cerca, ai limiti della decenza, di infangare la teoria dell’evoluzione associandola alla chirurgia sperimentale nazista e alla più cupa alienazione umana […] cade in realtà nello stesso errore del darwinismo sociale che condanna: sovrapporre presunte implicazioni morali, sociali e politiche di una teoria scientifica alla sua validità nel merito” (Telmo Pievani, Creazione senza Dio, Einaudi, 2006, pp. 94-95). Oltre a tale questione epistemologica, egli punta a mostrare il fatto che “dalla teoria dell’evoluzione del comportamento umano sono state fatte discendere implicazioni morali pressoché di ogni orientamento, in una gamma continua che va dalla più severa lotta per la sopravvivenza in un mondo competitivo alla cooperazione armoniosa fra partner in un ecosistema equilibrato” (Telmo Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, 2005, p. 214), e che dunque non è a partire dalle sue “conseguenze inconseguenti” che può essere giudicata la teoria.

Oltre a confutare tali argomenti “a posteriori”, Pievani afferma la piena capacità di fondare un’etica ed avere valori morali nella cornice di una metafisica materialista e naturalistica: “Confondendo il dato di fatto dell’evoluzione con lo spauracchio dell’evoluzionismo discendono errori a catena, come quello smaccato di pensare che per un naturalista la mancanza di un senso finalistico dell’evoluzione debba implicare di per sé anche una mancanza del ‘senso della vita’, una guerra anarco-darwiniana di tutti contro tutti, una resa fatale all’imperatore delle tenebre, impersonato dall’orrido caso. Pure assurdità. Si può trovare un meraviglioso senso esistenziale della vita, per nulla pessimistico e per nulla nichilistico, anche senza pensare che tutto abbia un fine trascendente e senza credere che il mondo sia popolato da spiriti, energie esoteriche e forze nascoste. Anzi, personalmente trovo molto più avvincente sul piano etico lottare per la giustizia e per la pace proprio perché la loro vittoria non è un destino già scritto nel cosmo o nella logica dell’essere” (Telmo Pievani, Con buona pace dei teologi (“eretici” e non), “MicroMega”, 2014, n.1, p. 26).

 

Etiche materialistiche

Anche Stephen J. Gould, paleontologo della Harvard University, rifiuta tale accusa rivolta all’evoluzionismo darwiniano quando afferma che con l’accettazione della piena naturalità dell’essere umano (dunque col rifiuto di qualsivoglia salto ontologico) non si perde che un antiquato concetto di anima mentre si guadagna invece “una egualmente esaltante visione della nostra unione col resto della natura” (Stephen J. Gould, Ever since Darwin, Norton, 1977, trad. it. Maurizio Paleologo, Questa idea della vita. La sfida di Charles Darwin, Editori Riuniti, 1984, pp. 42-43), mentre Edward O. Wilson, etologo e fondatore della sociobiologia (The diversity of life, Harvard University Press, 1992, trad. it. Diego Maria Rossi, La diversità della vita. Per una nuova etica ecologica, Rizzoli, 1993) ha esplicitamente voluto fondare, sui principi del darwinismo, una filosofia morale da lui denominata “biofilia” o “umanesimo scientifico”.

In risposta a questa accusa che vede la metafisica materialista, su cui si sostiene il darwinismo, incapace di fondare una teoria etica in assenza della garanzia divina, Dawkins si profonde in un elenco di filosofi che hanno voluto costruire morali sulla base del solo naturalismo e senza il ricorso alla trascendenza (Richard Dawkins, The God delusion, Bantam Books, 2006, trad. it. Laura Serra, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, 2006, pp. 225-232).

Il darwinismo minaccia la dignità umana

“L’evoluzionismo darwiniano non è Scienza Galileiana di primo livello, né di secondo né di terzo livello. Ecco perché non può condurre all’Ateismo” e “per lo stesso motivo […] non può condurre al Nichilismo”. E' quanto afferma il prof. Antonino Zichichi, intervistato dalla redazione Pro\Versi il 3 aprile 2016.
“Insistere sull’evoluzione biologica della specie umana è legittimo se ad essa viene dato il ruolo di ricerca in un campo applicativo della materia biologica. Invece il discorso non si ferma qui. L’evoluzione biologica della specie umana è uno strumento usato costantemente per mettere in discussione i valori trascendentali della nostra esistenza” (Antonino Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore,1999, p. 91); argomentazioni di questo genere riprendono la condanna dell’evoluzionismo materialista (dunque, esclusivamente di quello darwiniano) espressamente formulata da Giovanni Paolo II: “le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona” (Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 22 ottobre 1996, “w2vatican.va”, consultato in data 13 maggio 2015); e si articolano nel rifiuto della cornice metafisica della teoria darwiniana, arbitrariamente e intenzionalmente introdotta dai sostenitori del materialismo etico, oppure nell’attribuzione, a coloro che accettano la teoria dell’incapacità di avere valori morali, argomentata spesso con l’associazione della teoria a fatti storici di largo impatto emotivo, come la politica eugenetica nazionalsocialista, o, più in generale, il darwinismo sociale.

 

Darwinismo e nichilismo

Per esempio, si veda quanto scriveva Lucetta Scaraffia: “Neppure i più recenti seguaci del biologo inglese si accorgono delle tragiche derive eugenetiche che nascono dalla teoria delle selezione della specie” (Lucetta Scaraffia, E Darwin inventò il razzismo, “Avvenire”, 22 gennaio 2004); o, in un contesto storico-filosofico, quanto sostenuto da Evandro Agazzi: “Risultano quindi patetici gli sforzi di non pochi intellettuali neodarwinisti di prendere le distanze dal darwinismo sociale e dall’eugenetica, quasi che fossero conseguenze aberranti tratte indebitamente dalla teoria neodarwiniana dell’evoluzione. Esse lo sono, infatti, ma a parte che non si pretenda, come invece questi stessi autori molto spesso pretendono, che faccia parte di tale teoria anche la ‘metafisica di sfondo’ materialistica di cui si è detto. L’esempio probabilmente più paradigmatico di questa schizofrenia è fornito da Richard Dawkins, notissimo per aver preteso che dal darwinismo seguano logicamente l’ateismo e la natura materiale dell’uomo” (Evandro Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, Fondazione Achille e Giulia Boroli, 2008, p. 95). All’autore preme separare il buono della teoria evoluzionista dalla metafisica atea e materialista propagandata dal neodarwinismo della sintesi moderna: “L’immagine della natura offerta dalla metafisica di sfondo del neodarwinismo riduzionista è quindi quella di un mondo in cui è assente ogni senso [...] L’esclusione della finalità e di un ‘disegno’ ordinato del mondo si presta efficacemente, agli occhi di molti, per appoggiare razionalmente la loro visione del mondo profondamente atea e materialista” (Evandro Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche..., cit., p. 91-95), come sostiene del resto anche ne L’evoluzione: dai dati, ai fatti, alle spiegazioni, alle teorie e alle interpretazioni filosofiche, (in AMCI [Assocazione Medici Cattolici Italiani], Evoluzione biologica. Dialogo tra scienza, filosofia e teologia, San Paolo, 2011, pp. 78-105, p. 78): “proprio su questi contenuti fecero leva, invece, parecchi intellettuali antireligiosi, dando di essi un’impronta in senso ateo-materialista che pretesero di far passare per una conseguenza logica delle conoscenze scientifiche, anche se di fatto non lo è”.

La metafisica materialista predicata intenzionalmente dal darwinismo è dunque la metafisica di un mondo da cui è assente ogni senso, la cui accettazione conduce, secondo il paleoantropologo Fiorenzo Facchini, “all’abbandono della dottrina della dignità umana […] porta a un offuscamento del concetto di persona, a un arretramento della coscienza e dei valori morali […] espone l’uomo a possibili deviazioni e abusi” (Fiorenzo Facchini, Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale, Jaca Book, 2012), mentre secondo Vito Mancuso rappresenta “l’idea [...] di chi ritiene che nulla sia pensato e voluto, nulla abbia un senso più ampio che lo contenga, e quindi un senso della vita semplicemente non ci sia, ma si diano tanti piccoli sensi che ognuno si inventa da sé in una natura che è bellum omnia contra omnes, ‘guerra di tutti contro tutti’, all’insegna di un mondo come anarchia” (Vito Mancuso, Il principio passione, Garzanti, 2013, p. 120), alla quale egli oppone la dottrina cattolica della creazione divina attuata attraverso il ricorso alle cause seconde dell’evoluzione finalizzata.

 

L’evoluzionismo conduce all’ateismo

Rifiutando la consequenzialità tra ateismo e nichilismo, l’etologo britannico Richard Dawkins e il fisico statunitense Victor Stenger rivendicano invece quella fra mentalità scientifica in generale ed ateismo, citando, a favore di questa connessione, dati statistici e sondaggi che mostrano come i naturalisti credenti (che credono in un Dio individuale, per essere precisi) non sono che un’esigua minoranza rispetto al totale: “In un sondaggio realizzato nel 1998, solo il 7% dei membri dell’Accademia delle Scienze statunitense, l’élite degli scienziati americani, ha dichiarato di credere in un Dio individuale”, riporta Victor Stenger (God: the failed hypothesis. How science shows that God does not exist, Prometheus Books, 2007, trad. it. Amedeo Romeo, Perché la scienza non crede in Dio. La sfida perduta della fede alla ragione, Grandi e associati, 2008, p. 10; lo stesso studio è citato e documentato in Edward J. Larson, Larry Witham, Leading scientists still reject God, “Nature”, 394, 1998, p. 313, e dal genetista Richard Dawkins, The God delusion, Bantam Books, 2006, trad. it. Laura Serra, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, 2006, p. 374).

Oltre a questo studio, Dawkins ne cita uno analogo, all’epoca in fase di pubblicazione, condotto da Elisabeth Cornwell e Michael Stirrat presso la britannica Royal Society, i cui risultati mostrano una grossa disparità quantitativa fra gli scienziati per quanto riguarda l’opinione circa la compatibilità fra fede rivelata e teoria darwiniana dell’evoluzione: dei 1074 membri della Royal Society ha risposto il 23% (una componente rilevante, per un sondaggio condotto per via telematica), ed il risultato fu di 213 non credenti (che affermavano di essere “completamente contrari” alla domanda circa la loro credenza in un Dio personale) contro 12 credenti (che si dichiaravano “d’accordo” o “completamente d’accordo” rispetto allo stesso interrogativo); (Richard Dawkins, L’illusione di Dio..., cit., p. 105).