Banche italiane a rischio?
Ghisolfi vs Brancaccio
Le banche italiane sono solide oppure a rischio fallimento? Il sistema bancario italiano è sano oppure le difficoltà bancarie ne preannunciano la crisi? Beppe Ghisolfi, vicepresidente dell’ABI, e Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio, si confrontano sulla solidità del sistema bancario, analizzando le conseguenze di acquisizioni estere di asset bancari e la possibilità di forme di controllo sui capitali.
Ghisolfi, innanzitutto, sostiene che la rilevante presenza di operatori esteri in Italia e l’acquisizione di banche italiane da parte di gruppi internazionali, aumentando la concorrenza, apporta indubbi vantaggi per i clienti. D’altra parte, secondo Brancaccio, per le imprese della periferia dell’eurozona l’impossibilità di rimborsare i debiti contratti con le banche influisce negativamente sui sistemi bancari dei loro paesi: la banche saranno costrette a svendere i propri asset ad acquirenti esteri. Secondo Ghisolfi, poi, le difficoltà bancarie non sono dovuta al sistema bancario ma ad altri fenomeni, come il crollo del prezzo del petrolio e le tensioni geopolitiche, e non mettono a rischio la tenuta dell’eurozona. Al contrario, Brancaccio suggerisce che storicamente le unioni monetarie entrano in crisi quando il sistema bancario di un paese membro non riesce a garantire la propria solvibilità e se la classe dirigente di quel paese decide, per rifinanziare il sistema bancario, di ripristinare un controllo sulla emissione di moneta invece che svendere gli asset bancari ad acquirenti esteri Infine, Ghisolfi nota come la scelta della libera circolazione dei capitali risale agli anni ’70. Per creare sviluppo e crescita occorre certo una regolamentazione del sistema finanziario ma è impensabile tornare a forme di controllo dei movimenti di capitale. Al contrario, per Brancaccio, è opportuno attuare forme di controllo dei movimenti di capitali, previste in situazioni eccezionali dai trattati europei, nei confronti di paesi, come la Germania, che, accumulando surplus commerciali verso l’eurozona, si rendono responsabili degli squilibri commerciali e finanziari intraeuropei.