Privatizzazione dei beni culturali

Il dibattito sulla privatizzazione del patrimonio storico-artistico italiano, cioè l'introduzione di forme di gestione con la partecipazione dei soggetti privati, ha assunto un ruolo centrale nella sfera politica e in quella socio-economica. Tra le ipotesi, quelle dell’alienazione, della cartolarizzazione, della cessione a tempo determinato, dell’affidamento della gestione a fondazioni no profit.

TESI FAVOREVOLI

TESI CONTRARIE

01 - La vendita del patrimonio immobiliare pubblico di valore storico e culturale rappresenta una valida soluzione per sanare il debito pubblico

L’Italia possiede 1.600 miliardi di beni non finanziari (edifici, terre, risorse del sottosuolo): privatizzarli aiuterebbe a sanare il debito pubblico. Tra le forme possibili ci sono l’alienazione, la cartolarizzazione, la concessione del bene a tempo determinato: i soggetti privati, beneficiari della concessione, assumono la gestione e riconoscono una quota dei proventi al soggetto pubblico.

Per privatizzare, il governo deve chiarire la distinzione tra Demanio Generale e Culturale. Solo la prima categoria di beni può essere venduta. Le proprietà con valore storico o cultuale sono inalienabili, poiché proprietà della comunità. Economicamente “lo Stato italiano trarrà dalla privatizzazione solo risibili benefici economici, in quanto mantiene ancora a sé l’onere della tutela”.

02 - Le fondazioni miste sono il perfetto punto d’incontro tra pubblico e privato: il bene rimane di proprietà dello Stato e viene valorizzato dalla gestione privata

Dare la gestione dei beni culturali a fondazioni miste è la nuova frontiera di alleanza tra pubblico e privato. Il bene culturale rimane un patrimonio disponibile al pubblico, ma diventa anche un’attività d’impresa, sostenuta dai capitali privati. I progetti pilota dimostrano che le reti miste possono conseguire risultati che le istituzioni pubbliche da sole non sono state in grado di raggiungere.

I ruoli decisionali del pubblico e del privato nella gestione dei beni culturali non possono essere equiparati: i fondi privati saranno sempre minimi di fronte al valore dei beni. Con le fondazioni miste, lo Stato tende a mettersi in minoranza. C’è il rischio che questi network misti non si responsabilizzino nel lungo periodo e tali progetti portino un aumento dei costi di gestione del pubblico.

03 - In Italia esistono enti privati no profit capaci di gestire, tutelare e valorizzare il nostro patrimonio culturale

Per evitare legami di tipo politico con le strutture pubbliche e mere finalità imprenditoriale, si deve affidare la gestione dei beni a fondazioni o enti privati no profit che abbiano finalità culturali e artistiche di conservazione dei beni culturali e di servizi sociali. Un esempio sono le fondazioni di origine bancaria, che investono parte dei propri profitti nella cultura e nel sociale.

Il modello del National Trust, ripreso dal FAI, si pone in un quadro diverso dal nostro: in Italia, la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico è sancita dall’art. 9 della Costituzione, mentre in Inghilterra, il National Trust è nato per rimediare alla carenza di normative di tutela. È discutibile l’operato dell’organizzazione inglese, che ha operato solo per trarre profitto.

04 - Sgravi fiscali per i privati che investono nella cultura li motiverebbe a destinare capitali per il restauro e la valorizzazione dei beni culturali

Col decreto cultura Art Bonus, vengono garantiti incentivi fiscali per i privati che decidono di investire e fare donazione sul restauro e la conservazione di beni culturali pubblici. Ciò garantirà l’arrivo di ingenti capitali da destinare alla tutela e valorizzazione dei siti culturali, storici e artistici.

Gli unici risultati delle sponsorizzazioni da parte dei privati sarebbero la commercializzazione e la mercificazione del patrimonio culturale. Gli interessi economici dei privati andrebbero a sovrapporsi a quelli culturali. Oggi si parla di “neomecenatismo” del grande capitalismo: donazioni in cambio di un ritorno di immagine, o anche il tentativo di assumere la direzione culturale del paese.

05 - Gli interessi dei soggetti privati differiscono da quelli pubblici, e ciò influisce negativamente sulla qualità dell’offerta culturale

Dare la gestione dei beni culturali ai privati delega funzioni come la formazione della memoria e dell’identità comunitarie, manipolabili da soggetti privati, i cui interessi differiscono da quelli sociali. La gestione imprenditoriale diminuirebbe la qualità dell’offerta culturale. I “musei-impresa” offrirebbero al pubblico ciò che vuole, non contribuendo alla crescita culturale della comunità.