La magistratura in Italia è orientata politicamente
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il dibattito sull’orientamento politico della Magistratura è aperto in molti moderni sistemi democratici, a prescindere dalla previsione di garanzie d’indipendenza che detti sistemi possono contenere nelle loro Costituzioni e normative di settore. Tale dibattito è aperto anche in Italia, nonostante la previsione a livello costituzionale di principi di garanzia, tra i quali quelli di imparzialità, autonomia e indipendenza della Magistratura. L’idea dell’orientamento politico della Magistratura non ha una precisa connotazione politica: si è infatti contrapposta nel dibattito la tesi dell’esistenza di una Magistratura ritenuta filo-governativa a quella dell’esistenza di una Magistratura anti-governativa, rispettivamente sostenute da ciascuna delle diverse parti politiche a seconda del ruolo istituzionale ricoperto (di governo o di opposizione). Tuttavia, in Italia, tale opinione è riemersa prepotentemente dagli anni Novanta in poi, a seguito di due eventi cruciali nella storia della Repubblica – la stagione di “Mani Pulite" e la “discesa in campo” politica di Silvio Berlusconi – ed è stata causa di un lungo scontro politico e di un grave conflitto istituzionale. Chi è contrario a tale idea, ne denuncia infatti una natura intrinsecamente destabilizzante, o addirittura sovversiva, poiché essa andrebbe a minare alcuni principi base dello stato di diritto: quelli della suddivisione dei poteri e dell’indipendenza e imparzialità di quello giudiziario.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il dibattito sull’orientamento politico della Magistratura è aperto in Italia come in molti altri sistemi democratici moderni. Tale idea non ha una precisa connotazione politica. La Magistratura è tacciata di volta in volta come filo-governativa o come anti-governativa. I contrari all’idea che la Magistratura sia orientata politicamente ne denunciano la natura sovversiva e destabilizzante.
Il CSM tutela l’autonomia della Magistratura rispetto all’esecutivo. Essa ha ripensato il proprio ruolo in ragione dell’efficienza, creando un conflitto tra l’idea di tutelare i propri membri e l’obiettivo di essere un organo certificatore della qualità dei propri amministrati. Il CSM è un modello positivo di organizzazione giudiziaria, in ragione della capacità di difenderne l’indipendenza.
Chi non crede nel CSM quale garante della neutralità politica della Magistratura, lo accusa di opporsi a ogni tentativo di riforma del suo ordinamento, aggravando lo stato di paralisi che caratterizza la giustizia in Italia. Il CSM appare condizionato da logiche corporative. Solo un vero ripensamento del sistema elettorale del CSM può assicurarne la piena neutralità e indipendenza.
La politicizzazione della Magistratura italiana, attraverso un “disegno politico e strategico”, è in grado di provocare un vero e proprio uso politico e distorto della giustizia. Attraverso le sentenze, la Magistratura induce distorsioni dell’agenda politica dei governi e ne mina le funzioni, utilizzando il suo ruolo come arma di competizione politica.
La quasi totalità dei magistrati respinge le accuse di esistenza di una strategia politica della Magistratura, contestando in particolare l’ipocrisia dell’accusa: mascherata dal falso intento di rendere più efficiente la giustizia, nasconde la volontà di mettere sotto controllo i magistrati, in specie la pubblica accusa, e avere così maggiori garanzie d’impunità.
Il tema della politicizzazione riguarda anche la possibile attività politica del magistrato, in seguito a nomine o alla partecipazioni a manifestazioni politiche. Tali attività non sono ammissibili e costituiscono un’anomalia italiana. Il magistrato che entra in politica, per quando sospenda l’attività, ha un vantaggio sull’avversario, poiché conoscendo il contesto della competizione elettorale.
Un divieto normativo di qualsiasi attività politica per il magistrato non sarebbe conforme alla Costituzione, poiché sarebbe una limitazione dei diritti politici, riconosciuti a tutti i cittadini. Escludere a priori qualsiasi tipo di coinvolgimento ideologico nel giudicare sarebbe irreale, poiché il magistrato, in quanto persona, parte da una propria visione del mondo.
La politicizzazione della Magistratura in Italia è più accentuata rispetto ad altri paesi democratici. Essa è evidente nel condizionamento politico del CSM; nell’associazionismo dei magistrati, nella presenza di correnti politiche all’interno dell’ANM; nelle dichiarazioni politiche di alcuni magistrati. Esiste uno strapotere della Magistratura, che ne impedisce qualsiasi riforma.
La Magistratura non è politicizzata, ne è prova l’operatività dell’ANM, baluardo per la difesa dell’indipendenza dei magistrati. Riguardo alle correnti politiche all’interno dell’ANM, la stessa Magistratura replica che le correnti ideologiche sono fisiologiche in un organo così rappresentativo. Il suo pluralismo di pensiero, inoltre, non sempre corrisponde alla suddivisione politica del Paese.
L’ex ministro Luca Lotti intercettato deve dimettersi da parlamentare
Le maggiori critiche al Partito Democratico sul caso delle intercettazioni di Luca Lotti all’interno dell’indagine sulle nomine del Csm sono arrivate dal Movimento 5 Stelle, Lega e da Fratelli d’Italia. In particolare, sono intervenuti l’ ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il deputato pentastellato Michele Gubitosa, il senatore Gianluigi Paragone, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il senatore Alberto Balboni e Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
Molti esponenti del Partito Democratico sono intervenuti per difendere la scelta di autosospensione dal partito di Lotti, che resta comunque non indagato. Hanno parlato pubblicamente della vicenda, il segretario Nicola Zingaretti, Luigi Zanda, Roberto Giachetti, il vicepresidente della Camera dei deputati Ettore Rosato. Luca Lotti si è difeso in un lungo post pubblicato sulla propria pagina Facebook.
Il CSM garantisce la neutralità politica della Magistratura
Chi non crede in un CSM quale effettivo garante della neutralità politica della Magistratura, lo accusa di essersi per troppo tempo opposto ai tentativi di riforma del suo ordinamento, contribuendo così ad aggravare lo stato di paralisi che ancora caratterizza la giustizia in Italia e il conflitto tra maggioranza e opposizione in Parlamento sui progetti di riforma. Sono soprattutto maggior funzionalità, efficienza e trasparenza ciò che l’ordinamento giudiziario deve ancora raggiungere, partendo proprio da un esercizio più rigoroso ed efficace delle funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Tuttavia, nonostante alcune recenti aperture, il CSM appare ancora condizionato da logiche corporative e di appartenenza correntizia nell’esercizio delle proprie funzioni. L’accusa di poca trasparenza, che in Italia viene fatta a diverse catene di poteri presenti nella politica, nella burocrazia, nelle categorie professionali, nell’economia e nelle Università, riguarda purtroppo anche la Magistratura. Solo un vero ripensamento del sistema elettorale del CSM può assicurarne la piena neutralità e indipendenza da interessi di parte, condizionamenti politici e logiche corporative.
Il CSM nasce nel disegno dei costituenti come organo di tutela della autonomia e indipendenza della Magistratura rispetto al potere esecutivo. Tuttavia, nel corso degli anni ha dovuto ripensare il proprio ruolo in ragione della pressante esigenza di garantire l’efficienza del suo operato. La dialettica tra queste due finalità ha prodotto un conflitto al suo interno tra l’idea di tutelare i propri membri, sostenuta dalla componente che proviene dalla Magistratura e che risponde comunque ai suoi elettori-magistrati, e l’obiettivo di diventare un organo certificatore della qualità dei propri amministrati. Peraltro, alla nuova esigenza di efficienza del suo operato il CSM ha risposto attraverso un processo di rinnovamento dei criteri di valutazione dell’operato dei magistrati che valorizzano la professionalità e di evoluzione delle procedure di controllo, con l’aumento della loro frequenza. In ogni caso il CSM italiano, pur se migliorabile, resta in realtà un modello positivo di organizzazione giudiziaria, soprattutto per la propria capacità di difenderne l’autonomia e l’indipendenza, che ha influenzato sensibilmente i sistemi costituzionali di altri paesi europei.
La Magistratura italiana ha un proprio disegno politico
La politicizzazione della Magistratura italiana non solo esprime una tendenza, collettiva e individuale, in seno ai propri organi di rappresentanza e di autogoverno, ma anche attraverso un “disegno politico e strategico” in grado di provocare un vero e proprio uso politico e distorto della giustizia. Attraverso sentenze giudiziarie politiche, infatti, la Magistratura induce distorsioni dell’agenda politica dei governi e ne mina le funzioni, utilizzando strumentalmente il ruolo come arma di competizione politica. Considerando infatti complessivamente le vicende giudiziarie di Tangentopoli, i processi sulle commistioni tra mafia e politica e mafia e i numerosi procedimenti giudiziari avviati contro l’ex presidente del Consiglio Berlusconi, si sostiene che la Magistratura italiana sia così politicizzata da potere essere assimilata a un partito, che abbia operato politicamente a sostegno della sinistra. In questo senso i magistrati faziosi sono stati definiti “toghe rosse”, ad indicare la chiara riferibilità del loro operato a quella specifica parte politica.
Mentre la questione degli equilibri tra politica e Magistratura è sostenuta anche da parte di quest’ultima, favorevole a mettere in discussione l’assetto dell’ordinamento giudiziario, per contro la quasi totalità dei magistrati respinge, considerandole delegittimanti dello stato di diritto, le accuse di esistenza di una strategia politica della Magistratura, che si realizza attraverso inchieste, processi e condanne, con l’obiettivo di eliminare gli avversari di una precisa parte politica. La Magistratura contesta in particolare l’ipocrisia di quest’accusa evidenziando che essa è mascherata dal parallelo falso intento di rendere più efficiente la giustizia, mentre la vera volontà di certi politici, secondo la Magistratura, è quella di poter mettere sotto controllo i magistrati, in specie la pubblica accusa, e avere così maggiori garanzie di impunità. L’azione, sostenuta dall’argomento del disegno politico della Magistratura, che i magistrati ritengono più pericolosa, inoltre, è togliere l’iniziativa giudiziaria al potere del Pubblico Ministero e metterla in qualche modo alle dipendenze del potere politico o esecutivo.
Il magistrato non deve poter svolgere direttamente attività politica
La questione di una Magistratura orientata politicamente non riguarda solo il potere giudiziario, ma anche il tema della possibile attività politica esercitata direttamente da un magistrato, in seguito a nomine elettive o alla partecipazioni a manifestazioni politiche. Queste attività non sono ammissibili e costituiscono un’anomalia italiana. Tale critica arriva anche da alcuni esponenti interni della Magistratura che sottolineano l’incompatibilità tra l’attività giudiziaria svolta da giudici o pubblici ministeri e la successiva elezione a parlamentare. Benché la carica politica si eserciti con la contemporanea sospensione dell’attività di magistrato, l’ex-magistrato, o magistrato in aspettativa, gode di un’indebita posizione di vantaggio verso il proprio avversario politico, conoscendo, in ragione del suo precedente ruolo, il contesto della competizione elettorale. Inoltre, la critica si rivolge verso gli atteggiamenti di partecipazione politica (come le manifestazioni pubbliche), protagonismo e personalizzazione di taluni magistrati, nell’esercizio delle loro specifiche funzioni giuridiche, che sarebbero incompatibili con le normali funzioni di amministrazione della giustizia.
Pensare ad un divieto di qualsiasi forma di partecipazione politica dei magistrati nell’esercizio o meno della loro funzione, costituisce un falso problema, spesso sollevato senza considerare la specificità del compito del magistrato,cioè perseguire i reati e giudicare fatti e persone, nel contesto della società in cui opera. La previsione di un divieto normativo specifico di qualsiasi attività od espressione politica per il magistrato non sarebbe conforme alla Costituzione, che già prevede opportunamente il divieto di iscrizione a partiti politici. Un eventuale divieto di svolgimento dell’attività politica tout court per i soli magistrati rappresenterebbe una limitazione in contrasto con l’esercizio dei primari diritti politici, che devono essere riconosciuti a tutti i cittadini. Inoltre, con riferimento al lavoro del magistrato, che sia giudice o pubblica accusa, escludere a priori qualsiasi tipo di coinvolgimento politico o ideologico nella formulazione del proprio giudizio sarebbe impossibile, essendo naturale che il magistrato, in quanto persona, anche nella formulazione della sua decisione, deve partire per forza da una propria soggettiva visione del mondo.
La Magistratura italiana è politicizzata
Per alcuni autori, la politicizzazione della Magistratura in Italia è esplicita, conseguenza della peculiare formazione dell’ordinamento giudiziario italiano nel dopoguerra e più accentuata rispetto a quella che si può riscontrare in tutti gli altri paesi occidentali democratici. Essa è resa evidente da molteplici fattori: la lottizzazione politica del Consiglio Superiore della Magistratura, organo costituzionale di autocontrollo della Magistratura, che avrebbe subito il condizionamento delle correnti politiche; l’associazionismo esasperato dei magistrati, con la presenza di diverse e incisive correnti politiche all’interno dell’Associazione Nazionale dei Magistrati (ANM); l’abitudine di taluni magistrati di esternare le proprie convinzioni politiche attraverso la loro adesione o partecipazione a partiti e a manifestazioni politiche; le dichiarazioni ai media e l’intervento diretto sulle attività di Governo e Parlamento, soprattutto in merito alla formazione delle leggi che li riguarderebbero. Da qui la denuncia di uno “strapotere” della Magistratura italiana, che impedirebbe pertanto qualsiasi tentativo di riforma della medesima.
Non esiste una politicizzazione della Magistratura, ne è prova l’esistenza e l’operatività dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), organismo unitario di riferimento che ha rappresentato invece un baluardo per la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati e una garanzia per i cittadini. Rispetto all’accusa delle correnti politiche all’interno del medesimo organismo, un parte maggioritaria della stessa Magistratura e soprattutto dei suoi vertici istituzionali replica che le correnti ideologiche sono una presenza fisiologica all’interno di un organismo che raggruppa il 90% dei magistrati italiani, che ci sarebbero sempre state e siano anzi conseguenza del normale pluralismo di pensiero. La storia della Magistratura italiana dimostra inoltre che il pluralismo di pensiero in essa presente non è affatto sempre corrisposto alla suddivisione partitica della scena politica nazionale. In questo modo si respinge quindi anche l’accusa di un Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) eletto e lottizzato secondo le stesse percentuali politiche del Parlamento.