Riforma federalista dello Stato italiano
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il tema del federalismo, legato alla vita del nostro paese fin da prima dell’unificazione, è uno dei più accesi e discussi nel dibattito politico italiano contemporaneo. Negli ultimi decenni la discussione si è accesa maggiormente sul tema del federalismo fiscale, dividendo i pareri degli esponenti del mondo politico e degli esperti del settore economico-finanziario.
Il dibattito si allarga a una serie di argomenti: il binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo, ovvero il dibattito tra chi vede il federalismo come una forma di organizzazione statale di tipo divisorio e chi, invece, come una forma di tipo aggregante; il federalismo nell’era della globalizzazione, dibattito che tende a stabilire se il federalismo sia o meno in grado di rispondere adeguatamente alle grandi sfide e ai soggetti della globalizzazione; “questione meridionale” e “questione settentrionale”, ovvero il ruolo del federalismo rispetto al rapporto tra Nord e Sud Italia; in ultimo, i costi del federalismo, per comprendere se il sistema federalista sarebbe in grado di ridurre e razionalizzare le spese statali o, al contrario, se rappresenterebbe un aumento dei costi rispetto ai sistemi accentrati
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il tema del federalismo è uno dei più accesi e discussi nel dibattito politico italiano, soprattutto riguardo il federalismo fiscale. Il dibattito si allarga a una serie di argomenti: il binomio federalismo centripeto-federalismo centrifugo; il federalismo nell’era della globalizzazione; “questione meridionale” e “questione settentrionale”; i costi del federalismo rispetto ai sistemi accentrati.
Il federalismo ridurrebbe gli sprechi, dato che gli enti locali sarebbero responsabili dei bilanci, poiché autonomi per una quota di spesa, e, per la quota di rimesse statali, riceverebbero fondi parametrati ai “costi standard”. Gli esempi di federalismo funzionante dimostrano che gli alti costi burocratici dei sistemi federali si traducono in guadagno, vista la razionalizzazione delle spese.
Il federalismo causerebbe l'aumento della pressione fiscale per gli extra-costi dovuti al caos organizzativo degli di transizione; la perequazione potrebbe obbligare le Regioni virtuose a versare un doppio contributo di solidarietà; il rischio che la burocrazia centrale non venga ridotta. Al Sud persisterebbero le cause degli sprechi: infrastrutture, burocrazia, corruzione, clientelismo.
La Lega Nord pone, accanto alla “questione meridionale”, quella “settentrionale”: il recupero delle risorse drenate dallo Stato centrale e la protezione dalle minacce dall’esterno. La maggiore autonomia responsabilizzerebbe le Regioni che, se divenissero enti di governo, diverrebbero lo snodo tra il centro e le autonomie locali e la leva per riequilibrare il divario tra le varie aree del paese.
L’immagine di un Sud parassitario è un presupposto falso. Così come i ricchi del Nord, anche i ricchi del Sud “mantengono” i poveri delle due regioni. Il problema delle troppe risorse verso il Meridione non sussiste: quest’ultimo non spende troppo, usa male i soldi. Decentrare accrescerebbe la corruzione. La soluzione non è al di fuori dello Stato unitario, ma nel correggere lo statalismo.
L’integrazione globale sta indebolendo le politiche nazionali. La politica continua a muoversi entro vecchi schemi di controllo territoriale, mentre l’economia si sposta più rapidamente con le reti telematiche. Oggi il capitale è meno legato al territorio. Più autonomia alle realtà locali comporta il rischio di ripiegamenti localistici con conseguente incapacità di guardare al mondo globalizzato.
Lo Stato nazionale è piccolo per le sfide della globalizzazione e grande per le questioni sub-nazionali. L’autonomia delle realtà locali è la risposta alle crisi identitarie dovute all’indebolimento delle politiche nazionali; è un valido modello economico, poiché permetterebbe l’aggregazione di imprese che avrebbero nel territorio un punto di riferimento, pur proiettate in mercati globali.
Essendo più vicini ai cittadini, i governi locali sono in grado di valutare meglio le loro esigenze di beni e servizi pubblici. Decentrare significherebbe: maggiore efficienza; rafforzamento della democrazia e riduzione della corruzione, dato che aumenterebbe il potere di controllo; miglioramento della comunicazione tra politici e cittadini.
La dimensione troppo piccola del governo locale produrrebbe effetti economici negativi. I cittadini potrebbero non avere informazioni e potere politico e la burocrazia locale potrebbe essere peggiore di quella nazionale. La maggiore vicinanza dei cittadini ai governi locali aumenterebbe i favoritismi e la corruzione. Si rischiano potenziali danni anche nel settore delle efficienze ambientali.
Negli anni Novanta Gianfranco Miglio propone il passaggio da Costituzione una “unitaria” a una “pluralistica” e “federale”, capace di garantire l’identità e lo sviluppo per le tante realtà disomogenee in Italia. Contro le critiche che dipingono il federalismo come un movimento centrifugo e secessionista, alcuni sostengono un federalismo di tipo centripeto, che garantirebbe l’unità e la coesione.
Il federalismo darebbe inizio a un processo di disgregazione nazionale, accrescerebbe gli egoismi locali e i territori più ricchi si svincolerebbero dagli obblighi di solidarietà. Al contrario dei casi in cui il federalismo si sviluppa “per aggregazione”, il federalismo “per dis-aggregazione” porterebbe lo Stato a diventare un ente del rango di Comuni, Province, Regioni.
Il federalismo ha costi maggiori rispetto ai sistemi accentrati, ma ha il pregio di ridurre le perdite e razionalizzare le spese, traducendosi in guadagno
Il federalismo ridurrebbe gli sprechi dato che gli enti locali diverrebbero direttamente responsabili dei disavanzi dei loro bilanci, in quanto fiscalmente autonomi per una quota elevata dello loro spesa, e, per la quota rimanente di rimesse statali, riceverebbero fondi parametrati secondo i “costi standard” (lo stato rimborserebbe secondo costi “ottimali” e non più col criterio della spesa storica, tanto una Regione spende, tanto riceve). Gli esempi di federalismo funzionante (Germania, Austria, Svizzera e Belgio) dimostrano che gli elevati costi burocratici dei sistemi federali (il moltiplicarsi dei livelli di governo implica un aumento di classe politica e amministrazione) si traducono in guadagno, vista la riduzione di perdite e la razionalizzazione delle spese.
Il federalismo causerebbe una serie di danni, tra cui l'aumento della pressione fiscale per eccessivi extra-costi dovuti al caos organizzativo dei troppi anni di transizione previsti; la possibilità che la perequazione (compensare i territori a più bassa capacità fiscale) obblighi le Regioni virtuose a versare un doppio contributo di solidarietà (per il deficit di sviluppo economico dei territori meno ricchi e per il deficit di senso civico dei territori ad alta evasione fiscale, quasi sempre coincidenti con i primi); il rischio che la macchina burocratica centrale non venga ridotta. Al Sud, anche responsabilizzando le Regioni affinché il loro gettito fiscale diretto sia pari alle spese, persisterebbero le cause degli sprechi: infrastrutture, strutture, aziende da risanare, inefficienza delle amministrazioni, corruzione, clientelismo.
Ottenendo maggiore autonomia, le Regioni si responsabilizzerebbero fino a diventare lo snodo per il risanamento del divario finanziario tra Nord e Sud
L’avanzata della Lega Nord alle elezioni regionali ed amministrative del marzo 2010 pone il tema cruciale della modernizzazione economica e sociale del Nord. Si passa dalla “questione meridionale” alla “questione settentrionale”: il problema del recupero delle risorse drenate dallo Stato centrale a favore delle Regioni del Sud, oltre che la protezione dalle minacce provenienti dall’esterno, rappresentate in particolare dall’immigrazione e dall’Europa. Dando maggiore autonomia alle Regioni assisteremmo a un processo di responsabilizzazione tale da riuscire a risanare, col tempo, il divario tra Nord e Sud.
Se le Regioni saranno in grado di farsi enti di governo, istituzioni in grado di elaborare politiche territoriali di area vasta e di assumere su di sé la responsabilità dell’amministrazione indiretta, coordinando l’attività degli enti locali sul territorio, potranno diventare non solo lo snodo necessario tra il centro e le autonomie locali, ma anche un veicolo utile per riequilibrare tale divario e per portare le aree meno sviluppate verso modelli territoriali più avanzati.
L’immagine di un Sud parassitario è un presupposto falso. Esattamente come i ricchi del Nord, anche i ricchi del Sud “mantengono” i poveri delle due regioni. È irrilevante che al Nord risiedano più ricchi. Il problema del drenaggio delle troppe risorse verso il Meridione non sussiste: il Sud non spende troppo, usa male i soldi che riceve.
Decentrare accrescerebbe il fenomeno della corruzione nelle aree più povere del Sud, come testimonia la letteratura di carattere economico e l’esperienza siciliana. La soluzione non è al di fuori dello Stato unitario, ma nel correggere lo statalismo per rimediare al mal fatto nel Sud e per venire incontro al Nord, colpito dal fiscalismo, dalla burocrazia, dalla mancanza di infrastrutture.
L’attuale miope ripiegamento localistico della politica risulta inadeguato rispetto alle grandi sfide e ai soggetti della globalizzazione
Lo Stato nazionale è troppo piccolo per le grandi sfide della globalizzazione e troppo grande per le questioni sub-nazionali. Potenziare l’autonomia delle realtà locali è la risposta alle crisi di identità e appartenenza dovute alla graduale corrosione dei confini (non solo territoriali) e all’indebolimento delle politiche nazionali, nonché un valido modello di organizzazione economica e sociale nell’attuale scenario, dal momento che permetterebbe l’aggregazione di imprese che avrebbero nel riferimento territoriale la base per realizzare politiche di sviluppo e di penetrazione sui mercati globali, senza il peso dei costi derivanti dalla crescita della scala di produzione. Tra i modelli proposti, il federalismo polis-centrico: nuova visione delle grandi città metropolitane.
“L’integrazione globale attuale sta eliminando i confini e indebolendo le politiche nazionali. Un sistema di politiche globali è necessario per far sì che i mercati siano al servizio delle persone, e non viceversa” (Human Development Programme [UNDP], Oxford University Press, 1997, cit. in Isawa Elaigwu, Federalismo, regionalizzazione e globalizzazione. Il caso dell'Africa, “Il Federalista”, anno XL, 1998, n.1).
La politica continua a muoversi entro vecchi schemi di dominio e controllo dello spazio fisico, mentre l’economia si sposta più rapidamente con le reti telematiche. Oggi il capitale è meno legato al territorio (la produzione segue logiche di deterritorializzazione). Riconfigurare gli Stati dando più autonomia alle realtà locali comporta il rischio di ripiegamenti localistici della politica, con conseguente incapacità di guardare al mondo, alla trasformazione dei mercati, all’inserimento in reti globali. È quanto accaduto nella regione Umbria, dove a un primo slancio innovatore dei ceti produttivi si è sostituito, in seguito, una condizione meramente tecnico-amministrativa della cosa pubblica e dell’azione politica, e un ripiegamento localistico che ha frenato la crescita
Gli enti locali sono più vicini ai cittadini: dargli più autonomia potenzierebbe l’efficienza, l’offerta di servizi pubblici e la sana concorrenza tra di essi
Essendo più vicini ai cittadini, i governi locali sono in grado di valutare meglio le loro esigenze e preferenze per i beni e servizi pubblici locali, rispetto a una soluzione centralizzata. Decentrare significherebbe: guadagni in termini di efficienza; rafforzamento della democrazia e riduzione dei rischi di corruzione, dato che aumenterebbe il potere di controllo dei cittadini nei confronti dei loro amministratori; ridurre l’asimmetria informativa tra politici e cittadini, consentendo a questi ultimi di valutare le scelte dei diversi governi locali.
Il caso della Svizzera mostra una forma di federalismo particolarmente compiuto, in cui la chiave per lo sviluppo economico risulta essere la forte competitività interna tra Cantoni (che sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale).
La dimensione troppo piccola del governo locale produrrebbe effetti economici negativi che travalicherebbero i confini dell’amministrazione stessa. I cittadini potrebbero non avere informazioni e potere politico necessari per indurre i governi locali a un uso efficiente delle risorse, e la burocrazia locale potrebbe essere di qualità peggiore di quella nazionale. Inoltre, la maggiore vicinanza dei cittadini ai governi locali aumenterebbe il fenomeno dei favoritismi e della corruzione.
Potenziali danni anche nel settore delle efficienze ambientali, rilevati dal Rapporto Osservasalute Ambiente del 2008, realizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane (Università Cattolica di Roma).
Infine, il caso estero del Brasile mostra, fin dagli anni Ottanta, un lento e difficile mutamento da una forma di federalismo centralizzato a un modello cooperativo decentralizzato (incapace, quest’ultimo, di svilupparsi laddove il governo centrale non è in grado di produrre una politica efficace).
Il federalismo offre nuovi modelli di sviluppo e un nuovo concetto di unità: un paese che si differenzia per poter essere più unito
Realtà locali autonome per un’Italia federalista, è quanto auspicavano Einaudi e politici del calibro di don Luigi Sturzo dopo la presentazione della Costituzione. Negli ultimi decenni, le stesse convinzioni vengono perseguite da alcuni movimenti politici. Negli anni Novanta, l’ideologo della Lega Nord, Gianfranco Miglio, propone il passaggio da Costituzione “unitaria” a Costituzione “pluralistica” e “federale”, capace di garantire l’identità e lo sviluppo economico per le tante realtà disomogenee presenti sul territorio.
Contro le critiche che dipingono il federalismo come un movimento centrifugo e secessionista, alcuni esponenti del mondo politico sostengono un federalismo di tipo centripeto, che salvaguarderebbe l’unità e la coesione sociale e, allo stesso tempo, allontanerebbe il paese dalla stasi tipica delle gestioni centriste.
Seguendo l’esempio di un paese come la Cina, si possono ipotizzare differenti modelli di sviluppo e di funzionamento per le nostre Regioni, lontani dal concetto di gestione centralistica che invece mantiene il potere distante dalle periferie.
L’attuazione del federalismo darebbe inizio a quel processo di disgregazione scongiurato dai nostri padri fondatori al momento della nascita della Repubblica italiana. Dare maggiore autonomia agli enti locali comporterebbe il rischio di accrescimento degli egoismi locali e un federalismo di tipo centrifugo, che contiene in sé tutti i presupposti della secessione. La mondializzazione delle economie mette i territori in competizione tra loro, per cui quelli più ricchi tendono a svincolarsi dagli obblighi di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza alla comunità nazionale. Casi emblematici, in questo senso, sono la Catalogna e il Nord Italia; nel primo caso viene scavalcata la mediazione statuale al fine di negoziare direttamente i propri interessi con i poteri sovranazionali. Al contrario dei casi in cui il federalismo si sviluppa “per aggregazione” (cioè come ricomposizione di società plurali attraversate da linee di frattura), il federalismo “per dis-aggregazione” rappresenta una pericolosa scommessa capace di portare alla detronizzazione dello Stato, che rinuncerebbe a ogni pretesa gerarchica per diventare una semplice parte dello stesso rango di Comuni, Province, Regioni.