Legge di Bilancio 2026
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La Legge di Bilancio 2026, approvata dal governo Meloni nell’ottobre 2025, ha aperto un acceso dibattito pubblico sulla sua efficacia e visione. Si tratta di una manovra relativamente piccola, circa 18,7 miliardi di euro (0,8% del PIL, la più esigua degli ultimi dieci anni), che la premier Giorgia Meloni ha definito “seria ed equilibrata”, concentrata sulle medesime priorità delle precedenti: sostegno a famiglia e natalità, riduzione delle tasse, aiuti alle imprese e potenziamento della sanità. Il provvedimento riduce di due punti l’aliquota IRPEF per i redditi medio-bassi, destina circa 1,6 miliardi aggiuntivi a misure per le famiglie, rifinanzia incentivi alle imprese per circa 8 miliardi e aumenta di 2,4 miliardi il Fondo Sanitario Nazionale. La manovra conferma inoltre la “pace fiscale” con una nuova rottamazione decennale delle cartelle esattoriali e introduce contributi straordinari a carico del settore finanziario: banche e assicurazioni. Critici e opposizioni, però, contestano che questa manovra “mignon” – talmente ridotta da ricalcare quasi esattamente il quadro tendenziale a politiche invariate – costituisca un’occasione mancata per rilanciare un’economia fiacca.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il governo rispetta gli impegni UE, anticipando l’uscita dal deficit. Deficit al 2,8% nel 2026 e spread in calo: stabilità senza sacrifici.
Manovra di galleggiamento: investimenti quasi zero e PIL fermo. Confindustria e opposizioni denunciano un’occasione persa, con il Paese destinato alla stagnazione.
Taglio IRPEF e nuove agevolazioni: più soldi in busta paga e sostegni a natalità e casa. Un fisco un po’ più equo e bonus per chi ha figli.
Riduzioni fiscali irrisorie e nessuna restituzione del fiscal drag. Salari reali fermi, per i sindacati è una presa in giro che non allevia la crisi del lavoro povero.
Si stimolano investimenti, rinnovi contrattuali e competitività senza nuove imposte generalizzate.
Sanità e welfare restano sotto-finanziati. Liste d’attesa infinite e carenza personale non si risolvono senza risorse strutturali.
Manovra prudente senza nuove tasse per cittadini: i conti in ordine oggi evitano manovre correttive domani.
Quasi metà delle risorse viene da entrate una tantum (PNRR, banche): misure temporanee per spese permanenti.
La manovra finanziaria garantisce stabilità dei conti e fiducia dei mercati
La Legge di Bilancio 2026 consolida i conti pubblici italiani, evitando derive finanziarie e rafforzando la credibilità del Paese a livello europeo. Con la manovra, l’Italia anticipa al 2025 il rientro nel limite del 3% di deficit/PIL, un anno prima del termine raccomandato dall’UE. Inoltre, programma per il 2026 un disavanzo al 2,8%. Questo risultato, definito “un buon risultato” dallo stesso Osservatorio sui Conti Pubblici, è stato ottenuto mantenendo “i numeri in regola con l’Europa” e senza ricorrere a manovre correttive straordinarie. La solidità dei saldi di bilancio ha avuto un impatto immediato sulla fiducia: i mercati finanziari e le agenzie di rating hanno reagito positivamente, con una riduzione dello spread e prospettive di miglioramento del rating sovrano italiano. In sostanza, la prudenza della manovra – che non aumenta la spesa a debito – evita tensioni con Bruxelles e con gli investitori. Il governo sottolinea che, grazie a questi conti “in ordine”, l’Italia potrà beneficiare di margini di flessibilità futuri, ad esempio per investimenti strategici (come la difesa, sfruttando la “escape clause” UE). La stabilità finanziaria attuale, inoltre, scongiura la necessità di sacrifici in seguito: non vi saranno manovre d’emergenza a metà anno, né aumenti generalizzati di imposte o tagli draconiani ai servizi. Anzi, il 2026 si profila come il primo anno – da quasi trent’anni – senza una manovra correttiva d’urgenza, come evidenziato dal ministro Giorgetti. Questo clima di ritrovata disciplina fiscale viene considerato un presupposto essenziale per garantire tassi d’interesse contenuti, stabilità macroeconomica e un ambiente favorevole alla crescita di lungo periodo. Persino alcuni osservatori tradizionalmente critici riconoscono il valore di questo consolidamento: la Banca d’Italia e l’UpB, pur chiedendo maggiori dettagli sulle coperture, hanno definito “prudente” l’impostazione complessiva.
I favorevoli alla nuova Legge di bilancio ritengono che la manovra 2026 dia prova di responsabilità finanziaria, consolidando risultati che l’Italia inseguiva da tempo (come l’uscita anticipata dalla procedura per deficit eccessivo) e restituendo al Paese credibilità e peso in Europa. Ciò getta basi solide per qualunque politica economica futura, in netto contrasto con l’instabilità e le crisi di fiducia che in passato hanno penalizzato l’Italia.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La Legge di bilancio non dà nessuna spinta alla crescita e allo sviluppo
Secondo i critici, la manovra 2026 pecca gravemente di assenza di visione strategica, limitandosi a gestire l’ordinario senza introdurre misure capaci di rilanciare la crescita economica. Malgrado il governo l’abbia definita “prudente”, per le opposizioni è in realtà una manovra rinunciataria, che si accontenta del “galleggiamento” a crescita zero. I numeri macro confermano questa lettura: lo stesso Documento Programmatico del governo prevede un PIL in aumento di appena +0,5% nel 2025 e +0,7% annuo nel 2026-27 – stime di fatto invariante rispetto al tendenziale e ben al di sotto della crescita media UE attesa (~1% annuo). L’intervento finanziario di soli 18 miliardi (lo 0,8% del PIL) è considerato troppo esiguo per imprimere uno stimolo significativo alla domanda interna e alla produzione. “È la manovra più inconsistente dal 2014”, attacca ad esempio il sindacato di base CUB, sottolineando come il quadro programmatico coincida quasi perfettamente col tendenziale – segno che la politica economica è praticamente ferma. Confindustria ha espresso forte preoccupazione: “manca la parola crescita”, ha dichiarato il vicepresidente Emanuele Orsini, lamentando la mancanza di misure forti per investimenti e sviluppo industriale. L’associazione degli imprenditori ha messo in guardia dal “rischio stagnazione” permanente, chiedendo invece un piano da almeno 8 miliardi annui per la competitività. Nulla di tutto ciò è stato accolto: la manovra, a loro dire, “non interviene con forza su settori chiave, né dà segnali coerenti di sviluppo di lungo periodo”, lasciando irrisolte le cause profonde della bassa crescita italiana. Emblematico è il vuoto di politiche industriali strutturali: mentre altri Paesi europei investono in transizione energetica e innovazione, l’Italia non lancia alcun grande progetto. Le poche risorse per le imprese (credito d’imposta ZES, rifinanziamento Sabatini) vengono giudicate insufficienti e a breve respiro. “L’industria italiana da gennaio è nuda” – ha avvertito Confindustria – perché scadono gli incentivi temporanei e la manovra non li rimpiazza adeguatamente. Anche sul fronte energetico-ambientale, cruciale per la crescita sostenibile, la legge di bilancio viene accusata di immobilismo: il WWF denuncia che non c’è “l’inversione di rotta” necessaria verso l’economia verde e la sicurezza climatica, anzi si ignorano quasi le sfide climatiche e si tagliano i fondi per la tutela ambientale. In Parlamento, esponenti dell’opposizione hanno rimarcato tutto ciò con toni severi: Elly Schlein (PD) ha bollato la manovra come “austera e rinunciataria”, proprio perché rinuncia a investire sul futuro e rassegna l’Italia a una crescita zero. Persino alcuni commentatori indipendenti condividono tale valutazione: “Linkiesta” ha parlato di “manovra che non scontenta nessuno, ma non serve a niente”, paragonandola alle finanziarie passive degli anni ‘80. In sintesi, il difetto più grave del provvedimento è l’assenza di spinta propulsiva: il 2026 passerà senza riforme né investimenti strategici, con il rischio di perdere terreno rispetto agli altri Paesi e di restare impigliati nella trappola della bassa crescita e bassa produttività che da decenni frena l’Italia. Lungi dall’essere prudente, questa mancanza di coraggio viene considerata miope e potenzialmente dannosa per il futuro del Paese.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La manovra riduce le tasse e garantisce sostegno al ceto medio e alle famiglie
La legge di bilancio incide positivamente sul carico fiscale di lavoratori e famiglie, mantenendo la promessa di alleggerire le tasse sui redditi medio-bassi. La misura di bandiera è il taglio di due punti dell’aliquota IRPEF intermedia: dal 35% al 33% per la fascia di reddito tra 28.000 e 50.000 euro. Si tratta di un intervento che, anche se contenuto, è stato salutato come un passo concreto verso un fisco più equo e favorevole ai lavoratori dipendenti. Paolo Barelli (Forza Italia) ha rivendicato come “la manovra porti la chiara impronta” del suo partito proprio in questo: aver messo al centro il ceto medio, traducendo uno dei pilastri del programma di governo in un taglio fiscale tangibile. L’operazione IRPEF, che vale circa 2,8 miliardi annui, andrà a beneficio di milioni di contribuenti e – a differenza di analoghi sconti del passato – non è finanziata in deficit, bensì coperta da razionalizzazioni e contributi di settore, come banche e assicurazioni. Accanto a ciò, la manovra prevede varie misure a sostegno delle famiglie: 1,6 miliardi aggiuntivi destinati al welfare familiare e al contrasto alla povertà. In particolare, viene rivista la disciplina ISEE per favorire i nuclei numerosi: dal 2026 la prima casa di abitazione sarà esclusa dal calcolo dell’ISEE (entro un certo valore catastale), aumentando la platea di famiglie che potranno accedere a prestazioni agevolate come l’Assegno Unico e il Bonus nido. Inoltre, si rifinanziano per altri due anni misure di aiuto alimentare come la Carta “Dedicata a te” (500 milioni per il 2026-27), una carta per la spesa destinata alle famiglie meno abbienti. Viene anche potenziato il Bonus mamme per le lavoratrici madri con almeno due figli (da 40 a 60 euro mensili), e si destinano risorse per sostenere i caregiver familiari (riforma del ruolo di cura). Tutti questi interventi mostrano che la manovra investe nelle famiglie italiane, in coerenza con la priorità politica dichiarata del sostegno alla natalità e alla genitorialità. Dal lato casa, oltre alle già citate novità in ambito ISEE, il governo ha confermato per il 2026 le agevolazioni fiscali edilizie: la detrazione 50% per le ristrutturazioni e il Bonus mobili vengono prorogati integralmente, così come, sul fronte mutui, rimane la possibilità di usufruire dell’esenzione Irpef per i redditi dominicali/agricoli dei terreni (a vantaggio dei piccoli proprietari). In parallelo, non vi sono aumenti di tassazione sui consumi o sui risparmi: l’IVA non viene toccata e persino l’attivazione della sugar tax e plastic tax (già legge ma mai applicate) viene ulteriormente rinviata, evitando oneri che si sarebbero tradotti in prezzi più alti per famiglie e imprese alimentari. Nel complesso, il fronte favorevole sostiene che la manovra 2026 realizza un abbassamento graduale della pressione fiscale per chi lavora, consuma e fa figli in Italia: un segnale di cui c’era bisogno dopo anni di ristagno dei redditi. “Un fisco più equo e favorevole a lavoratori e famiglie”, come sintetizzato da Barelli, è il cuore di questo provvedimento: un obiettivo magari limitato nelle cifre, ma socialmente significativo perché alleggerisce (anche se di poco) la classe media, considerata motore della domanda interna e della crescita futura.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La manovra finanziaria introduce misure inadeguate per lavoro e redditi
Un punto focale delle critiche riguarda l’insufficienza delle misure dedicate a lavoratori e pensionati, ritenute troppo deboli per contrastare la perdita di potere d’acquisto e l’aumento del costo della vita. Il taglio di 2 punti dell’IRPEF sul secondo scaglione – per quanto presentato dal governo come uno sgravio importante – viene ridimensionato dagli analisti: su un reddito di 30.000 euro lordi annui, il risparmio fiscale è di appena 40 euro all’anno, su 50.000 euro è di circa 440 euro. In altre parole, pochi euro al mese in più in busta paga, del tutto insufficienti rispetto all’inflazione che erode centinaia di euro di potere d’acquisto. Inoltre, questa riduzione lascia esclusi circa 30 milioni di contribuenti a reddito basso (sotto i 28.000 euro, che già stavano al 23% IRPEF), i quali “anche per il 2026 non avranno alcun vantaggio fiscale” da questa manovra. Di fatto, nota amaramente la CUB, i lavoratori dipendenti hanno subito nel triennio 2022-24 un drenaggio fiscale di 25 miliardi dovuto all’inflazione (scatto negli scaglioni IRPEF non indicizzati) e la manovra gliene restituisce forse un decimo, lasciando il grosso nelle casse dello Stato. Il risultato è un’operazione considerata quasi simbolica sul fronte salari: la CGIL parla di “mancata restituzione del fiscal drag” e denuncia che il governo non ha voluto utilizzare il tesoretto incassato dall’inflazione per ridurre davvero le tasse sul lavoro come promesso. Allo stesso tempo, i sindacati evidenziano che non vi sono interventi sul lavoro precario e povero: il salario minimo legale è stato scartato, non c’è alcun incentivo alle stabilizzazioni o misure contro il precariato giovanile, né fondi rilevanti per rinnovare i contratti pubblici scaduti (il governo ha stanziato solo una somma modesta per i contratti degli enti locali). Perfino il presidente Mattarella, in un intervento pubblico parallelo, ha sottolineato come “senza salari dignitosi non c’è né dignità né crescita”, un richiamo interpretato come critica implicita alla politica dei piccoli passi seguita dal governo sui redditi da lavoro. Per chi è già pensionato, la situazione non è migliore: la manovra conferma l’aumento graduale dell’età pensionabile (un mese in più dal 2027, due mesi dal 2028) senza introdurre alcun correttivo per i lavoratori gravosi, oltre a quelli esistenti. Le pensioni minime, percepite dagli anziani più in difficoltà, vengono aumentate di soli 20 euro al mese, una cifra definita “offensiva” e “ridicola” dalle opposizioni, specie a fronte di un’inflazione che ha eroso ben più di quel valore. Elly Schlein in Parlamento ha accusato Meloni di tradimento: dopo aver promesso in campagna elettorale “pensioni minime a 1.000 euro”, il governo mette sul piatto 0,66 euro al giorno in più per i pensionati poveri, cioè praticamente nulla. Un altro punto di inequità denunciato è la scelta di prorogare per il 2024-26 la flat tax 15% per le partite IVA fino a 85.000 euro di ricavi (introdotta lo scorso anno): ciò mantiene – e anzi amplifica – la sperequazione per cui un lavoratore autonomo con 60-70mila euro paga un’aliquota piatta ridotta, mentre un dipendente con 50mila euro è tassato al 33%. La CUB parla al riguardo di “iniquità fiscale”: solo i lavoratori dipendenti/pensionati pagano l’aliquota marginale piena, mentre tra flat tax, cedolari secche e agevolazioni sulle rendite finanziarie e i redditi da capitale o autonomi godono di aliquote effettive inferiori. In aggiunta, si contesta la scelta di reiterare l’ennesima “rottamazione” di cartelle esattoriali (la nona in pochi anni): ancora una volta, si manda il segnale che evadere conviene, poiché basta pagare una piccola parte (magari solo la prima rata) e poi attendere un nuovo condono. La UIL osserva che chi paga tasse e contributi regolarmente non ottiene nulla, mentre “chi non ha mai versato, per Covid, guerre o altri motivi, potrà diluire il dovuto in 9 anni”. Sommando tutti questi elementi, il fronte critico sostiene che la manovra tratteggia un’Italia al contrario: premia gli evasori e i furbi (condoni reiterati, flat tax per autonomi benestanti) e dimentica chi vive di lavoro onesto (dipendenti e pensionati a reddito basso o medio). Non a caso, la CGIL ha bollato la finanziaria come “iniqua e socialmente pericolosa”, perché rischia di accentuare il malessere di una popolazione che vede stipendi e pensioni svalutarsi senza adeguato ristoro. La manovra 2026, dunque, non migliora affatto le condizioni dei lavoratori, anzi le peggiora in termini relativi: poche briciole distribuite, mentre il grosso del beneficio fiscale accumulato dall’inflazione resta allo Stato o viene destinato alla copertura di altre voci di spesa.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
Si introducono investimenti mirati per occupazione e imprese più competitive
La manovra 2026, pur nei ristretti margini di bilancio disponibili, contiene un insieme di incentivi al lavoro e allo sviluppo pensati per rilanciare la produttività e sostenere il sistema produttivo senza gravare su di esso con nuove imposte. Una prima linea d’azione riguarda il lavoro dipendente e l’aumento dei salari: il governo ha introdotto una serie di detassazioni ad hoc per stimolare i rinnovi contrattuali e premiare la produttività. In particolare, per i contratti collettivi rinnovati nel 2025-2026, i dipendenti con redditi fino a 28.000 euro beneficeranno di un’aliquota agevolata del 5% sugli aumenti retributivi previsti dal nuovo contratto. Ciò significa, ad esempio, che, se un lavoratore otterrà 1.000 euro lordi di aumento annuo grazie al rinnovo, su quella parte pagherà solo 50 euro di tasse invece dei circa 200 euro dovuti con le aliquote ordinarie. Un incentivo concreto sia per i sindacati a chiudere accordi, sia per i lavoratori a sostenerli. Contestualmente, è stata ridotta dal 5% all’1% la tassazione sostitutiva sui premi di produttività per i dipendenti privati, innalzando al contempo da 3.000 a 5.000 euro la soglia di premio soggetto a tassazione agevolata. Inoltre, si detassano totalmente (0% Irpef) le maggiorazioni per turni notturni e lavoro festivo, laddove siano previsti dalla contrattazione. Queste misure – salutate con favore anche da organizzazioni datoriali e una parte del sindacato – puntano ad aumentare il netto in busta paga di chi fa straordinari o turni gravosi e a favorire contratti più innovativi sulla produttività. Non a caso, il governo ha evidenziato di aver risposto a una specifica indicazione delle parti sociali su questo fronte.
Sul versante delle imprese, la manovra rifinanzia e potenzia vari strumenti di supporto agli investimenti: rifà capolino il meccanismo del super/iper-ammortamento (maggiorazione figurativa del costo degli investimenti per aumentarne la deducibilità), preferito dalle aziende rispetto al più complesso credito d’imposta “Transizione 4.0” degli ultimi anni. In particolare, sono stanziati 8 miliardi di euro per investimenti e innovazione nel 2026, che includono il credito d’imposta per le Zone Economiche Speciali, portato a 2,3 miliardi, il rifinanziamento dei Contratti di Sviluppo e della Nuova Sabatini (contributi per l’acquisto di macchinari per le PMI) e il varo di un incentivo per gli investimenti in beni materiali 4.0, attraverso una robusta maggiorazione dell’ammortamento fiscale. Questo pacchetto restituisce ossigeno al tessuto produttivo, incoraggiando le imprese a rinnovare impianti e tecnologie, che è un fattore cruciale per recuperare competitività e colmare il gap di produttività con gli altri Paesi. Importante sottolineare che tali incentivi vengono concessi senza aumentare la pressione fiscale su altri fronti. Anzi, il governo ha esplicitamente evitato mosse penalizzanti per le aziende come nuove imposte ambientali. Un esempio concreto è la posticipazione al 2026 dell’entrata in vigore sia della plastic tax sugli imballaggi plastici monouso sia della sugar tax sulle bevande zuccherate. Antonio Tajani, vicepremier e ministro delle Imprese, ha evidenziato il risultato ottenuto: “evitare di trattare banche e assicurazioni come mucche da mungere” e scongiurare atteggiamenti punitivi verso settori chiave, privilegiando invece il dialogo costruttivo con il mondo imprenditoriale. La manovra, nel suo complesso, “non colpisce nessuno in modo eccessivo”, come notato anche da commentatori neutrali, ma prova a dare a ciascuno una piccola leva di crescita. In definitiva, la legge di bilancio 2026 offre a lavoratori e imprese segnali concreti: più convenienza a investire, più convenienza a produrre e a lavorare di più (grazie alle minori tasse su straordinari e premi). Il tutto senza nuove tasse generalizzate, anzi, con la rimozione di potenziali zavorre (rinvio sugar e plastic tax). Si tratta di interventi mirati e non di spesa “a pioggia”, coerenti con la filosofia di un governo che vuole premiare chi si impegna e crea valore aggiunto.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La sanità e i servizi pubblici sono ancora sotto-finanziati
Un’altra grave criticità sollevata è che la manovra, pur aggiungendo risorse in alcuni comparti, non affronta adeguatamente le emergenze dei servizi pubblici, prima fra tutte quella della sanità nazionale. L’incremento di 2,4 miliardi per il 2026 viene giudicato insufficiente rispetto ai bisogni reali di un SSN uscito provato dalla pandemia e da anni di definanziamento. La Fondazione Gimbe, ascoltata in Parlamento, ha evidenziato che “dietro i miliardi sbandierati in valore assoluto” si nasconde il fatto che “in quattro anni la sanità pubblica ha perso l’equivalente di una legge di bilancio”. In rapporto al PIL, infatti, la spesa sanitaria programmata per il 2026 (6,5%) resta di fatto ai livelli pre-pandemici, ben lontana dal picco del 7,4% raggiunto nel 2020 durante l’emergenza Covid. Questo significa che non si sta invertendo la tendenza al sottofinanziamento: l’Italia continuerà a spendere per la salute una quota di PIL tra le più basse d’Europa, malgrado l’invecchiamento della popolazione. I segnali concreti sul territorio confermano la criticità: “liste d’attesa interminabili, spesa privata in crescita e diseguaglianze di accesso” sono la realtà odierna, destinata a perdurare con uno stanziamento aggiuntivo pari a nemmeno la metà di quanto richiesto dalle Regioni. La CGIL aveva indicato come necessari almeno 10,5 miliardi in più per il 2026 solo per riportare il Fondo sanitario sui binari corretti, una cifra ben lontana dai 2,4 effettivi. Non sorprende dunque che il giudizio dei sindacati confederali sulla sanità sia estremamente negativo: “un paio di miliardi, una goccia nel mare”, afferma la CUB, descrivendo un settore “in situazione catastrofica tra mancanza di medici, personale e strumenti” e ricordando che buona parte dei fondi aggiuntivi rischia di finire comunque alla sanità privata convenzionata senza migliorare quella pubblica.
Anche altri servizi pubblici restano a corto di finanziamenti strutturali: la scuola, per esempio, non viene quasi menzionata in manovra (se non per l’assunzione di un contingente ridotto di insegnanti di sostegno, già autorizzata prima). La sicurezza e i trasporti locali non ricevono stanziamenti straordinari, malgrado i noti problemi (dalla carenza di organici delle Forze dell’Ordine ai trasporti regionali inadeguati). Un particolare allarme è stato lanciato riguardo ai LEP (Livelli essenziali di prestazione) sociali: il governo ha introdotto per legge alcuni nuovi LEP – ad esempio sugli asili nido – senza però stanziare risorse specifiche vincolate a colmarne il divario territoriale. Lo Svimez (associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno) ha avvertito che così si rischia di “cristallizzare la spesa storica” e quindi perpetuare i divari Nord-Sud: in pratica i nuovi LEP resterebbero sulla carta, oppure sarebbero attuati nelle regioni ricche e non in quelle povere, aggravando la disuguaglianza nell’accesso ai servizi. In generale, i critici accusano la manovra di adottare una prospettiva miope e ragionieristica, che tratta sanità e welfare come costi da contenere e non come investimenti sul capitale umano. Si evidenzia come paradosso che l’esecutivo stia anche considerando di aumentare la spesa per la difesa nei prossimi anni (fino al 2% del PIL entro il 2028, su pressione NATO), senza però aver messo in sicurezza la spesa sanitaria neppure rispetto ai livelli pre-Covid: una scelta di priorità che molti giudicano incomprensibile e sbagliata. L’ex ministro Carlo Cottarelli ha rimarcato che il rapporto spesa sanitaria/PIL previsto è “simile a quello della metà del decennio scorso”, annullando dunque i progressi fatti durante l’emergenza. L’opposizione denuncia questa come la manovra dei tagli nascosti: perché, al netto della retorica, di fatto i servizi pubblici continueranno a essere definanziati in termini reali (basti pensare che l’inflazione sanitaria viaggia intorno al 10%, erodendo in un colpo solo il valore del +2,4 mld). In conclusione, la legge di bilancio 2026 non risolve alcuna emergenza sociale, anzi rischia di aggravarle. “Le enormi esigenze di un settore catastrofico come la sanità rimangono insoddisfatte”, afferma la CUB; “la politica continua a nascondere la polvere sotto il tappeto”, rincara un editorialista, sottolineando come i tagli lineari pregressi non vengano davvero compensati. La prudenza di bilancio si traduce, insomma, in austerità sui diritti fondamentali: sanità, istruzione, trasporti e assistenza restano poveri di risorse e ricchi di problemi.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La sanità e welfare sono rafforzati in modo sostenibile
Nonostante la necessaria disciplina di bilancio, la manovra 2026 incrementa il finanziamento dei servizi essenziali, in particolare sanità pubblica e sostegno sociale, e lo fa in modo sostenibile, senza spese fuori controllo ma con interventi mirati destinati a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Il capitolo più rilevante è la sanità: il Fondo Sanitario Nazionale viene aumentato di 2,4 miliardi di euro per il 2026 (e di ulteriori 2,65 miliardi annui nel 2027-2028), portando la spesa sanitaria programmata intorno al 6,5% del PIL. Questo stanziamento – definito “significativo” dalle stesse dichiarazioni di maggioranza – sarà impiegato innanzitutto per rafforzare gli organici: il governo ha già previsto di assumere circa 6.300 infermieri aggiuntivi e 1.000 medici, una boccata d’ossigeno per corsie ospedaliere e territori in sofferenza cronica di personale. Inoltre, è stato calcolato un aumento medio annuo delle buste paga: +1.630 € per ogni infermiere e +3.000 € per ogni medico nel 2026, grazie ai fondi destinati al rinnovo contrattuale e alle indennità. Ciò significa retribuzioni più dignitose per chi lavora in prima linea nella sanità e, si auspica, un incentivo in più a rimanere nel settore pubblico anziché migrare verso il privato o l’estero. Con queste risorse, dichiara soddisfatta Giorgia Meloni, “vogliamo rafforzare il comparto sanitario, assumendo personale e aumentando gli stipendi, riducendo le liste d’attesa e migliorando la qualità delle cure”. Si tratta di un impegno concreto a invertire la rotta rispetto agli anni di tagli lineari: pur senza poter risolvere tutti i problemi in un colpo solo, il governo mostra di mantenere le promesse sul rilancio del servizio sanitario nazionale. Anche altri settori del welfare beneficiano di attenzione: la manovra dedica circa 3,5 miliardi nel triennio a misure per la famiglia e contro la povertà. Tra queste, il rifinanziamento della Carta “Dedicata a te” (una carta acquisti per generi alimentari destinata alle famiglie meno abbienti) che consentirà nel 2026-27 a oltre un milione di nuclei di ottenere un aiuto concreto per la spesa di prima necessità. Viene poi introdotta una revisione delle scale di equivalenza ISEE che avvantaggia le famiglie numerose, correggendo un’iniquità spesso segnalata: dal 2026 l’ISEE terrà maggiormente conto dei carichi familiari, con effetti stimati in quasi 500 milioni annui di benefici aggiuntivi verso i nuclei con figli. Inoltre, la legge di bilancio interviene a tutela di categorie fragili: ad esempio potenzia il Fondo per i caregiver familiari, dando attuazione alla recente legge che riconosce e sostiene chi assiste un parente disabile o anziano. Importante anche la conferma di strumenti di coesione sociale introdotti negli anni scorsi: vengono stanziate le risorse per garantire nel 2026 il nuovo Assegno di Inclusione (sostitutivo del Reddito di cittadinanza) e per rifinanziare l’Assegno Unico universale per i figli (cui l’esclusione della prima casa dall’ISEE offrirà un incremento in determinate fasce). Ciò significa che nessun intervento sociale in essere viene tagliato, anzi si cerca di rendere più efficaci quelli esistenti. È degno di nota che tutto questo avvenga nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica: l’incremento della spesa sanitaria e sociale è completamente coperto all’interno della manovra, grazie ad esempio alla spending review ministeriale (che non tocca i servizi ai cittadini, ma elimina fondi inutilizzati nei Ministeri) e al contributo di solidarietà richiesto ai settori più redditizi (banche, assicurazioni). Il risultato è che, anche con limitate risorse, il governo ha scelto di investire nel capitale umano e sociale: curare meglio i cittadini, sostenere le famiglie, proteggere i più deboli. In un contesto di inflazione elevata e di tensioni post-pandemia, questa è per i favorevoli la prova che la manovra non è affatto solo “numeri e rigore”, ma ha un’anima sociale: come affermato dalla maggioranza, “coniuga rigore e sviluppo, serietà e visione”, mettendo fondi lì dove sono più utili, anziché disperderli in mance elettorali o spese improduttive.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025
La finanziaria ha coperture fragili e una visione a breve termine
Un altro grave limite imputato alla manovra è l’affidamento a coperture finanziarie incerte e temporanee, che solleva dubbi sulla tenuta dei conti negli anni successivi e rivela una mancanza di programmazione strutturale. Bankitalia e Ufficio Parlamentare di Bilancio, nelle loro analisi, hanno sottolineato come il governo non abbia fornito dettagli sufficienti sulle coperture di molte misure, limitandosi a indicazioni generiche. In effetti, una quota significativa delle risorse deriva da operazioni una tantum: secondo i calcoli dell’Osservatorio CPI, circa “il 48% delle coperture (7,3 miliardi) è di natura temporanea”, proveniente essenzialmente dalla rimodulazione del PNRR e da nuove tasse straordinarie sul settore finanziario. Questo significa che quasi metà dei fondi per il 2026 non saranno disponibili negli anni seguenti, mentre le spese finanziare – taglio IRPEF, aumento stipendi pubblici, nuove assunzioni, riduzioni fiscali permanenti – continueranno a pesare sul bilancio. Tale impostazione è considerata poco lungimirante e potenzialmente pericolosa: “coperture temporanee per spese permanenti” è, secondo l’analisi de L’“Europeista”, un meccanismo che “lascia una domanda aperta sulle coperture future”. In altre parole, il governo sta rinviando il problema: oggi usa fondi una tantum, ma nel 2027-28 o taglierà quei benefici o dovrà trovare nuove entrate (magari con nuove tasse o tagli). Non è un caso che Bankitalia abbia raccomandato espressamente di “limitare gli incrementi di spesa o le riduzioni di entrate temporanee”, proprio perché questi interventi “hanno effetti solo transitori” e aumentano il livello del debito senza risolvere nulla in modo stabile. Un esempio lampante è l’utilizzo del PNRR: la manovra “libera” 5,1 miliardi rimodulando progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (di fatto spostando avanti alcune spese), ma ciò implica meno investimenti oggi e nessuna garanzia di risorse domani. Un’altra fonte critica è il contributo richiesto al settore bancario: il governo prevede di incassare circa 4,4 miliardi nel 2026 da banche e assicurazioni tramite l’IRAP e altre misure. Ma diversi economisti e la stessa Banca d’Italia hanno notato che questa stima è ottimistica e incerta: dipende, ad esempio, dal fatto che le banche decidano di avvalersi di una norma che consente di liberare riserve pagando un’imposta agevolata. “Il rischio che queste risorse non arrivino c’è sempre”, ha ammesso il ministro Giorgetti, dato che molto è lasciato alla convenienza delle banche stesse. Inoltre, tale contributo è per definizione limitato nel tempo: come riconosce il governo, “non c’è una tassazione sugli extraprofitti” continuativa, bensì un mix di misure, alcune delle quali (ad esempio, l’allungamento delle deduzioni su crediti deteriorati) hanno un effetto solo congiunturale. Questo alimenta il timore che, già dal 2025-26, possano aprirsi buchi di bilancio se le entrate straordinarie non si materializzeranno appieno o se, come è probabile, verranno meno negli anni successivi. L’UpB ha segnalato che lo spazio di bilancio 2026-27 è usato quasi per intero, riducendo i cuscinetti in caso di shock economici. Ciò significa che la minima deviazione (una recessione tecnica, un rialzo imprevisto dei tassi) potrebbe far sballare i conti e costringere a manovre d’urgenza. Un’altra critica riguarda la scarsa trasparenza e chiarezza su varie questioni: Bankitalia ha lamentato che il documento programmatico non fornisce importi in euro per diverse componenti della spesa netta, rendendo difficile verificare il rispetto del percorso europeo. In mancanza di dettagli, cresce il sospetto che alcuni importi siano sottostimati o poco realistici. Ad esempio, il governo ha stanziato un fondo one-shot di 2 miliardi (0,09% PIL) per eventuali rimborsi da cause perse, ma la stessa Banca d’Italia stima che solo il rimborso alle banche per la sentenza UE sui dividendi potrebbe costare intorno a 3 miliardi. Se queste stime prudenti si riveleranno insufficienti, saranno nuovi problemi per i conti pubblici. Analogamente, la decisione di includere gli aumenti di spesa per la Difesa solo in futuro (forse attivando la “clausola di salvaguardia” UE) viene vista come un rinvio poco onesto: l’UpB calcola che, se attuati, quegli aumenti porterebbero il debito/PIL 2031 a 1,7 punti in più rispetto allo scenario base. In sintesi, per il fronte contrario la manovra 2026 è costruita su basi fragili: troppe entrate una tantum, stime ottimistiche e trucchi contabili. “Si tira a campare”, ha chiosato un editorialista, aggiungendo che “hanno provato a nascondere la polvere sotto il tappeto” anche stavolta. La Banca d’Italia ha parlato esplicitamente di “lacune informative” e ha chiesto coperture “certe” e non aleatorie. L’UpB ha smontato quella che definisce “propaganda del governo” sui saldi, facendo emergere che nel 2026 la manovra avrà impatto negativo sul PIL, secondo i modelli econometrici indipendenti. Insomma, i critici temono che questa Legge di bilancio sia miope, focalizzata sul far quadrare l’anno prossimo senza preoccuparsi degli anni a venire.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025