Auto a guida autonoma
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Le auto a guida autonoma, ossia, veicoli in grado di circolare senza conducente umano, promettono di rivoluzionare la mobilità, ma suscitano un acceso dibattito pubblico. Da un lato, aziende tecnologiche e case automobilistiche ne evidenziano i potenziali benefici: maggiore sicurezza stradale eliminando l’errore umano, maggiore efficienza nel traffico, accessibilità per chi non può guidare e nuovi servizi come i robotaxi. Dall’altro, esperti, istituzioni e cittadini sollevano preoccupazioni sulla sicurezza effettiva di questi veicoli, sui dilemmi etici e giuridici in caso di incidenti, sull’impatto occupazionale per conducenti professionisti e su questioni di privacy e cybersicurezza. Il confronto è alimentato anche dagli sviluppi più recenti: nel 2025 gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo framework normativo per accelerare l’adozione dei veicoli autonomi, allentando alcuni requisiti di sicurezza (come l’obbligo di specchietti) e riducendo gli obblighi di segnalazione degli incidenti minori.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Le auto autonome potrebbero salvare migliaia di vite riducendo drasticamente gli incidenti causati da distrazione, alcool o imprudenza umana.
Gli AV non sono pronti: incidenti in test reali mostrano che l'errore di un algoritmo può avere esiti fatali, generando potenziali tragedie sulle strade.
Guida autonoma significa traffico più fluido, accesso per anziani e disabili, nuovi servizi come i robotaxi e un volano per innovazione.
Chi è responsabile in caso di incidente con un’auto senza conducente? Un veicolo, come deve scegliere in situazioni di pericolo?
Abbracciare questa tecnologia è necessario per leadership globale, sviluppo industriale e modernizzazione del trasporto.
Milioni di conducenti rischiano la disoccupazione. I sindacati denunciano che l’automazione potrebbe distruggere posti di lavoro e peggiorare i trasporti.
Auto connesse e autonome raccolgono enormi quantità di dati e possono essere vulnerabili a hackeraggi.
L’auto autonoma potrebbe aggravare traffico e consumo energetico. Le risorse andrebbero investite in soluzioni più immediate.
Le auto autonome ridurranno drasticamente gli incidenti stradali
I fautori della guida autonoma sostengono che il beneficio principale e immediato sarà una sicurezza stradale enormemente migliorata, grazie all’eliminazione dell’errore umano dalle dinamiche di guida. Ogni anno, oltre 1,3 milioni di persone muoiono nel mondo in incidenti d’auto. Solo negli Stati Uniti le vittime sono più di 40.000 all’anno, di cui la stragrande maggioranza attribuibile a comportamenti umani scorretti (distrazione, eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza ecc.). A differenza di un essere umano, un veicolo autonomo non si distrae, non si stanca, non si mette alla guida ubriaco e rispetta sempre il codice della strada. Questa coerenza potrebbe prevenire gran parte degli incidenti comuni dovuti a reazioni errate o ritardi umani. Gli algoritmi possono elaborare in tempo reale i dati di molteplici sensori (telecamere, radar, LiDAR) e reagire in millisecondi a pericoli che spesso i riflessi umani colgono troppo tardi. Diversi studi supportano queste affermazioni: in un test citato su “Nature Communications” (2024), i veicoli dotati di ADAS avanzati hanno mostrato probabilità di incidente significativamente inferiori rispetto ai veicoli guidati da umani in scenari simili. Anche dalle sperimentazioni sul campo arrivano segnali incoraggianti: Waymo, la divisione di Google per la guida autonoma, ha percorso oltre 70 milioni di miglia su strade pubbliche senza un conducente umano al controllo. Secondo i dati di sicurezza diffusi dall’azienda, i suoi veicoli hanno ridotto il tasso di incidenti del 78% rispetto alla guida umana tradizionale, considerando varie categorie di sinistri (urti tra veicoli, investimenti di pedoni e ciclisti ecc.). Proiettando queste performance su scala nazionale, ciò equivarrebbe a salvare almeno 30.000 vite ogni anno solo negli Stati Uniti. Anche l’Istituto Superiore di Sanità italiano concorda sul potenziale: rileva che la “grande maggioranza” degli incidenti gravi è dovuta a infrazioni umane (velocità, distrazione, mancato rispetto delle regole, alcol, droghe) e che quindi l’automazione potrebbe abbattere drasticamente quei rischi comportamentali. Gli esperti evidenziano inoltre che i sensori delle auto robotiche hanno un campo di percezione a 360° e possono “vedere” di notte o con lieve nebbia meglio dell’occhio umano, aumentando la sicurezza in condizioni critiche. Eliminare il fattore umano significa anche evitare comportamenti volutamente pericolosi: un’AI non farà gare di velocità al semaforo, non “taglierà la strada” in sorpasso né guiderà mandando messaggi col cellulare. In sostanza, le auto autonome offriranno un trasporto più sicuro per tutti gli utenti della strada – automobilisti, pedoni e ciclisti – rendendo gli incidenti rari al punto che ogni evento farà notizia proprio per la sua eccezionalità. I sostenitori paragonano l’introduzione massiccia degli AV a una sorta di “vaccino” contro la pandemia degli incidenti stradali: un intervento tecnologico in grado di prevenire un’enorme quota di morti e feriti che oggi consideriamo fatalisticamente inevitabili. Per questo considerano eticamente doveroso accelerare la transizione verso la guida autonoma: rinunciarvi o ritardarla significherebbe accettare migliaia di decessi evitabili ogni anno. Le iniziali preoccupazioni per alcuni episodi negativi – come l’incidente mortale Uber del 2018 o il caso Cruise del 2023 – vanno contestualizzate nella fase sperimentale; col maturare della tecnologia e un adeguato quadro regolatorio, i pro prevedono che le auto robot potranno fornire una sicurezza superiore a quella della media dei guidatori umani, innescando un calo storico della mortalità stradale.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
La sicurezza non è garantita. La tecnologia non è ancora affidabile
Chi si oppone o è scettico verso la diffusione degli AV mette al primo posto la mancata maturità della tecnologia e i rischi che ne derivano. Nonostante le promesse, finora le auto a guida autonoma hanno mostrato limiti importanti nella sicurezza: i critici sostengono che affidare completamente la guida a un’intelligenza artificiale in ambienti complessi sia prematuro e potenzialmente pericoloso. Vengono citati diversi incidenti e casi di malfunzionamento che hanno coinvolto veicoli con pilota automatico, spesso con ampio risalto mediatico. Il caso emblematico è la tragedia di Elaine Herzberg (Tempe, 2018): un SUV Uber in modalità autonoma non riconobbe un pedone che attraversava la strada e lo investì mortalmente, senza che il sistema frenasse in tempo. L’NTSB rilevò che l’algoritmo di Uber aveva “disattivato” la frenata d’emergenza automatica e non era programmato per “capire” un pedone fuori dalle strisce con una bici (segnali dei punti ciechi cognitivi che un’AI può avere in situazioni non previste). Questo incidente fu un campanello d’allarme: se un team all’avanguardia come Uber ATG poteva fallire in modo così grave, significava che la tecnologia di percezione e decisione degli AV non era infallibile. Un altro episodio grave: a ottobre 2023, a San Francisco, un’auto autonoma Cruise ha trascinato per 6 metri una donna appena investita da un’altra vettura, non riconoscendo immediatamente l’ostacolo sotto le ruote. L’azienda – nonostante il suo veicolo non fosse la causa primaria dell’investimento – è stata criticata per non aver previsto uno scenario del genere e per aver gestito male l’incidente (inizialmente non segnalato accuratamente alle autorità). Questo portò le autorità della California a sospendere sine die la licenza a Cruise, segnando un freno normativo e reputazionale pesante per il settore. Anche Tesla, pur offrendo un sistema di assistenza (Autopilot/FSD) e non un’auto completamente autonoma, è al centro di controversie sulla sicurezza: secondo i dati NHTSA riportati da un gruppo di familiari di vittime, dal 2019 ci sono stati oltre 1.800 incidenti e decine di morti in USA mentre si usavano i sistemi Tesla di guida assistita. Questi numeri alimentano l’argomento che la tecnologia attuale, specie in mano ai consumatori, non è sufficientemente robusta da prevenire comportamenti pericolosi o errori fatali. I detrattori segnalano che le AI di guida faticano ancora in situazioni complesse e poco strutturate: incroci affollati con pedoni indisciplinati, lavori in corso non mappati, eventi improvvisi come oggetti che cadono in strada. In tali casi spesso intervengono i “safety driver” (nei test) per evitare incidenti, ma in un futuro scenario senza supervisore umano ci si chiede se l’auto riuscirà sempre a cavarsela. “Abbiamo visto cosa significa davvero la guida automatizzata – è pericolosa, disastrosa e nettamente inferiore a un conducente umano altamente addestrato”, ha dichiarato un rappresentante dei Teamsters riportando l’esperienza dai test in California. Questa frase riassume il sentiment di chi è contro: oggi un bravo autista umano è ancora migliore di un’AI, e forzare la transizione ora metterebbe in pericolo il pubblico. Un rapporto dell’Associazione Governativa per la Sicurezza Stradale (GHSA) evidenzia che, qualora gli AV iniziassero a circolare insieme agli umani, bisognerà gestire con estrema attenzione il “mix” perché “ci vorranno decenni prima che tutti i veicoli in strada siano autonomi, se mai accadrà, e fino ad allora gli AV dovranno condividere la strada in sicurezza con i guidatori tradizionali”. In altre parole, finché la penetrazione sarà bassa, il vantaggio netto sulla sicurezza potrebbe non manifestarsi, anzi potrebbero sorgere nuovi rischi dall’interazione tra auto robot e umane (si pensi a un umano che fa manovre spericolate confidando che l’AV vicino frenerà comunque). Va anche considerato che gli AV attuali spesso si bloccano o esitano in situazioni ambigue, causando incidenti indiretti: a San Francisco non sono rari i casi di robotaxi fermi in mezzo alla carreggiata per eccesso di prudenza, creando intralcio e tamponamenti. Dunque, i critici affermano che prima di poter dichiarare “più sicure” le self-driving car, serve perfezionare notevolmente algoritmi e sensori, altrimenti si rischia di sostituire incidenti da errore umano con incidenti da errore del software. E quando un incidente avviene per colpa di una macchina, si crea anche un problema di fiducia pubblica: studi psicologici mostrano che le persone tendono a incolpare molto di più un’auto robot che un umano per un incidente identico, il che può portare a reazioni sociali e regolatorie drastiche (come il già citato ritiro dei permessi a Cruise). In sintesi, questa tesi sostiene che la tecnologia AV non è ancora affidabile al 100%, ma la sicurezza stradale richiede uno standard vicinissimo alla perfezione se si vuole togliere completamente il controllo umano. Finché non si raggiungerà quel livello (e potrebbe volerci più tempo del previsto), l’introduzione precipitosa di veicoli autonomi su strade aperte è vista come un azzardo inaccettabile con vite umane in gioco. Meglio mantenere i guidatori umani, con tutti i loro difetti, ma almeno dotati di buon senso e improvvisazione, piuttosto che delegare troppo presto a un’intelligenza artificiale che potrebbe non capire un imprevisto e causare tragedie.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
Innovazione, efficienza e nuovi servizi per una mobilità migliore
Un altro filone di argomentazioni a favore enfatizza i benefici economici e di efficienza che la guida autonoma porterà alla società. In prospettiva, le auto senza conducente promettono di rendere il traffico più scorrevole e ottimizzato, con vantaggi ambientali e di tempo risparmiato per gli utenti. Gli AV possono infatti comunicare tra loro e con le infrastrutture (sistemi V2V e V2X), sincronizzando velocità e distanze per evitare rallentamenti a fisarmonica e massimizzando il flusso nelle arterie stradali. Immaginando una diffusione capillare della guida autonoma, vengono citati studi su modelli di traffico che stimano una riduzione degli ingorghi e dei tempi di viaggio medi grazie a convogli automatici e “onda verde” ai semafori gestita dall’AI. Sul fronte ambientale, una guida computerizzata più regolare (senza brusche frenate/accelerazioni) e la possibilità di coordinare percorsi e velocità potrebbero tradursi in una diminuzione dei consumi di carburante e delle emissioni per km. Inoltre, i veicoli autonomi – spesso progettati direttamente come elettrici – inseriti in servizi di ride-sharing potrebbero diminuire il numero complessivo di mezzi privati in circolazione (se una parte del pubblico rinuncia all’auto di proprietà in favore di robotaxi e navette autonome), con ulteriori benefici ambientali e urbanistici (meno domanda di parcheggi). I sostenitori ricordano anche che gli AV possono essere programmati per rispettare sempre le velocità ottimali e le modalità di guida ecologica, limitando l’inquinamento. Un ulteriore aspetto evidenziato è la migliore mobilità per tutti: le auto a guida autonoma potranno dare indipendenza di movimento a persone altrimenti escluse dalla guida, come gli anziani non più patentati, i non vedenti e i disabili motori. Un veicolo autonomo a chiamata potrà portare sotto casa un anziano che non può più guidare, ampliando la sua autonomia negli spostamenti e migliorandone la qualità di vita. Allo stesso modo, chiunque potrà utilizzare l’auto senza la preoccupazione di dover guidare: durante il tragitto ci si potrà dedicare ad altro (lavorare, leggere, riposare), aumentando la produttività o il relax. Ciò è particolarmente rilevante nei tragitti lunghi o pendolarismi: un viaggio notturno potrà svolgersi mentre i passeggeri dormono, o un professionista potrà lavorare al computer mentre l’auto lo porta a destinazione, con guadagno di tempo utile. Dal punto di vista macroeconomico, la guida autonoma viene vista come un volano di innovazione e crescita. I Paesi che sapranno per primi sviluppare e adottare queste tecnologie ne trarranno un vantaggio competitivo. Per questo governi come quello statunitense stanno aggiornando le normative per favorire la sperimentazione e attirare investimenti, consapevoli che la “corsa” agli AV è globale e molto accesa tra USA e Cina. L’Unione Europea stessa, tradizionalmente prudente, ha avviato programmi pilota (ad esempio, la rete di città italiane) per non rimanere indietro rispetto ai giganti tecnologici. Ursula von der Leyen ha definito la mobilità autonoma un terreno in cui l’Europa deve essere “in prima fila” e ha lodato iniziative come quella italiana di coordinare decine di città e università in test sul campo. I sostenitori affermano che puntare sugli AV creerà nuovi posti di lavoro qualificati e filiere: ingegneri del software, specialisti di AI, manutentori di flotte robotiche, gestori di centri di controllo remoto. Il governo britannico, ad esempio, stima la creazione di 38.000 nuovi posti nel settore dei veicoli autonomi nei prossimi anni. Parallelamente, la società potrà risparmiare enormi costi attualmente legati agli incidenti (sanitari, assicurativi, danni materiali), liberando risorse per altri usi. I fautori della guida autonoma vedono anche l’opportunità di nuovi servizi di mobilità: dai robotaxi on-demand attivi 24/7 (già operativi in diverse città cinesi e americane) alle consegne autonome di merci e pacchi, fino a bus navetta senza conducente per collegare aree non servite dal trasporto pubblico tradizionale. In Arizona e California, Waymo già offre decine di migliaia di corse al mese ai clienti, integrandosi di fatto nel panorama del ride-hailing. In Cina, servizi analoghi di Baidu Apollo Go a Wuhan offrono corse a costi bassissimi, rendendo la mobilità urbana più accessibile a tutti. Insomma, la rivoluzione autonoma, secondo i pro, apporterà una maggiore efficienza del sistema trasporti, benefici sociali per categorie finora penalizzate e un forte stimolo all’economia attraverso l’innovazione tecnologica e la nascita di ecosistemi industriali attorno ai veicoli a guida autonoma.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
Chi risponde in caso di incidente? Ci sono dilemmi etici e vuoti legislativi
Oltre ai dubbi sulle performance tecniche, gli oppositori mettono in luce le problematiche etiche e legali irrisolte legate alla guida autonoma. Un classico esempio è il cosiddetto trolley problem applicato alle auto: se un incidente è inevitabile, come dovrebbe programmare il veicolo le proprie azioni? Dovrebbe sbandare mettendo a rischio il suo passeggero per salvare più pedoni? Oppure tutelare sempre gli occupanti a scapito di terzi? Questa scelta, di carattere morale, sarebbe presa dall’algoritmo del veicolo al posto di un essere umano, sollevando questioni di responsabilità: chi è eticamente e giuridicamente colpevole in tali frangenti? Attualmente, non c’è consenso su come risolvere questi dilemmi: alcune linee guida (come quelle di una commissione etica in Germania nel 2017) suggeriscono che la macchina non dovrebbe mai discriminare tra persone (non “scegliere” di colpire un anziano invece di un bambino, ad esempio), ma in pratica programmare un’IA per situazioni estreme è difficilissimo e qualunque scelta farà potrebbe essere giudicata inaccettabile a posteriori dall’opinione pubblica. Questo porta al secondo punto: il quadro normativo e assicurativo è incompleto. In caso di incidente con un’auto autonoma, le attuali leggi faticano a individuare il responsabile: il proprietario del veicolo? Il produttore dell’auto? Lo sviluppatore del software? L’operatore remoto (se presente)? Nei pochi casi finora occorsi, spesso la colpa è ricaduta su un umano ausiliario – ad esempio la backup driver di Uber nel 2018 è stata perseguita penalmente, mentre Uber come azienda non ha avuto imputazioni. Ma con veicoli pienamente autonomi (senza più un addetto al monitoraggio), questa scorciatoia non reggerà e serviranno nuove leggi. Il Regno Unito nel 2024 ha emanato norme che trasferiscono la responsabilità primaria alle assicurazioni (che poi potranno rivalersi sul produttore) e altre giurisdizioni stanno sperimentando approcci simili. Tuttavia, resta molta incertezza, specie in ambito penale: se un’auto robot causa un morto per un bug, si può incriminare una società? O il programmatore? E con quale accusa – negligenza, omicidio colposo tecnologico? Queste questioni non sono affatto risolte e i critici avvertono che l’assenza di regole chiare rischia di lasciare le vittime in un limbo e minare la fiducia del pubblico. Un terzo aspetto è il bias con cui la società potrebbe trattare gli incidenti degli AV. Ricerche mostrano che la gente tende a dare la colpa al veicolo autonomo anche quando non ha colpa, immaginando che “un umano avrebbe evitato l’incidente”. Ciò significa che produttori e operatori di AV potrebbero trovarsi sommersi da cause legali e richieste di risarcimento ogni volta che accade qualcosa, anche ingiustamente. Questo scenario si sta già profilando: famiglie di vittime di crash con Teslapilot hanno scritto al governo USA denunciando di temere un indebolimento della supervisione NHTSA sotto le pressioni di Elon Musk e snocciolando i dati di incidentalità dei sistemi Tesla. Queste famiglie chiedono di mantenere obblighi stringenti sulle segnalazioni e le responsabilità per i costruttori, perché temono che diversamente la sicurezza pubblica verrebbe sacrificata. Il fatto stesso che un gruppo di cittadini debba appellarsi così al regolatore indica che le regole attuali non sono considerate sufficienti a tutelare utenti e vittime. Inoltre, più concretamente, finché la guida autonoma convivrà con quella tradizionale, sorgono problemi legali inediti: ad esempio, se un’auto autonoma commette un’infrazione al codice, chi paga la multa? Diversi Paesi stanno aggiornando i codici della strada per prevedere queste eventualità. In Francia e Italia, per ora, si richiede che ci sia sempre un responsabile umano pronto a intervenire durante i test, proprio per avere un riferimento giuridico. Ma quando la transizione avanzerà verso veicoli senza volante né pedali, servirà un impianto normativo del tutto nuovo. I critici sottolineano che non siamo pronti: le leggi avanzano molto più lentamente della tecnologia e l’introduzione massiccia di auto robot con lacune legislative aprirebbe un periodo di conflitti legali e vuoti di responsabilità assai pericoloso. Anche sul fronte etico-filosofico, la società non ha ancora dibattuto abbastanza: si è disposti ad accettare che una macchina prenda decisioni di vita o di morte in caso di emergenza? Ad oggi, molte persone risponderebbero di no, e alcuni sondaggi indicano che 87% degli americani vuole obbligatoriamente un umano a bordo dei veicoli autonomi come supervisore. In definitiva, mancano ancora sia il consenso sociale che gli strumenti giuridici per gestire un mondo di automobili senza conducente. Lanciarvisi senza aver prima risolto questi dilemmi significherebbe creare un far west normativo e mettere a repentaglio principi etici fondamentali, oltre che lasciare potenzialmente senza giustizia le vittime di eventuali malfunzionamenti.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
L’innovazione deve andare avanti: ritardi e divieti costano vite e opportunità
Chi è favorevole alla guida autonoma spesso richiama una visione progressista e pragmatica: la tecnologia AV è un passo evolutivo inevitabile nel trasporto, tentare di bloccarla per paura significherebbe perdere vite e benessere potenziali. Questa tesi critica le posizioni “neo-luddiste” o iper-precauzionali sottolineando i costi dell’inazione. Ogni anno di ritardo nell’implementazione su larga scala degli AV equivarrebbe a mantenere lo status quo di mortalità e incidentalità altissime dovute alla fallibilità umana. Jennifer Huddleston del Cato Institute, ad esempio, attacca la proposta del senatore Hawley di vietare i camion autonomi definendola “una linea di pensiero pericolosa” perché ignora la realtà dei 40k morti annui sulle strade USA: “Hawley ha quasi capovolto la verità: sono gli umani, non l’AI, ad aver dimostrato di essere pericolosi alla guida”. Questa corrente di pensiero invita a guardare i dati reali invece delle paure ipotetiche: quasi tutti gli incidenti sono causati da errori umani, quindi, “tenere gli umani al volante”, come auspicano i critici, significa mantenere un livello di pericolo sistemico molto più alto di quello che potrebbero avere le macchine. In altri termini, i fautori sostengono che il rifiuto della tecnologia costa vite. L’ottimismo verso gli AV è alimentato anche dalla constatazione dei progressi tangibili: aziende come Waymo, Cruise, Baidu stanno accumulando milioni di km di test e stanno iniziando a offrire servizi commerciali, segno che la tecnologia sta maturando e che l’era dell’auto autonoma “non è fantascienza ma realtà imminente” (ad esempio, Waymo offre già circa l’8% delle corse taxi giornaliere a San Francisco, avvicinandosi al punto di svolta per un’adozione massiva). Di fronte a ciò, cercare di arrestare lo sviluppo con divieti normativi o eccessivi ritardi rischia solo di far perdere al proprio Paese il treno dell’innovazione e “cedere la leadership ad altri”. Gli Stati Uniti vedono la Cina avanzare rapidamente: Pechino ha autorizzato numerose case auto a testare sistemi altamente autonomi dal 2024 e prevede un’adozione in un’auto su cinque entro pochi anni. La concorrenza internazionale è citata come un imperativo: “Siamo in una corsa con la Cina e la posta in gioco non potrebbe essere più alta”, ha dichiarato il Segretario ai Trasporti USA introducendo le nuove politiche pro-AV. In Europa, Paesi come la Germania e il Regno Unito stanno investendo per non rimanere indietro, ad esempio predisponendo normative per i primi servizi di navette autonome entro il 2026-2027. Ignorare questa dinamica significherebbe non solo perdere un vantaggio tecnologico ed economico, ma anche importare in futuro tecnologie sviluppate altrove, con minor controllo. Infine, i sostenitori vedono la guida autonoma come parte di un progresso più ampio e inevitabile nella digitalizzazione dei trasporti. Come l’introduzione delle cinture di sicurezza o degli airbag in passato incontrò resistenze ma si rivelò fondamentale, allo stesso modo gli AV rappresentano l’evoluzione naturale dell’auto nell’era dell’AI. Rallentarne lo sviluppo significherebbe rinunciare a un futuro di strade più sicure e mobilità più efficiente per il timore di problemi risolvibili. In questa prospettiva, la società dovrebbe essere entusiasta e supportare la sperimentazione in modo da superare più rapidamente i limiti attuali. Ogni incidente dei prototipi è un’occasione di miglioramento dell’AI, col tempo la tecnologia diventerà più affidabile.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
Si rischiano impatti sociali e occupazionali negativi
Una delle obiezioni più rilevanti dal punto di vista socioeconomico riguarda le ricadute sul lavoro. L’automazione dei veicoli minaccia direttamente categorie professionali numerose: autisti di camion e tir, tassisti, autisti di autobus, corrieri e fattorini, fino ai conducenti ride-sharing (Uber/Lyft). Negli Stati Uniti il settore dell’autotrasporto conta circa 3,5 milioni di camionisti; in Europa centinaia di migliaia. La prospettiva di camion senza camionista e taxi senza tassista appare come un’onda dirompente di disoccupazione tecnologica. I sindacati e associazioni di lavoratori sono in prima linea nel denunciare questo rischio. I Teamsters, potente sindacato dei trasporti americano, hanno preso posizione dura: hanno sostenuto leggi locali per vietare la circolazione di mezzi pesanti autonomi (ad esempio in California con la proposta AB-33) e hanno minacciato scioperi se le aziende tenteranno di introdurli unilateralmente. Un comunicato dei Teamsters definisce la guida autonoma un tentativo dei “billionaire di Big Tech di distruggere posti di lavoro attraverso l’automazione” e loda i legislatori che cercano di fermarli. Dal loro punto di vista, ogni camion automatico in strada equivale a un camionista disoccupato, e vista la scala potenziale (si stima che i costi ridotti dalla guida autonoma possano portare le flotte a rimpiazzare decine di migliaia di autisti umani), si tratterebbe di un colpo durissimo per la classe lavoratrice. I nuovi posti high-tech di cui parlano i sostenitori (ingegneri, sviluppatori) difficilmente potranno essere ricollocamenti per gli attuali autisti, che spesso non hanno qualifiche comparabili. Si creerebbe quindi un mismatch e un aumento delle disuguaglianze. Anche il Parlamento Europeo ha discusso questi temi: uno studio del 2021 stimava che la piena automazione nei trasporti potrebbe far sparire fino a 5 milioni di posti in Europa entro il 2030, e raccomandava programmi di riconversione professionale fin da subito. I critici però osservano che non sarà semplice “riconvertire” un camionista cinquantenne in programmatore di AI. Inoltre, spesso le aziende useranno l’automazione per ridurre i costi del personale più che per spostare i lavoratori su mansioni diverse. L’impatto non sarebbe solo su chi guida per mestiere: pensiamo ai parcheggiatori, ai gestori di flotte aziendali e più in là ai meccanici (le auto autonome elettriche richiederanno meno manutenzione). In generale, l’adozione massiccia di veicoli autonomi potrebbe ridisegnare interi settori con un saldo occupazionale molto negativo per i lavori a bassa qualifica. Oltre alla disoccupazione, viene evocato il rischio di peggioramento delle condizioni di lavoro per chi resta: ad esempio, una prima fase con camion a guida autonoma supervisionati da un “operatore di sicurezza” potrebbe portare le aziende a richiedere a un singolo supervisore di monitorare più mezzi contemporaneamente, moltiplicando la pressione e riducendo le tutele (un po’ come un controllore di droni che segue 5-10 droni assieme). Il sindacato dei trasporti britannico ha già chiesto garanzie che ogni veicolo autonomo abbia comunque un addetto a bordo, anche se non guida, per evitare questa “Uber-izzazione” del lavoro di sorveglianza. Dal lato sociale, va considerato che molte di queste professioni sono occupate da classi lavoratrici già vulnerabili: i camionisti spesso non hanno istruzione superiore e guadagnano stipendi medio-bassi ma stabili. Togliere loro il lavoro senza un piano di reimpiego significa mettere in crisi famiglie e comunità (in alcune zone degli USA, la professione di truck driver è tra le più diffuse). Per questo gruppi politici e di advocacy sostengono che non si possa procedere con l’automazione ignorando il principio della giustizia sociale: la transizione dovrebbe essere rallentata fino a che non si creino sistemi di supporto per i lavoratori colpiti, come prepensionamenti o formazione. Finora, lamentano i contrari, pochi passi in questa direzione sono stati fatti, anzi, alcune amministrazioni sembrano voler deregolamentare in fretta su spinta dell’industria, senza considerare l’impatto sul lavoro. Un caso citato è il Texas, dove nel 2023 è stata approvata una legge pro-AV su camion senza richiedere la presenza di un autista: i Teamsters la definirono una “minaccia diretta” al loro settore. C’è poi un risvolto economico più ampio: se i costi di trasporto crollano perché si elimina il lavoro umano, alcune regioni potrebbero subire dumping sociale e chiusura di imprese locali di trasporto soppiantate dai colossi high-tech. I detrattori dipingono uno scenario di gig economy su ruote: flotte di veicoli autonomi gestite da poche aziende monopolistiche (Big Tech e e-commerce) che potrebbero controllare logistica e mobilità senza più concorrenza dei piccoli operatori indipendenti (autisti, tassisti). In definitiva, il rischio è che i costi sociali superino i benefici: un leggero aumento di efficienza o sicurezza non compensa la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro dignitosi, né la potenziale destabilizzazione di interi settori. Invece di investire tanto per eliminare il fattore umano, alcuni suggeriscono che sarebbe meglio puntare a migliorare la sicurezza e le condizioni lavorative con l’umano ancora al centro (ad esempio, favorendo tecnologie di assistenza che aiutino il conducente senza sostituirlo del tutto). Finché non si affronteranno seriamente le conseguenze occupazionali, spingere la guida autonoma equivale a “mettere sul lastrico migliaia di famiglie” in nome di una fredda efficienza economica.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
I veicoli autonomi sono un rischio per privacy, cybersecurity e sorveglianza
Un ulteriore argomento contrario riguarda le implicazioni per la privacy e la sicurezza informatica derivanti dalla diffusione di auto connesse e autonome. Questi veicoli, per funzionare, devono necessariamente raccogliere ed elaborare una mole enorme di dati: mappe in tempo reale, video delle telecamere a 360°, scansioni LiDAR dell’ambiente, dati GPS precisi al centimetro, oltre alle informazioni su passeggeri (identità, destinazioni, preferenze) per i servizi di ride-hailing. Tutti questi dati sensibili potrebbero finire nel mirino sia di aziende poco trasparenti sia di attori malintenzionati. I difensori della privacy avvertono che i veicoli autonomi potrebbero diventare delle vere e proprie “telecamere su ruote”, tracciando ogni nostro movimento. Chi controllerà queste informazioni? Ad esempio, un gestore di flotte robotaxi potrebbe sapere dove vive e lavora una persona, quali negozi o cliniche frequenta, o anche conversazioni audio avvenute a bordo (molti prototipi registrano l’abitacolo per motivi di sicurezza). In assenza di normative stringenti, c’è il timore che le aziende possano monetizzare questi dati o cederli a terzi, incrementando la sorveglianza commerciale. Già oggi casi analoghi si sono visti con Tesla, che è stata contestata per l’uso dei video delle telecamere Autopilot, e Toyota (nel test in Cina riportato da ASviS) ha dovuto rassicurare che “i dati dei passeggeri vengono distrutti a fine corsa”. Ma dovremmo fidarci delle promesse delle aziende? I critici chiedono leggi forti a tutela della riservatezza, altrimenti la guida autonoma potrebbe diventare uno strumento per un monitoraggio costante dei cittadini. Oltre alla privacy, vi è il capitolo cybersecurity: un veicolo autonomo è essenzialmente un computer con ruote, costantemente connesso. Ciò lo rende vulnerabile a possibili attacchi hacker. Se già oggi esperti di sicurezza hanno dimostrato di poter hackerare da remoto auto tradizionali (influendo su freni o sterzo), con veicoli interamente controllati dal software il rischio diventa ancora più grave. Un malintenzionato potrebbe prendere il controllo di un’auto autonoma e usarla come arma, ad esempio facendola schiantare deliberatamente. Oppure, un attacco su larga scala potrebbe bloccare il traffico cittadino spegnendo contemporaneamente centinaia di robotaxi (basterebbe bucare il sistema centralizzato). Le agenzie governative riconoscono questa minaccia: nel Regno Unito è stato evidenziato tra i rischi primari il pericolo di cyber-attacchi ai veicoli autonomi, che potrebbero causare incidenti o essere sfruttati per terrorismo. Anche in USA, la NHTSA ha emanato linee guida di cyber-sicurezza per i produttori di AV, ma siamo in un territorio nuovo e complesso. I critici dubitano che le aziende riescano a rendere i loro sistemi impermeabili: più sensori e connettività significano più vettori di attacco. Immaginiamo uno scenario in cui un virus informatico, infatti, una flotta di taxi senza conducente: senza un umano a bordo che può intervenire, i passeggeri sarebbero in balìa del sistema compromesso. C’è poi il rischio di utilizzo malevolo da parte di governi autoritari o forze dell’ordine: automobili sempre connesse potrebbero essere usate per pedinare sospetti, o persino per immobilizzare il veicolo di una persona ricercata con un comando da remoto (tecnologia già esistente). Se da un lato questo potrebbe essere visto come utile strumento anticrimine, dall’altro, in mani sbagliate sarebbe uno strumento per abusi e controllo. Siamo dunque pronti a consegnare questa quantità di potere (fisico e informativo) ad algoritmi e centri di controllo? In molti rispondono di no, almeno non senza solide garanzie. Finora, però, le discussioni pubbliche su questi temi sono state limitate, offuscate dal focus sulla sicurezza stradale. In mancanza di un dibattito, i cittadini medi non sono consapevoli dei potenziali trade-off in termini di privacy/cybersecurity che accompagnano la guida autonoma. I contrari affermano che introdurre gli AV senza aver prima risolto queste questioni sarebbe irresponsabile. Ad esempio, in Europa il GDPR tutela i dati personali: dovremmo estenderlo esplicitamente ai dati raccolti dai veicoli e vietare certi usi (come la profilazione commerciale degli spostamenti). Sul fronte hacker, si dovrebbero prevedere standard di sicurezza informatica obbligatori per i sistemi AV, audit indipendenti sul software e magari “black box” che registrino eventuali accessi non autorizzati. Tutte misure che oggi non ci sono o sono volontarie. La sfida degli AV, quindi, non è solo meccanica, ma anche di diritti digitali: se avremo automobili che guidano da sole ma sacrificando la nostra privacy e aumentando l’esposizione a minacce informatiche, il costo per la società potrebbe superare i benefici. Meglio quindi procedere con estrema cautela e non lasciare che l’entusiasmo tecnologico faccia passare in secondo piano quelle che potrebbero diventare gravi insidie nascoste per la libertà e la sicurezza delle persone.
Nina Celli, 31 ottobre 2025
è in dubbio che le auto a guida automa siano la soluzione ai problemi di mobilità
Alcuni discutono sull’utilità effettiva della guida autonoma come soluzione ai problemi della mobilità. Urbanisti ed esperti di trasporti sostengono che gli AV potrebbero addirittura peggiorare certe criticità anziché risolverle e che l’attenzione quasi esclusiva su di essi stia distogliendo risorse da interventi più efficaci. Uno dei timori è quello di una possibile maggiore congestione urbana: se i robotaxi o le auto private autonome offrissero viaggi più confortevoli (perché si lavora o ci si riposa durante il tragitto), molte persone potrebbero accettare di fare spostamenti più lunghi o usare ancora di più l’auto invece dei mezzi pubblici. Ciò aumenterebbe il numero di veicoli-km percorsi (il cosiddetto VMT, vehicle miles traveled), aggravando traffico ed emissioni. Inoltre, un’auto autonoma senza passeggeri potrebbe essere inviata a circolare a vuoto e si creerebbe del traffico di veicoli che percorrono strade senza trasportare nessuno. Un modello del DOE americano (Depart. of Energy) ipotizza che in uno scenario di ampio uso di robotaxi privati il VMT (miglia percorse dai veicoli) possa aumentare fino al 20%. Questo vanificherebbe parte dei benefici attesi in fluidità e ambiente. Un altro punto è: se le città si riempiranno di robotaxi low-cost, potrebbe calare l’utilizzo del trasporto pubblico (bus, metro), che è invece la modalità più efficiente in assoluto per ridurre traffico e inquinamento. “Xataka”, rivista spagnola di tecnologia, nota che in Europa alcuni esperti temono che i robotaxi privati possano competere col trasporto pubblico, specie nelle ore di morbida, portando a un’ulteriore “auto-dipendenza” anziché a città meno auto-centriche. Inoltre, l’idea di “auto autonoma per tutti” potrebbe stimolare ancora di più la dispersione urbana: se non devo guidare, potrei abitare più lontano dal lavoro e farmi anche 2 ore di pendolarismo dormendo in auto. Ma questo significherebbe consumo di suolo extra e distanze medie più grandi: scenari che i pianificatori urbani vedono in modo negativo. Alcuni studiosi sostengono che puntare su flotte autonome condivise (tipo roboshuttle e minibus a guida autonoma integrati al trasporto pubblico) potrebbe mitigare questi effetti, ma se prevalesse il modello auto privata autonoma, le città potrebbero diventare ancora più congestionate di veicoli. C’è poi l’aspetto delle priorità di investimento: i critici affermano che la guida autonoma è un “bellissimo giocattolo” su cui però si stanno convogliando enormi risorse (oltre 100 miliardi di dollari investiti globalmente finora, con risultati ancora incerti) mentre misure più semplici e immediate per la sicurezza e la mobilità restano sottofinanziate. Ad esempio, migliorare le infrastrutture (manto stradale, illuminazione), potenziare piste ciclabili e marciapiedi, implementare città 30 km/h, educare meglio i conducenti umani e rafforzare i controlli contro la guida in stato di ebbrezza, sono tutti interventi che potrebbero ridurre subito incidenti e vittime. Questi interventi ricevono in confronto briciole di attenzione. L’auto autonoma, in questa prospettiva, non risolve il problema fondamentale: continuerebbe a privilegiare il modello dell’auto individuale, con tutti i limiti di inefficienza energetica e spaziale che ha, solo rimpiazzando l’autista con un algoritmo. Per alcuni, sarebbe più auspicabile ridurre il numero di auto tout court (attraverso il car sharing, città orientate ai pedoni ecc.) che renderle robot. Inoltre, c’è il rischio che i benefici degli AV (meno incidenti) possano generare effetti controintuitivi: ad esempio, se guidare diventa molto più sicuro, le normative su casco e cinture potrebbero allentarsi, o le persone potrebbero distrarsi ancora di più in auto (nel caso di sistemi semi-autonomi). Questo potrebbe portare a nuovi incidenti in un circolo vizioso durante la transizione. Infine, i critici fanno notare che finché la flotta circolante non sarà quasi interamente autonoma (cosa che potrebbe non avvenire prima di parecchi decenni), non si vedrà un cambiamento tangibile nelle statistiche aggregate di sicurezza ed emissioni. Nel frattempo, però, potremmo aver trascurato soluzioni low-tech più efficaci.
La guida autonoma rischia di essere un “falso idolo” della mobilità futura: promette molto ma potrebbe aggravare problemi come traffico e consumo energetico se non gestita benissimo. Inoltre, ha distolto attenzione e fondi da interventi di provata utilità (trasporto pubblico, ciclabilità, riduzione auto private). Meglio dunque essere prudenti e non farsi incantare dalla narrazione futuristica.
Nina Celli, 31 ottobre 2025