L’intelligenza artificiale è una bolla?
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L’esplosione di investimenti e aspettative sull’intelligenza artificiale (IA) negli ultimi anni ha spinto molti a interrogarsi se ci troviamo di fronte a una “bolla” speculativa destinata a scoppiare o a un reale cambio di paradigma tecnologico. Dalla fine del 2022, con l’avvento di sistemi IA generativa come ChatGPT, le grandi imprese tecnologiche e una miriade di startup hanno attratto capitali senza precedenti. Nel solo 2025, si stimano investimenti globali in IA oltre i 300 miliardi di dollari, con previsioni di oltre 3.000 miliardi entro fine decennio. I colossi del settore – da Nvidia a Microsoft, Google, Amazon, Meta – hanno visto le proprie valutazioni di mercato schizzare a livelli record: a settembre 2025 Nvidia ha superato i 4.500 miliardi di dollari di capitalizzazione, prima azienda a raggiungere tale soglia, mentre altre Big Tech pianificano spese congiunte per oltre 750 miliardi in data center e infrastrutture cloud nei prossimi due anni. Questo slancio eccezionale, paragonato da alcuni a una nuova “febbre dell’oro” digitale, alimenta interrogativi sulla sostenibilità di tali valutazioni e sulla solidità dei ritorni attesi.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Sull'IA, le valutazioni e gli investimenti corrono più dei risultati. La produttività stagnante e i limiti tecnici indicano un rischio di bolla.
La domanda è reale e le infrastrutture dei big sono utili. L’IA è un nuovo ciclo industriale che durerà, anche se con possibili correzioni.
L’IA è una bolla. Suscita un entusiasmo destinato a crollare
L’attuale corsa all’intelligenza artificiale presenta tutti i sintomi di una bolla speculativa, in cui valutazioni e aspettative hanno superato di gran lunga i risultati concreti ottenuti finora. Vengono addotti dati allarmanti: secondo un rapporto del MIT, il 95% dei progetti di IA generativa nelle aziende non ha prodotto alcun incremento di profitto, il che indica che l’adozione dell’IA per ora non sta ripagando gli investimenti massicci. Sul fronte macro, la produttività non mostra miglioramenti tangibili nonostante l’ampia diffusione di tool IA – anzi, in certi casi l’uso di modelli come ChatGPT ha rallentato il lavoro invece di accelerarlo. Questa assenza di fondamentali solidi alimenta il sospetto che i mercati stiano muovendosi più sull’onda dell’hype che su basi reali.
Gli analisti pro-bolla sottolineano il parallelismo storico con la bolla dot-com di fine anni ’90: allora, come oggi, le borse premiavano qualsiasi azienda “.com” indipendentemente dai bilanci. I capitali affluivano più per paura di perdere l’occasione (“FOMO”) che per piani industriali credibili. Allo stesso modo, oggi “basta dire IA” perché startup senza ricavi vengano valutate miliardi. Torsten Sløk, capo economista di Apollo, ha avvertito che le top 10 società dell’S&P 500 (tutte legate all’IA) sono ancora più sopravvalutate ora di quanto non fossero le big del 1999. Un suo grafico confronta i rapporti prezzo/utili attuali con quelli pre-crash dot-com, mostrando multipli oggi ben più elevati. “La bolla IA è peggiore della bolla IT anni ’90” scrive Sløk, riferendosi al peso enorme che pochi titoli (Nvidia, Microsoft ecc.) hanno assunto negli indici. Ad agosto 2025, una serie di notizie negative (tra cui un paper MIT sui magri ritorni e un lancio deludente di GPT-5) ha innescato un sell-off di oltre 1000 miliardi $ sui titoli tech IA in pochi giorni, con Nvidia -3,5%, Palantir -10%. Ciò indica una estrema sensibilità del mercato: basta un dubbio sull’IA e le quotazioni vacillano, ulteriore sintomo di fragilità speculativa.
Un altro elemento ricorrente nelle tesi PRO è la nozione di “capability overhang”: si parla tanto di potenziale rivoluzionario dell’IA, ma le sue effettive capacità utili restano limitate. Ad esempio, i grandi modelli linguistici ottengono risultati notevoli in demo o test, ma nella pratica commettono errori frequenti (allucinazioni) e richiedono supervisione umana costante. Gary Marcus, noto critico dell’IA odierna, ha più volte definito gli LLM “pappagalli stocastici” e previsto che il “castello di carte” dell’hype crollerà quando ci si renderà conto che non possiedono vera comprensione o affidabilità. In effetti, uno studio sull’uso di IA per programmare ha mostrato che, contrariamente alle aspettative, gli sviluppatori aiutati dall’IA sono diventati meno produttivi perché impiegavano tempo a correggere il codice generato. Questo “effetto boomerang” suggerisce che l’IA generativa, lungi dall’aumentare subito l’efficienza, può introdurre attriti e costi nascosti. I pro-bolla sostengono quindi che l’intero impianto narrativo (“IA che trasforma il lavoro e fa esplodere la produttività”) sia prematuro se non infondato. La bolla si reggerebbe sul presupposto che tali miracoli siano dietro l’angolo, ma più passa il tempo senza che si concretizzino, più gli investitori diventeranno nervosi.
Un argomento chiave riguarda il meccanismo finanziario della bolla: a differenza di bolle passate alimentate da debito, questa è gonfiata principalmente da capitale azionario e venture capital. Ciò potrebbe far pensare a minori rischi sistemici, ma i pro-bolla ribattono che proprio la concentrazione sui mercati azionari rende il potenziale scoppio pericoloso. Gita Gopinath avverte che un crollo dei titoli IA potrebbe cancellare 20-35 mila miliardi di dollari di ricchezza tra USA e resto del mondo, dati i livelli azionari record e l’esposizione globale su quei titoli. Le perdite patrimoniali ridurrebbero consumi e investimenti, con stime di -2% sul PIL mondiale in caso di shock tipo dot-com. In Europa, l’Autorità bancaria britannica (BoE) ha messo in guardia sulla stabilità finanziaria: se cambia il “sentiment” sull’IA, il contagio agli attivi finanziari potrebbe essere “materiale”. Dunque, i sostenitori di questa visione invitano a non illuderci: “niente debito, niente crisi”; quando scoppia una bolla equity di queste dimensioni, i riflessi sull’economia reale e sul sistema finanziario ci sono comunque, perché la ricchezza di famiglie e fondi pensione ne risentono profondamente.
Dal punto di vista sociologico, le voci pro-bolla vedono nell’attuale mania IA un fenomeno di psicologia collettiva già visto: FOMO (Fear of Missing Out) e pressione competitiva spingono aziende e investitori a “buttarsi sull’IA” per non restare indietro. Questo crea un circolo vizioso: più soggetti entrano, più sembra confermata la narrativa che l’IA sia “il nuovo petrolio”, attirandone altri in un processo autoalimentato. Mar Hicks parla di “adozione anticipatoria” – aziende che integrano IA non perché già utile, ma per assicurarsi un posto nel futuro. Il rischio è che, come avvenuto per altre mode (blockchain, metaverso), dopo i proclami iniziali ci si accorga che molte implementazioni erano forzate o premature, portando a disinvestimenti di massa.
In sintesi, questa posizione dipinge l’IA 2023-25 come un “colosso dai piedi d’argilla”: dietro la facciata scintillante di valutazioni trilionarie e promesse rivoluzionarie, c’è un livello di maturità tecnologica e sostenibilità economica ben inferiore a quanto si creda. Prima o poi, questa discrepanza si rivelerà – tramite un evento scatenante (fallimento di una big AI? stagnazione dei ricavi? stretta dei tassi?) – e la bolla scoppierà. Gli effetti saranno dolorosi: molte startup svaniranno, investitori perderanno somme ingenti, progetti incoerenti saranno abbandonati. Tuttavia, alcuni ritengono che questo “bagno di realtà” sia necessario per sgombrare il campo dagli eccessi e far sì che l’IA possa poi progredire su basi più solide, senza la distorsione di capitali facili e aspettative irreali.
Nina Celli, 23 ottobre 2025
L’IA non è una bolla, ma un nuovo paradigma destinato a durare
Coloro che sostengono incondizionatamente l’IA ritengono che il fermento, per quanto accompagnato da speculazione e qualche esagerazione, non configuri una vera bolla destinata a scoppiare rovinosamente. Al contrario, l’entusiasmo attuale sarebbe giustificato dalla natura rivoluzionaria della tecnologia e dai solidi fondamenti di crescita che la sorreggono. Gli argomenti contrari si sviluppano lungo diverse linee, a partire dalla constatazione che la domanda di IA è reale e in accelerazione costante, non un fuoco di paglia artificiale.
Un primo punto chiave è che gli investimenti colossali in infrastrutture IA (data center, chip, reti) non sono fini a se stessi o sostenuti solo dall’hype, ma rispondono a un bisogno concreto di capacità computazionale. Jensen Huang, CEO di Nvidia, sottolinea come “negli ultimi sei mesi la domanda di computing IA sia aumentata in modo sostanziale”, il che riflette l’adozione dilagante di modelli IA in settori sempre più vari. Se c’è fame di potenza di calcolo, argomentano i contrari, significa che l’IA sta già generando valore (es. tramite automazione di compiti, analisi dati avanzate, nuovi servizi). Le bolle vere e proprie spesso sono gonfiate da domanda fittizia o speculativa (pensiamo alle case comprate per rivenderle nel 2008); qui invece aziende di ogni settore acquistano GPU e servizi cloud IA per utilizzarli operativamente, segno che ci sono applicazioni utili. Lisa Su, CEO di AMD, ha dichiarato che chi parla di bolla “pensa troppo in piccolo”, perché stiamo solo iniziando un “superciclo decennale” dell’IA. In altre parole, siamo di fronte a una nuova piattaforma tecnologica, paragonabile all’elettrificazione o all’avvento di Internet, destinata a creare opportunità per anni. In questa visione, gli alti investimenti odierni somigliano più a quelli necessari a costruire le ferrovie o le reti elettriche del passato: spese ingenti e speculative all’inizio, ma che hanno abilitato decenni di crescita. Il World Economic Forum stesso evidenzia che certe “bolle” (come la ferrovia o la bolla dot-com) hanno lasciato in eredità infrastrutture e innovazioni che hanno trasformato la società. I contrari enfatizzano questo concetto: anche se un giorno il mercato azionario correggesse, gli investimenti in capacità computazionale e algoritmi rimarranno come base per l’economia digitale futura.
Dal punto di vista finanziario, chi nega la bolla evidenzia alcuni fattori di solidità. Innanzitutto, la redditività attuale dei big dell’IA: Microsoft, Google, Amazon, Nvidia e altri stanno già registrando utili importanti dal cloud, dai chip e dai servizi IA. A differenza delle dot-com che bruciavano cassa senza profitto, qui abbiamo aziende con flussi di cassa positivi che reinvestono in IA. Nvidia, per esempio, ha moltiplicato il fatturato e l’utile negli ultimi due anni grazie alla vendita di GPU per l’IA. Anche OpenAI, sebbene non ancora redditizia, genera ricavi significativi (si parla di oltre 1 mld $ al mese). I contrari ammettono che le valutazioni borsistiche sono elevate (Nvidia con P/E ~55, il doppio di 10 anni fa), ma notano che il rapporto prezzo/utili medio delle aziende IA rispetto ai loro potenziali futuri non ha sforato livelli storicamente insostenibili. Il capo economista di Allianz, ad esempio, ha affermato che i multipli attuali, pur ambiziosi, restano sotto i picchi della bolla 2000 quando rapportati ai profitti prospettici. Inoltre, a differenza di altre bolle gonfiate a leva, la bolla IA (se così la si vuol chiamare) non presenta un indebitamento generalizzato: “This is not financed by debt”, ha rimarcato P.O. Gourinchas dell’FMI, suggerendo che un eventuale scoppio sarebbe più assorbibile, colpendo azionisti ma non innescando fallimenti a catena. In pratica, senza mutui subprime o margin loans a cascata, una correzione sui titoli IA potrebbe essere dolorosa in Borsa ma non trasformarsi in crisi finanziaria sistemica.
Un altro pilastro delle tesi di coloro che credono nell’IA riguarda l’effetto di lungo termine. Si riconosce che forse nel breve alcune aspettative sono esagerate, ma si ritiene che l’IA abbia un trend di crescita inevitabile e robusto. Mark Zuckerberg incarna questa visione “mista”: ha ammesso la possibilità di una bolla, “ma il rischio maggiore è non investire abbastanza”. Egli e altri CEO (come Arvind Krishna di IBM) sostengono che, anche se la rivoluzione IA impiegherà anni a portare i suoi frutti, questi saranno enormi e stravolgeranno i modelli di business. Pertanto, qualche eccesso di investimento oggi è visto quasi come fisiologico o addirittura utile. La storia dell’innovazione insegna che ogni nuova tecnologia attraversa un periodo di sperimentazione caotica e hype (basti pensare alla “corsa all’elettricità” di fine ’800, con aziende elettriche sorte ovunque e poi consolidate). Brynjolfsson parla di “J-curve della produttività”: nelle prime fasi una nuova tech può abbassare la produttività (perché bisogna imparare ad integrarla, riorganizzare i processi), ma poi, superato un certo punto, esplodono i guadagni di efficienza. Gli anti-bolla applicano questo concetto all’IA: oggi forse vediamo pochi incrementi misurabili e tanta spesa, ma dal 2025-2026 in poi la curva potrebbe impennarsi, giustificando retroattivamente gli investimenti. Ad esempio, Dario Amodei (CEO di Anthropic) ha previsto che entro il 2027 l’IA sarà “migliore degli umani in quasi tutto” – una timeline ottimistica, ma che riflette la fiducia di molti insider. Se anche la metà di queste previsioni si avverasse, non saremmo in una bolla destinata a scoppiare, ma in un ciclo di innovazione radicale.
Sul piano pragmatico, anche qualora si verificasse una correzione, essa non spazzerebbe via l’IA. Pat Gelsinger, ex CEO Intel, ha detto: “Sì, siamo in una bolla… ma non scoppierà per diversi anni” e quando accadrà sarà una frenata, non un collasso. Questo perché c’è troppa sostanza industriale dietro l’IA: non è una mania su asset intangibili senza utilità, ma è fatta di fabbriche di chip, reti elettriche potenziate, data center globali. In caso di sgonfiamento, semplicemente alcune aziende falliranno e i colossi compreranno i loro asset a sconto, consolidando il settore. Jeff Bezos ha evidenziato che le “bolle industriali” spesso hanno esiti positivi, forti di invenzioni e infrastrutture. Nel caso dell’IA, i “vincitori” potrebbero essere le stesse Big Tech o altre aziende capaci di monetizzare davvero l’IA; comunque, chi investe ora in ricerca e infrastruttura getta basi che rimarranno. Pertanto, contrariamente a bolle puramente finanziarie dove dopo lo scoppio rimane poco (es. tulipani appassiti o schemi speculativi vuoti), qui rimarrebbero dataset, algoritmi avanzati, hardware specializzato, talenti formati. Ad esempio, la bolla dot-com finì male per molte dot-com, ma ci lasciò l’ossatura di Internet, fibra ottica posata ovunque e società come Amazon e Google pronte a guidare l’era successiva. Similmente, anche se ci fosse una riduzione di valutazioni, l’IA non scomparirà né tornerà nell’ombra di un “inverno” lungo, perché ormai è integrata in troppe applicazioni quotidiane (dai motori di ricerca potenziati a decine di servizi intelligenti).
I contrari contestano poi l’idea che “non si vedano utili”. È vero che molte startup IA sono in perdita e che una larga fetta di utenti usa servizi gratuiti (97% degli utenti ChatGPT non paga, secondo dati Menlo Ventures). Ma notano che è un modello di business deliberato: prima si scala la base utenti con versioni free, poi si monetizza su enterprise e premium. Già ora però OpenAI fattura oltre 1 miliardo al mese e, pur prevedendo 8 miliardi di perdita quest’anno, ciò indica che c’è disponibilità a pagare per l’IA (soprattutto lato aziende). Goldman Sachs stima che la spesa globale in IA raggiungerà 500 miliardi $ nel 2026, includendo investimenti corporate e governativi: un mercato enorme e in crescita che genererà ricavi lungo la filiera (per produttori di chip, cloud provider, sviluppatori software). Dunque, più che bolla, è un boom con fondamentali in costruzione. Jan Hatzius, capo economista di Goldman, ha calcolato che l’IA potrà aggiungere un punto di PIL l’anno alla crescita di lungo termine – un impatto reale dietro le valutazioni odierne. Finché rimane questa prospettiva, i mercati possono fluttuare ma difficilmente vedremo un “crollo totale di fiducia”.
Infine, coloro che si oppongono all’idea della “bolla” ridimensionano anche il fattore psicologico: è vero che c’è hype, ma anche molta consapevolezza dei limiti. Non siamo di fronte a un’isteria collettiva, bensì a un ottimismo calibrato. I CEO stessi parlano di “bolla” in modo molto aperto (Altman, Zuckerberg, Gelsinger ne discutono pubblicamente), segno che il settore è auto-cosciente e non accecato. Questo contrasta con bolle passate dove pochi riconoscevano l’eccesso prima dello scoppio. La trasparenza su rischi e sfide (es. Google ammette che l’AI attuale ha problemi di accuratezza, Nvidia riconosce possibili colli di bottiglia produttivi) indica che si sta operando con un minimo di disciplina. Anche Howard Marks, investitore veterano, vede valutazioni elevate ma “non percepisce la frenesia irrazionale” tipica di una bolla. Finché gli attori mantengono cautela e distinguono buone idee da cattive, è più corretto parlare di boom controllato.
Chi sposa questo punto di vista sostiene che l’IA rappresenta un cambiamento di paradigma tecnologico come raramente se ne vedono (paragonabile forse solo all’avvento di Internet o dell’elettricità). In tali fasi, volatilità ed euforia fanno parte del processo di aggiustamento. È normale vedere periodi di “mini-bolla” o corse speculative, ma non saranno essi a definire l’esito finale. L’IA non è un trend effimero creato dal nulla, nasce da decenni di progressi nell’apprendimento automatico, ha già iniziato a risolvere problemi (dalla progettazione farmaceutica all’ottimizzazione logistica) e si sta integrando nelle catene del valore. Pertanto, anche se ci sarà una razionalizzazione (e gli stessi contrari ammettono che qualche esubero c’è), parlare di “bolla” che scoppia equivale a dire che l’IA sia una moda passeggera destinata a dissolversi, cosa che loro respingono. La curva di maturità di Gartner colloca l’IA generativa nel “tunnel della disillusione”? Possibile, replicano, ma la fase successiva è il plateau della produttività, in cui la tecnologia diventa davvero mainstream e redditizia. L’attuale frenesia, dunque, non è un segnale di bolla pronta a esplodere rovinando tutto, bensì il travaglio iniziale di una rivoluzione: qualche velleità cadrà, alcune aziende imploderanno, ma il settore nel complesso continuerà a crescere e l’IA rimarrà la protagonista dell’economia dei decenni a venire.
Nina Celli, 23 ottobre 2025