Nr. 391
Pubblicato il 23/09/2025

Taser alle forze dell’ordine

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Il taser – pistola a impulsi elettrici classificata come arma propria – è entrato nell’armamentario delle forze dell’ordine italiane dopo anni di dibattito. Già nel 2014 un provvedimento del governo autorizzò la sperimentazione del dispositivo, ma il progetto rimase fermo fino al 2018, quando il primo governo Conte (ministro dell’Interno Matteo Salvini) avviò i primi test sul campo. In 11 città furono consegnati 30 taser alla Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza. Secondo i dati ufficiali, tra settembre 2018 e maggio 2019 l’arma venne utilizzata 60 volte – in 47 casi fu sufficiente estrarla per indurre il sospettato alla resa, mentre solo 13 volte si ricorse all’effettiva scarica. La fase di prova terminò nel 2019 con esiti definiti positivi in termini di deterrenza, tanto che nel gennaio 2020 il Consiglio dei ministri stabilì di inserire il taser tra le dotazioni ordinarie delle forze di polizia. Problemi tecnici (difetti nei dispositivi inizialmente acquistati) ne ritardarono la distribuzione, ma nel marzo 2022 il Ministero dell’Interno ha finalmente consegnato 4.482 taser a reparti di 18 città italiane (da Roma a Milano, da Napoli a Torino) avviando la diffusione nazionale. Oggi circa 5.000 taser sono in dotazione a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza in Italia. Dal 2022 anche alcune Polizie locali di grandi città hanno ottenuto il via libera all’uso di questa arma a impulsi.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il taser è un efficace deterrente che riduce la letalità

Il taser offre una via di mezzo tra dialogo e pistola: immobilizza i sospetti senza ucciderli, evitando sparatorie e tragedie.

02 - Il taser è potenzialmente letale e causa delle sofferenze acute che infligge

La scarica elettrica infligge sofferenze acute e, in persone vulnerabili (cardiopatici, in preda a droghe), può innescare arresti cardiaci mortali.

03 - Il taser garantisce maggiore sicurezza per gli operatori e la collettività

I poliziotti possono bloccare aggressori pericolosi a distanza, riducendo il rischio di colluttazioni, ferimenti e situazioni fuori controllo.

04 - L’utilizzo del taser porta il rischio di abusi e di uso improprio su soggetti vulnerabili

Dichiarato “strumento di tortura” dall’ONU, il taser può essere usato impropriamente contro soggetti fragili o non realmente pericolosi, ledendo la dignità umana.

05 - Grazie a protocolli e formazione i rischi sono minimizzati

Con protocolli severi e adeguata formazione il taser risulta sicuro: nella maggioranza dei casi non provoca conseguenze gravi.

06 - Servono alternative, non pistole elettriche

Crisi psichiatriche o situazioni di agitazione vanno gestite con personale specializzato e tecniche non violente: il taser espone a nuovi rischi.

 
01

Il taser è un efficace deterrente che riduce la letalità

FAVOREVOLE

I sostenitori considerano il taser uno strumento di dissuasione non letale fondamentale per evitare esiti tragici negli interventi di polizia. L’introduzione dei taser è stata motivata proprio dalla necessità di colmare il gap operativo tra l’uso della forza fisica e l’arma da fuoco: “non si può passare direttamente dal manganello alla pistola calibro 9”, osservava già nel 2018 Enzo Letizia, segretario dei funzionari di Polizia, ritenendo la pistola elettrica un mezzo intermedio che copre questo vuoto e avrebbe potuto salvare la vita nel caso di Genova (dove un giovane fu ucciso perché l’agente dovette sparare per difendersi). In effetti l’esperienza italiana conferma l’alto potere di deterrenza del taser: durante la sperimentazione 2018-2019, su 60 utilizzi registrati ben 47 interventi si sono risolti senza neppure sparare ma con la sola estrazione dell’arma (o al massimo con una scarica di avvertimento), sufficiente a indurre il sospettato ad arrendersi. Ciò ha evitato colluttazioni rischiose e soprattutto ha scongiurato l’uso di armi letali. Secondo il Viminale, dunque, il taser consente di gestire efficacemente situazioni critiche “evitando l’uso di armi ben più aggressive”, come ha dichiarato il sottosegretario Nicola Molteni. Quest’ultimo ha ribadito che l’adozione dei taser, fortemente voluta fin dal primo governo Conte, ha superato tutti i test operativi e sanitari previsti dalla legge, dimostrandosi efficace e sicura; di conseguenza il governo intende ampliarne l’impiego su scala nazionale. Un altro elemento a favore è la diffusione internazionale: il taser è in dotazione alle forze di polizia di oltre 100 paesi, tra cui tutte le principali democrazie occidentali (dagli Stati Uniti al Regno Unito, dalla Germania alla Francia). Ciò indica che si tratta di uno strumento collaudato e riconosciuto a livello globale come opzione valida per la sicurezza pubblica. Anche in Italia, dopo anni di analisi, le istituzioni hanno concluso che il beneficio – ridurre lo scontro armato – è consistente: secondo Salvini il taser è “un importante deterrente” che in situazioni al limite protegge l’incolumità degli agenti e risulta più efficace di altre misure. In sintesi, la tesi pro-taser evidenzia che questa pistola elettrica può salvare vite: sia quelle dei sospettati, che vengono neutralizzati senza subire colpi di arma da fuoco, sia quelle degli agenti e di terzi, scongiurando scontri corpo a corpo o sparatorie nelle strade. Esemplare è il caso spesso citato di Jefferson Tomalà: se nel 2018 il poliziotto avesse avuto un taser invece della pistola, il giovane – ucciso durante una colluttazione – probabilmente sarebbe ancora vivo. Anche numerosi interventi all’estero andati a buon fine indicano che il taser, usato correttamente, è in grado di fermare aggressori armati evitandone l’abbattimento: le forze dell’ordine dispongono così di un’opzione tattica in più, meno letale, che riduce drasticamente la necessità di sparare proiettili. L’effetto intimidatorio è tale che spesso nemmeno si arriva alla scarica: la sola vista dell’apparecchio giallo o il crepitio dell’arco elettrico inducono il soggetto violento a desistere. Dunque, secondo i favorevoli, il taser è un deterrente efficace che, proprio grazie alla sua presenza, evita escalation di forza e costituisce una garanzia di maggiore sicurezza per tutti.

Nina Celli, 23 settembre 2025

 
02

Il taser è potenzialmente letale e causa delle sofferenze acute che infligge

CONTRARIO

I critici contestano l’etichetta rassicurante di “arma non letale”. Sostengono che il taser possa uccidere o causare danni gravissimi, infliggendo al contempo un dolore intenso assimilabile a tortura. Sin dall’introduzione dei primi modelli, organizzazioni come Amnesty International hanno documentato centinaia di decessi collegati all’uso di taser nel mondo. In un suo rapporto, Amnesty segnalava oltre 500 morti negli Stati Uniti tra il 2001 e il 2012 in episodi dove erano state utilizzate pistole elettriche. Un’inchiesta dell’agenzia “Reuters” ha poi alzato il bilancio ad oltre 1.000 morti dal 2000 al 2018 negli USA. Dati allarmanti emergono anche da altre ricerche: la quasi totalità delle persone decedute dopo essere state colpite dal taser risultavano disarmate, e circa una su quattro soffriva di disturbi mentali o neurologici – spesso dunque soggetti in stato di vulnerabilità. Queste cifre smentiscono l’idea che il taser sia innocuo: di fatto, in diverse circostanze si è rivelato mortale. Il meccanismo principale di pericolo è l’innesco di aritmie cardiache: la scarica da 50.000 volt, seppur di breve durata, può interferire con l’elettricità del cuore. Esperti cardiologi avvertono che persino su soggetti sani un taser può causare fibrillazione ventricolare (aritmia letale); su individui con patologie cardiache latenti il rischio di arresto risulta notevolmente maggiore. Inoltre, la ripetizione delle scariche – in alcuni casi le forze dell’ordine hanno premuto il grilletto più volte sullo stesso bersaglio – amplifica lo stress fisico: respirazione compromessa, acidosi metabolica e altre reazioni possono portare al collasso organico. Un esempio italiano fu la morte di Riccardo Magherini (Firenze 2014): sebbene lì non fosse coinvolto un taser ma uno spray e una colluttazione, la condizione di “excited delirium” (delirio da sostanze) lo rese ipersensibile a qualsiasi intervento coercitivo. I detrattori temono che il taser, in situazioni analoghe, possa essere il colpo finale su un organismo già allo stremo. La recente tragedia di Simone Di Gregorio a Chieti (agosto 2023) – paziente psichiatrico 35enne morto dopo che la polizia lo bloccò con taser perché in escandescenze – viene citata come caso emblematico di come la combinazione di fattori (agitazione estrema e scossa elettrica) abbia esiti fatali. Sul piano delle sofferenze inflitte, numerose testimonianze di sopravvissuti descrivono il taser come uno strumento che provoca dolore lancinante. Irene Testa riferisce di persone che dopo il fermo con taser hanno avuto convulsioni, perdita di controllo di sfinteri (feci e urine), svenimenti. Gli effetti sono tanto traumatici che il Comitato ONU contro la tortura già nel 2007 definì il modello Taser X26 “uno strumento di tortura” in quanto causa un dolore acuto esorbitante rispetto agli scopi di ordine pubblico. L’ONU giudicò l’uso di queste armi una violazione della Convenzione contro la tortura, posizione ribadita anche dal Parlamento Europeo in alcune risoluzioni (non vincolanti) che ne sconsigliavano l’adozione. I critici concordano: se un dispositivo provoca un dolore così forte e può portare alla morte, rientra in una zona grigia eticamente inaccettabile. Viene ricordato come persino il Garante nazionale dei detenuti, in Italia, avesse avvertito che la definizione “non letale” è fuorviante e che il taser comporta “oltre alla perdita di controllo muscolare, un dolore acuto”, con possibili traumi da caduta e “nei casi più gravi, la morte per arresto cardiaco”. Queste parole, scritte in un rapporto ufficiale, confermano che anche nel nostro ordinamento c’è consapevolezza del potenziale letale dello strumento. Dal punto di vista scientifico, i detrattori segnalano che molte ricerche sulla sicurezza del taser sono state finanziate o influenzate dai produttori e testate su volontari sani (spesso agenti di polizia stessi durante l’addestramento). Tali studi sottovalutano gli effetti su popolazioni fragili (malati cronici, persone sotto sostanze ecc.) che invece nella realtà sono frequentemente coinvolte. Il cardiologo Angelo Beltrami (volontario Naga) nota che la maggior parte degli studi sui rischi del taser si è fatta su giovani sani, non rispecchiando i casi reali d’uso. Il collega Massimo Romano aggiunge che un cardiopatico è molto più a rischio e che l’Europa conta centinaia di migliaia di cardiopatici congeniti – non certo un fenomeno raro nella popolazione. Un documento del Consiglio d’Europa (CPT) già nel 2010 raccomandava agli Stati di astenersi dall’utilizzo di taser su categorie vulnerabili (anziani, donne incinte, soggetti con problemi cardiaci) proprio per la mancanza di studi approfonditi sugli effetti su di essi. Eppure, notano i critici, queste raccomandazioni spesso non vengono seguite in situazione concitate. In definitiva, chiamare il taser “meno letale” non significa affatto “non pericoloso”. Al contrario, può uccidere – e lo ha già fatto – così come provoca un dolore severo che almeno in certi contesti appare sproporzionato (ad esempio su persone con disturbi mentali in crisi). Per questo motivo si chiede estrema cautela o addirittura la sospensione: finché non si riuscirà a garantire che un taser non mandi in arresto cardiaco un 30enne agitato o un 50enne con la fibrillazione, i critici affermano che il suo utilizzo non dovrebbe essere consentito o quanto meno vada limitato al massimo.

Nina Celli, 23 settembre 2025

 
03

Il taser garantisce maggiore sicurezza per gli operatori e la collettività

FAVOREVOLE

Un argomento cardine a favore del taser è che esso aumenta la sicurezza degli agenti di polizia durante gli interventi e, di riflesso, tutela anche i cittadini. Disporre di un taser significa poter neutralizzare un soggetto pericoloso mantenendo la distanza di sicurezza, senza ingaggiare colluttazioni corpo a corpo in cui l’operatore rischia di venire sopraffatto o ferito. Diversi sindacati di polizia sottolineano questo aspetto: il taser viene definito uno “strumento difensivo” che consente di bloccare individui violenti evitando contatti fisici ravvicinati. Il Sindacato autonomo di polizia (SAP), all’indomani della distribuzione dei taser nel 2022, parlò di “un importantissimo risultato perseguito da molti anni”, proprio in funzione della tutela degli operatori sul campo. Anche il sottosegretario Molteni ha rimarcato che l’arma ad impulsi garantisce deterrenza e sicurezza per gli operatori, riducendo la necessità di misure più cruente. Vi sono casi concreti in cui la disponibilità (o meno) del taser ha fatto la differenza per l’incolumità degli agenti: l’Associazione Funzionari di Polizia ricorda ad esempio l’episodio di Milano Lambrate, in cui un ispettore venne accoltellato da un soggetto fuori controllo perché la scarica del taser – da lui utilizzato – non ebbe effetto a causa del giubbotto dell’aggressore. In quel frangente, il malfunzionamento del dispositivo “per poco non costò la vita a un servitore dello Stato”. Questo esempio paradossale (un taser inefficace) viene citato dai fautori per mostrare quanto gli operatori contino su questo strumento per non trovarsi esposti ai colpi degli aggressori. Se il taser avesse funzionato correttamente, l’aggressore sarebbe stato subito immobilizzato e l’ispettore non avrebbe riportato gravi ferite. Altri casi di cronaca attestano che il taser ha protetto gli agenti: secondo dati interni, fin dal periodo di prova 2018-19, in decine di interventi la scarica elettrica ha consentito di sopraffare individui armati di coltello o altri oggetti pericolosi senza che alcun poliziotto restasse ferito (mentre in passato tentare di bloccare a mani nude persone in stato di furia ha causato coltellate e traumi agli operatori). Il taser, dunque, tutela chi ogni giorno rischia la vita in strada: questa è anche la posizione espressa dalla Federazione Sindacale di Polizia (FSP), che ha criticato aspramente le richieste di sospendere l’arma dopo gli episodi del 2025. Secondo il segretario FSP Valter Mazzetti, le polemiche “ideologiche” vorrebbero “operatori di polizia totalmente indifesi”, il che equivarrebbe a lasciare indifesa la cittadinanza. Mazzetti rivendica il diritto degli agenti ad avere dotazioni adeguate per affrontare soggetti violenti: non di rado gli interventi riguardano persone armate di coltelli, bastoni o altri oggetti (o dotate di forza fisica fuori dal comune) che mettono in pericolo l’incolumità degli operatori e dei presenti. In queste situazioni, affermano i pro-taser, l’arma elettrica offre una soluzione rapida e a distanza per mettere in sicurezza tutti. Un esempio citato in ambito locale: a Bologna la polizia municipale si trova spesso a fronteggiare “balordi e personaggi a rischio” (come tossicodipendenti aggressivi, esagitati in strada ecc.) e disporre del taser ridurrebbe il pericolo sia per gli agenti sia per i cittadini coinvolti nelle scene. La sicurezza urbana ne trarrebbe beneficio: lo sottolineano diversi sindaci e amministratori (soprattutto di centrodestra) che hanno sostenuto l’introduzione dei taser nei corpi di Polizia locale. Ad esempio, a Roma e Milano i vigili urbani sono stati dotati di taser in via sperimentale, con il plauso di chi ritiene l’arma utile a far fronte a situazioni critiche (risse, persone fuori controllo) senza attendere rinforzi armati. Va poi considerato l’effetto preventivo sul comportamento stesso dei fermati: sapendo che l’operatore è provvisto di taser – e avvertito di ciò, come impone la procedura – il soggetto potrebbe essere meno incline ad azioni di resistenza violenta, temendo la scarica elettrica. In tal senso, il taser protegge non solo gli agenti ma anche i sospetti stessi: li dissuade dall’innescare reazioni pericolose che potrebbero portare gli operatori a usare metodi più contundenti (come il manganello) o persino l’arma da fuoco. Riducendo la reciprocità della violenza, l’intervento di polizia diventa più sicuro per tutti i partecipanti. I favorevoli concludono che negare alle forze dell’ordine questo strumento equivarrebbe a privarle di un mezzo di difesa importante: un atteggiamento ideologico che rischia di far trovare l’operatore in situazioni dove ha in mano solo la pistola – con conseguenze ben peggiori – o, all’opposto, lo espone a lesioni gravi cercando di bloccare a mani nude individui pericolosi.

Nina Celli, 23 settembre 2025

 
04

L’utilizzo del taser porta il rischio di abusi e di uso improprio su soggetti vulnerabili

CONTRARIO

Le organizzazioni per i diritti umani e diversi osservatori denunciano che il taser tende ad essere impiegato anche quando non strettamente necessario, spesso su persone in condizioni di fragilità, configurando potenziali abusi e violazioni dei diritti. Amnesty International ha più volte evidenziato un pattern preoccupante: le armi a scarica elettrica vengono talvolta usate in modo discriminatorio o eccessivo “nei confronti di persone vulnerabili o che non rappresentano una minaccia seria e immediata”. Ciò significa che invece di riservarle a situazioni estreme (es. aggressore armato in procinto di ferire qualcuno), in vari Paesi le forze dell’ordine hanno impiegato il taser su individui già controllati o che opponevano resistenza passiva. Un’inchiesta condotta negli Stati Uniti ha rivelato come molte vittime del taser appartenessero a minoranze marginalizzate (in primis comunità afroamericane), alimentando il sospetto che vi sia un uso improprio mirato di questi strumenti contro gruppi vulnerabili o poco tutelati. Anche in Europa Amnesty ha documentato casi di abuso in Polonia, negli Stati Baltici e persino in Italia: nel 2016 risultò che alcuni migranti appena sbarcati a Pozzallo erano stati minacciati o colpiti con taser dagli addetti alla sicurezza, nonostante fossero semplicemente in condizione di tensione dopo la traversata. I detrattori temono che considerare il taser “meno pericoloso” porti gli agenti a farne ricorso troppo facilmente, in situazioni dove invece servirebbe pazienza e capacità di de-escalation. Un importante studio dell’associazione legale Strali (2023) ha analizzato decine di interventi con taser in Italia, concludendo che in generale l’uso del taser ha sostituito più l’uso delle mani che quello delle armi da fuoco. In pochissimi casi – afferma Strali – la situazione era tale da giustificare uno sparo di pistola; più spesso i taser sono stati usati su soggetti che avrebbero potuto essere contenuti anche senza armi letali. Questo dato ribalta la narrativa pro: invece di essere utilizzato al posto della pistola in casi di pericolo estremo (come scenario ideale), il taser viene utilizzato in aggiunta dove prima si interveniva con metodi blandi (persuasione, forza fisica controllata). Ciò comporta un rischio di eccessi di forza. Ad esempio, viene menzionato che molti interventi con taser riguardano persone con disturbi psichiatrici o sotto pesante effetto di droghe. In tali casi spesso sarebbe opportuno adottare strategie diverse (intervento di sanitari, contenimento calmo), ma la presenza del taser può indurre gli agenti a risolvere rapidamente la situazione con una scarica elettrica. Purtroppo, queste categorie di soggetti sono proprio quelle più a rischio di subire danni gravi dal taser – come evidenziato nella tesi precedente – il che crea un paradosso per cui chi è più vulnerabile finisce per essere colpito di più e con conseguenze peggiori. La morte a Chieti del 35enne Simone (affetto da problemi mentali) dopo un intervento con taser è vista come tragica conferma di ciò. Altro ambito di potenziale abuso è la fase di arresto: diversi video internazionali mostrano persone già a terra e circondate da agenti, colpite comunque da ulteriori scariche di taser come strumento punitivo o per ottenere sottomissione rapida. Questo è contrario alle regole, ma succede – e il timore è che possa accadere anche in Italia in mancanza di trasparenza. A tal proposito, Amnesty Italia (Riccardo Noury) lamenta la scarsità di informazioni e dati pubblici sull’uso del taser da parte delle forze dell’ordine italiane. Senza dati granulari, è difficile monitorare eventuali abusi o imparare dalle criticità. I critici sostengono inoltre che l’adozione del taser abbia in alcuni casi un significato simbolico di “mano dura” che può incoraggiare atteggiamenti aggressivi. Ad esempio, nel 2022-2023 diversi comuni (Roma, Milano) hanno visto pressioni politiche per dotare la Polizia locale di taser come “risposta” al degrado urbano. In un articolo su “Il Manifesto” si definiva il taser il “feticcio dei cultori della tolleranza zero di scuola statunitense”, suggerendo che dietro la spinta a introdurlo ovunque vi sia una mentalità repressiva più che reali esigenze operative. Irene Testa afferma che “la questione è complessa e non va strumentalizzata”, esprimendo timore che si stia affrontando il disagio psicosociale con il metodo spiccio dell’elettroshock anziché con politiche di cura e prevenzione. In aggiunta, definire il taser “arma di ordinanza” (come fatto dal governo Conte II nel 2020) e addestrare migliaia di agenti al suo uso potrebbe portare a una normalizzazione: ciò che era straordinario diventa routinario. Noury di Amnesty teme proprio questo: che col tempo si consideri accettabile vedere manifestanti o studenti storditi a terra invece che manganellati – “la situazione mi spaventa”, dice. In sintesi, i contrari sostengono che il taser presti il fianco a usi eccessivi o impropri, specialmente su chi non è in grado di difendersi (malati, persone confuse, minoranze). Viene citata anche l’ipotesi – per ora scongiurata – di introdurlo nelle carceri: un’idea lanciata da esponenti della Lega e giudicata da Antigone “estremamente pericolosa”, perché dare taser alla polizia penitenziaria aprirebbe la porta a potenziali abusi verso detenuti, categoria per definizione vulnerabile e in potere totale degli agenti. Fortunatamente, nota Testa, il governo ha frenato su questo (nessun taser in carcere per ora), ma il solo averlo proposto indica come si rischi di spingersi oltre. Per i critici, la conclusione è netta: il taser è uno strumento che facilita l’abuso di forza e che rischia di colpire proprio le persone più fragili, in violazione dei loro diritti fondamentali. Per questo ne chiedono la sospensione o comunque una fortissima limitazione d’uso, riservandolo a casi rari e davvero estremi (sempre con monitoraggio indipendente).

Nina Celli, 23 settembre 2025

 
05

Grazie a protocolli e formazione i rischi sono minimizzati

FAVOREVOLE

I sostenitori ammettono che il taser, come qualsiasi arma o strumento di coercizione fisica, comporta dei rischi, ma ritengono che tali rischi siano molto contenuti e gestibili tramite un uso appropriato, regolato da protocolli rigidi e da un addestramento accurato. In Italia l’impiego del taser è inquadrato da precise Linee guida ministeriali emanate nel 2018, che insistono sul carattere di ultima risorsa e sulle cautele operative da adottare. Ogni operatore che porta il taser ha seguito un apposito corso di formazione, al termine del quale è abilitato all’uso dell’arma nel rispetto di tre principi fondamentali: necessità, proporzionalità e adeguatezza. Questo significa che il taser va utilizzato solo se strettamente necessario (quando altre tecniche di minor impatto non sarebbero efficaci), in modo proporzionato alla minaccia (ad esempio contro un soggetto realmente pericoloso e non su chiunque) e con adeguate precauzioni legate al contesto e alle condizioni della persona. Le procedure italiane impongono all’operatore una sequenza graduale: prima dichiarare al soggetto di avere un taser e mostrarlo bene in vista; poi eventualmente effettuare un “warning arc” (scarica a vuoto tra gli elettrodi che produce crepitio e luce, senza colpire) per intimidire; solo se ciò non sortisce effetto procedere a sparare i dardi. Inoltre, l’operatore deve – per quanto possibile – valutare l’ambiente (es. evitare di usare il taser se il soggetto è su un albero o in acqua, per il rischio caduta o shock) e individuare eventuali segnali di vulnerabilità (una donna incinta, una persona anziana o disabile) da non colpire se non in situazioni estreme. Una volta immobilizzato il soggetto, i protocolli prevedono di richiedere sempre assistenza medica immediata, a prescindere dallo stato apparente della persona, così da garantire un controllo sanitario (per esempio, verifica del ritmo cardiaco). Queste linee guida, approvate anche dal Ministero della Salute, dimostrano che l’uso del taser è attentamente normato per mitigare i potenziali effetti collaterali. Sul piano empirico, i pro-taser citano dati rassicuranti: uno studio condotto nel 2010 sugli esiti del taser indicava che nel 99,7% dei casi il suo impiego non causa danni gravi, mentre solo nello 0,3% dei casi la persona necessita di trattamenti medici (comunque non letali). Ciò suggerisce un livello di sicurezza elevatissimo se l’arma è usata correttamente. Anche le statistiche più recenti del Dipartimento di Pubblica Sicurezza confermano che i casi di malore successivi all’uso del taser sono rarissimi a fronte di centinaia di interventi effettuati (oltre 1.100 utilizzi tra 2022 e 2023 senza decessi direttamente attribuiti alla scarica). I sostenitori riconoscono che in circostanze particolari – ad esempio soggetti con gravi patologie cardiache nascoste – il rischio zero non esiste, ma sottolineano come lo stesso valga per tutti i metodi coercitivi: anche uno spray al peperoncino può causare insufficienza respiratoria in un asmatico, anche una colluttazione a mani nude può portare a traumi letali se la persona cade male. Il taser, dal canto suo, è progettato con accorgimenti di sicurezza: ad esempio le scariche standard durano al massimo 5 secondi per limitare lo stress sul corpo; l’arma italiana (Axon X2) ha un amperaggio relativamente basso e viene calibrata secondo le indicazioni del Ministero della Salute. L’azienda produttrice insiste che non vi sono evidenze scientifiche di un nesso diretto tra taser e arresti cardiaci fatali, e che anzi l’evoluzione tecnologica (ultimo modello Taser 10) punta a rendere il dispositivo sempre più preciso ed affidabile così da ridurre ancor di più qualsiasi conseguenza indesiderata. Gli operatori di polizia italiani, evidenziano i favorevoli, sono addestrati a rispettare le procedure e a non abusare dello strumento. I fatti di cronaca più controversi vengono letti in quest’ottica: ad Olbia e Genova (2025), ad esempio, i militari hanno seguito l’iter previsto (hanno tentato di far desistere i soggetti, poi hanno usato il taser di fronte a comportamenti altamente pericolosi) e purtroppo si sono verificati decessi – ma l’inchiesta di Olbia ha accertato che la morte non è dipesa dalla scarica elettrica bensì da un infarto causato da un insieme di fattori pregressi (cardiopatia, droga, stato di agitazione). Ciò, secondo alcuni, dimostra che demonizzare il taser è scorretto: si rischia di attribuire allo strumento colpe che non ha, quando invece la tragica combinazione di condizioni della vittima (eccitazione delirante, fragilità fisica) avrebbe potuto portare a esito fatale anche con metodi diversi. La presenza di un medico subito dopo l’uso – come impongono le regole – serve proprio a scongiurare questo tipo di eventi, consentendo un intervento rianimatorio tempestivo, se necessario. In definitiva, i favorevoli sostengono che seguendo attentamente protocolli e addestramento, il taser può essere impiegato in modo molto sicuro: i casi di incidenti gravi sono estremamente rari (nell’ordine di frazioni di punto percentuale) e statisticamente analoghi o inferiori ai rischi legati ad altri strumenti di coercizione in dotazione. Pertanto, a fronte dei benefici in termini di vite salvate e feriti evitati, i vantaggi superano di gran lunga i rischi residuali. L’appello dei pro-taser è di non lasciarsi guidare dall’emozione di fronte a eventi isolati ma di valutare i dati nel complesso, mantenendo equilibrio: come scrive Letizia, bisogna riconoscere i limiti del taser senza negarne i rischi, ma anche senza ipocrisie – ricordando che ogni scelta in operazioni di polizia comporta un margine di pericolo e il taser, numeri alla mano, lo riduce anziché ampliarlo.

Nina Celli, 23 settembre 2025

 
06

Servono alternative, non pistole elettriche

CONTRARIO

Un’ulteriore punto di vista sposta il focus dal taser in sé al contesto di utilizzo, argomentando che l’introduzione di questa arma rischia di essere un palliativo tecnologico a problemi che dovrebbero invece essere affrontati con metodi diversi: maggiore formazione del personale, protocolli di intervento multidisciplinari e investimenti in risorse umane (mediatori, sanitari) invece che in armamenti. Molti dei casi in cui la polizia si trova a usare la forza – notano i detrattori – riguardano persone con disturbi psichiatrici, crisi di panico, tentativi di suicidio, oppure individui in stato di alterazione dovuto ad alcol o droga. In queste situazioni, dotare gli agenti di un taser può sembrare offrire una soluzione rapida, ma è una risposta semplicistica che non risolve il problema di fondo e anzi può aggravarlo. Irene Testa sottolinea: “cosa facciamo, il Far West?”, riferendosi al pericolo di affidarsi solo a strumenti coercitivi invece di predisporre squadre miste con psicologi, psichiatri o negoziatori per gestire chi è fuori controllo a causa di un malessere. Un intervento di polizia accompagnato da un medico avrebbe, in molti casi, migliori chance di risolvere senza violenza situazioni critiche: ad esempio calmando un esagitato con parole rassicuranti o, se necessario, con un sedativo somministrato da un sanitario, piuttosto che sparandogli scariche elettriche che possono esasperarne la reazione. I critici evidenziano come in diversi Paesi si stiano adottando approcci innovativi di de-escalation, formando gli agenti a trattare con persone in crisi senza ricorrere subito alla forza. Investire in questi approcci richiede tempo e risorse; al contrario, fornire un taser a ogni pattuglia può apparire una scorciatoia. Ma questa scorciatoia – avvertono – presenta il conto: “se il soggetto si sente braccato e prova forti dolori [dal taser], può reagire in modo ancora più scomposto”, osserva Testa. Dunque, l’arma elettrica potrebbe perfino esacerbare certe situazioni invece di risolverle, soprattutto se l’individuo è in preda a un delirio o non è pienamente cosciente delle proprie azioni. La cronaca offre esempi anche in tal senso: nel caso di Winston Smith (nome di fantasia) a Minneapolis, un uomo affetto da disturbo bipolare venne colpito da taser durante una crisi e poi sparò contro gli agenti; si aprì il dibattito se il taser avesse scatenato una reazione imprevedibile in un soggetto mentalmente instabile. Sul fronte della formazione, i critici in Italia lamentano che non sia stata sufficientemente approfondita. Si chiedono: quanti e quali operatori sono stati formati? Che durata ha avuto il training? Irene Testa evidenzia la mancanza di trasparenza su questo: “non si sa […] quanto dura il corso per preparare il personale all’uso dell’arma”. Se il corso è troppo breve o teorico, c’è il rischio che l’operatore sul campo – magari giovane e con poca esperienza – abusi del taser per eccesso di zelo o paura, laddove un collega più formato tenterebbe prima altre vie. Un adeguato addestramento dovrebbe insegnare a riconoscere i segnali di una emergenza sanitaria vs. criminale: per esempio, un soggetto in preda a un episodio psicotico non va affrontato come un delinquente aggressivo, ma come una persona da proteggere anche da se stessa. Utilizzare un taser su di lui potrebbe costituire “una scorciatoia che in realtà è un vicolo cieco”, commentano alcuni esperti di salute mentale. Inoltre, l’adozione del taser potrebbe distogliere l’attenzione dalle riforme necessarie nelle forze di polizia. Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi (diciottenne morto nel 2005 durante un fermo violento), in occasione dell’introduzione del taser nel 2022 dichiarò: “più che nuove armi servirebbero formazione psico-fisica e consapevolezza democratica” tra gli agenti. Questo punto è cruciale: diversi abusi o tragedie in operazioni di polizia sono avvenuti per errori procedurali, mancanza di self-control o preparazione inadeguata degli operatori, non per assenza di strumenti coercitivi. Ad esempio, nel caso Aldrovandi non c’era certo carenza di manganelli – fu l’eccesso di violenza a causare la morte del ragazzo. Analogamente, nel pestaggio del carcere di Santa Maria Capua Vetere (2020), citato spesso nel dibattito, le forze dell’ordine hanno commesso abusi gravissimi usando celerini e sfollagente: fornire un taser a quelle stesse unità non avrebbe risolto nulla, forse avrebbe aggiunto un ulteriore mezzo di sopraffazione. Luigi Manconi (attivista per i diritti umani) osserva che introdurre i taser senza prima affrontare problemi strutturali (come la formazione sui diritti umani e la gestione del conflitto) rischia di essere un provvedimento di facciata. I critici ricordano che nel 2017-2018, all’epoca della sperimentazione, invece di investire in un monitoraggio indipendente degli effetti del taser, l’allora governo scelse di promulgare una legge che escludeva il reato di tortura nei casi di uso legittimo di armi come il taser (una norma contestata perché apparve come uno “scudo” per l’arma nuova). Questo clima legislativo, a loro avviso, non ispira fiducia sul fatto che vengano individuati e sanzionati eventuali errori nell’uso del taser. Una serie di oppositori (in particolare nell’area politica di sinistra) chiede ora una moratoria: dopo i decessi di Olbia e Genova, esponenti di Alleanza Verdi-Sinistra e del Movimento 5 Stelle hanno invocato la sospensione nazionale dei taser in attesa di verificarne la sicurezza. Secondo la sen. Stefania Pucciarelli (opposizione, già sottosegretario alla Difesa), non si possono “strumentalizzare episodi drammatici per minare la credibilità di chi rischia la vita ogni giorno”, ma al contempo è doveroso chiedersi se la dotazione di taser a tappeto sia la strada giusta. In altre parole, per i critici serve un ripensamento generale: potenziare le dotazioni non letali può essere utile solo se accompagnato da riforme profonde nelle modalità di intervento e da una riduzione dell’uso della forza in favore di tecniche di negoziazione. Finché ciò non avverrà, introdurre nuovi strumenti rischia di essere controproducente. La tesi contraria conclude quindi che lo Stato dovrebbe investire meno in armi e più in formazione e risorse umane: psicologi, mediatori culturali, corsi di gestione dello stress per gli agenti, conoscenze medico-sanitarie di base in ogni pattuglia. Queste sarebbero le “armi” più efficaci per evitare sia di dover sparare con la pistola, sia di dover ricorrere al taser. In sostanza, più testa e meno taser: uno slogan citato da alcuni attivisti per indicare che l’ordine pubblico si tutela meglio con poliziotti formati a capire le situazioni, anziché equipaggiati con un arsenale sempre più ricco ma potenzialmente dannoso.

Nina Celli, 23 settembre 2025

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