Omicidio Charlie Kirk: una tragedia strumentalizzata dalla destra
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il 10 settembre 2025 l’attivista conservatore Charlie Kirk – figura di spicco del movimento giovanile trumpiano e co-fondatore di Turning Point USA – è stato ucciso da un colpo di fucile durante un evento universitario nello Utah. L’omicidio ha scosso gli Stati Uniti, innescando immediate reazioni di sdegno bipartisan: esponenti di entrambi i partiti hanno condannato la violenza politica, definendola “inaccettabile”. Il governatore repubblicano dello Utah Spencer Cox ha parlato di “assassinio politico” e ordinato bandiere a mezz’asta in onore di Kirk, pur ammettendo che il movente restava ignoto e invitando a non trarre conclusioni affrettate. Parallelamente, la Casa Bianca, con Trump, ha rapidamente inquadrato l’episodio come parte di una presunta spirale di violenza politica scatenata dalla sinistra radicale americana. In un discorso serale, il presidente Donald Trump ha ricordato Kirk come “il migliore d’America”, accusando i suoi oppositori di avere “comparato meravigliosi americani come Charlie ai nazisti” e sostenendo che “questo tipo di retorica è direttamente responsabile del terrorismo a cui assistiamo oggi”. La tesi presidenziale – incentrata sull’idea che l’odio politico proveniente da sinistra abbia armato la mano dell’assassino – è diventata immediatamente terreno di scontro pubblico in un’America già profondamente polarizzata.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La destra radicale utilizza la morte di Kirk come arma propagandistica, additando subito la sinistra quale colpevole e alimentando artificialmente paura e odio.
Un fanatico anticonservatore ha colpito Kirk, prova del clima d’odio alimentato dai settori radicali progressisti.
Gridare al complotto “rosso” distoglie l’attenzione dalle vere cause (radicalizzazione online, clima d’odio generale) e deresponsabilizza l’assassino.
Denunciare pubblicamente e rimuovere dalle istituzioni chi diffonde odio anticonservatore, per arginare l’incitamento alla violenza.
La destra diffonde una retorica da guerra civile che incita vendette e ulteriori violenze, minando il dibattito libero e la fiducia nelle istituzioni.
Il lutto per l'uccisione di Kirk viene strumentalizzato per imporre una narrazione unica e zittire le voci scomode.
La destra radicale strumentalizza la tragedia a scopi propagandistici, alimentando l’odio
I critici sostengono che l’omicidio di Kirk sia stato cinicamente usato dalla destra per rafforzare le proprie narrazioni, senza attendere fatti o indagini. Poche ore dopo la sparatoria, figure di spicco dell’area MAGA hanno immediatamente accusato “la sinistra radicale” come mandante morale, dipingendo Kirk come “martire” di uno scontro epocale tra bene e male politico. Questa reazione “a caldo” – secondo i favorevoli a questa tesi – rivela un chiaro intento politico: sfruttare l’emotività del momento per cementare il proprio fronte e delegittimare in blocco gli avversari. La premier italiana, Giorgia Meloni, ad esempio, ha subito inquadrato la vicenda come prova che “da che lato stanno la violenza e l’intolleranza”, cioè a sinistra. In Spagna, il leader di Vox Abascal ha trasformato il comizio in un “processo” alla sinistra, definendo l’omicidio Kirk “evidenza ripetuta” della violenza intrinseca dei progressisti. Secondo “L’Espresso”, Meloni e altri esponenti governativi hanno ridotto un problema complesso (il clima d’odio) a uno schema binario “noi contro voi”, alimentando la polarizzazione anziché favorire un’analisi seria. Questa strumentalizzazione è ritenuta spregiudicata: “Left” la definisce “campagna sull’omicidio” spinta fino alla “necrofilia politica”, poiché la destra “usa un cadavere come megafono” per fare consenso.
Nel fare ciò, la destra avrebbe offuscato la verità e distorto i fatti. Si nota che fin da subito i propagandisti MAGA hanno dato per scontato un movente “di sinistra” pur in assenza di prove. L’ipotesi di un attentato orchestrato dalla sinistra radicale è stata trattata come assodata, quando le autorità stesse dichiaravano di “non conoscere ancora il movente” e cercavano un “person of interest” poi rilasciato. Questa certezza preconfezionata serve – secondo “Il Fatto Quotidiano” – a imporre una “inversione di causalità” utile alla politica di parte: per Trump, definire la retorica di sinistra “direttamente responsabile” dell’omicidio significa spostare la colpa dall’individuo criminale a una collettività astratta (i democratici). Un “sofisma tossico”, lo chiama Millimaggi, che “offusca la verità più che cercarla” e deresponsabilizza l’assassino. In pratica, la vittima Kirk viene santificata e posta su un piedistallo intoccabile, mentre i suoi oppositori politici vengono demonizzati in massa come correi morali dell’omicidio. Ciò crea un cortocircuito: “la scomparsa di una persona non cancella magicamente il suo percorso, idee o controversie”, e la morte di Kirk “non può assolverlo retroattivamente” né rendere sacre tutte le sue posizioni. Invece, la destra – secondo questi critici – sta sfruttando emotivamente la morte per imporre una narrazione di vittimismo e assoluzione totale: Kirk elevato a “leggenda” (Trump lo ha definito “The Great, Legendary Charlie Kirk”) e al tempo stesso la sua agenda esente da ogni discussione critica, come se la tragedia dovesse “congelare” ogni divergenza. “Si recita indignazione a comando, si cancella la realtà e si fabbrica il nemico” – scrive Giulio Cavalli – e alla fine “Meloni non parla di Kirk, parla di sé: usa un cadavere come specchio” per autocelebrarsi.
I sostenitori di questa visione sottolineano anche l’ipocrisia insita in tale atteggiamento. Mentre la destra sovranista pretende unanime cordoglio per Kirk, la stessa solerzia non si è vista in casi analoghi che non tornavano utili politicamente. “The Daily Beast” ricorda che Trump ha ordinato bandiere a mezz’asta per Kirk ma non fece altrettanto, pochi mesi prima, per la democratica Hortman assassinata in Minnesota. Quando gli è stato chiesto conto di questa disparità, il presidente ha tergiversato, ammettendo di non aver contattato il governatore Walz perché sarebbe stato “tempo sprecato”. Un evidente doppio standard: certi omicidi “valgono” indignazione nazionale, altri vengono minimizzati. Questo criterio selettivo indebolisce la sincerità dell’allarme lanciato dalla destra. Inoltre – nota “La Discussione” – Trump e alleati hanno condannato con veemenza l’omicidio di Kirk come “violenza politica intollerabile” ma contestualmente hanno “ignorato gli atti violenti contro i democratici”, al punto che alcuni commentatori hanno accusato la Casa Bianca di strumentalizzare la tragedia per partigianeria. Che credibilità ha chi cita solo le violenze subìte dal proprio schieramento e omette deliberatamente quelle patite dagli avversari? Questa indignazione a senso unico suggerisce un uso strumentale più che un genuino intento di pacificazione.
Ulteriore elemento addotto è il “rumore di fondo” complottista che la strumentalizzazione di destra ha fomentato. Gonfiare la vicenda in chiave ideologica ha finito per attirare tesi cospirative grottesche che però proliferano nell’ecosistema mediatico: Linkiesta riferisce di insinuazioni deliranti (come il “complotto giudaico” per sacrificare Kirk, accusando addirittura il governo israeliano) rilanciate perfino da una testata italiana di estrema destra. Pur essendo idee minoritarie e “avvilenti”, queste teorie trovano terreno fertile nel clima infiammato e polarizzato, andando a sommarsi alla generale distorsione. Secondo i critici, alimentare un “dibattito in due tronconi egemoni” contrapposti – patrioti vs odiatori – come osserva Pellegrino, ha spinto gli estremi di entrambe le parti a estremizzare ancora di più (da una parte i “martiri” e dall’altra il “se l’è cercata”). In sintesi, secondo questo punto di vista, l’omicidio Kirk non viene affrontato con serietà e unità per capirne le cause profonde e prevenire future violenze, ma viene immediatamente piegato alle esigenze propagandistiche di uno schieramento: viene brandito come “prova” per colpire l’avversario politico, seguendo un copione predefinito e convenientemente semplificatorio. Questa strumentalizzazione, a giudizio dei favorevoli, disonora la memoria della vittima, inganna l’opinione pubblica e peggiora il già precario equilibrio democratico.
Fonti indipendenti e voci autorevoli hanno evidenziato proprio questo meccanismo. “Agenda Digitale” nota come le accuse alla sinistra di aver “istigato” l’omicidio siano partite immediatamente, persino in Italia, “prima facie” che si potesse conoscere il movente reale. “L’Espresso” riporta la denuncia di Nardella: invece di analizzare le cause del clima di violenza, Meloni ha preferito “cercare solo contrapposizione noi vs voi per alimentare odio”. “Left” parla di “bugia e indecenza” proprio riferendosi alla manipolazione politica di questa morte. “ISPI”, con la riflessione storica di Mario Del Pero, ricorda che Trump ha subito “gettato benzina sul fuoco” indicando un colpevole politico “prima ancora di conoscere il responsabile reale”, proseguendo così la pericolosa spirale di delegittimazione reciproca. Tutto ciò configura un pattern di strumentalizzazione evidente: un tragico fatto di sangue piegato a casus belli nella retorica partigiana, a scapito della verità fattuale e della ricerca condivisa di soluzioni.
Nina Celli, 18 settembre 2025
L’omicidio Kirk dimostra la violenza dell’estrema sinistra: non c’è strumentalizzazione, ma legittima denuncia di un problema reale
I sostenitori di questa tesi respingono l’accusa di sfruttare politicamente la vicenda e sostengono, al contrario, che la morte di Charlie Kirk conferma un trend preoccupante di violenza politica proveniente da settori radicali di sinistra, che finora sarebbe stato sottovalutato o minimizzato. Dal loro punto di vista, evidenziare questa realtà e inquadrarla politicamente non è strumentalizzazione, bensì un atto dovuto di verità e una difesa legittima.
Innanzitutto, sottolineano che emergono precisi indizi di matrice ideologica nell’omicidio: il governatore Cox ha riferito che il sospetto assassino, Tyler Robinson, “aveva un’ideologia di sinistra” e frequentava circoli online dove si incitava all’odio verso figure conservatrici. Inoltre, il giovane conviveva con una partner transgender ed era vicino a ambienti “woke” – dettagli che i contro ritengono significativi, in quanto Kirk era noto oppositore dell’agenda LGBTQ. Agli occhi di questi commentatori, la combinazione è chiara: un fanatico influenzato dalla propaganda progressista (sui social abbondavano attacchi a Kirk, definito “omofobo”, “fascista” ecc.) ha deciso di passare all’azione. Siamo di fronte a un caso di odio politico anticonservatore sfociato nel sangue. La stessa scritta “Bella ciao” incisa sui bossoli – al di là dell’uso ironico – viene letta come la prova di un killer che voleva simbolicamente legarsi all’iconografia antifascista. Le autorità non hanno ancora formalizzato un movente, ma nella percezione dei contrari “tutto lascia presagire che sia stato un assassinio politico” a sfondo ideologico. Anche l’insistenza di certa stampa nel parlare di “lupo solitario” viene vista come un tentativo di scollegare l’omicida dal contesto politico che l’ha influenzato. “La Nuova Bussola Quotidiana” afferma che “è ben nota ed evidente la deriva estremista della sinistra americana che ha istigato al suo linciaggio”. In altre parole: le parole d’ordine violente e delegittimanti che per anni militanti progressisti avrebbero rivolto a Kirk e alla destra (“fascisti”, “nazisti”, “hanno le mani sporche di sangue”) hanno prodotto un terreno fertile per la radicalizzazione di individui come Robinson, fino all’atto estremo. Dunque, quando Trump dichiara che “per anni la sinistra radicale ha paragonato patrioti come Kirk ai nazisti… questo tipo di retorica è direttamente responsabile del terrorismo a cui assistiamo oggi”, i contrari ritengono questa affermazione sostanzialmente corretta. Non c’è strumentalizzazione nel dirlo: è la constatazione di un nesso tra demonizzazione verbale e violenza reale.
In questa ottica, essi ribaltano l’accusa di ipocrisia sui progressisti: sarebbe stata proprio la sinistra a “giustificare o minimizzare” l’odio contro Kirk finché non è successo il peggio. Meloni ne ha parlato apertamente, accusando intellettuali come Piergiorgio Odifreddi di aver fatto distinzioni aberranti (sparare a un leader di destra è considerato quasi lecito) e l’intera sinistra di “silenzio o giustificazionismo” davanti all’aggressione. Di fronte a un omicidio così grave e simbolico, ritengono naturale e anzi doveroso che la destra denunci pubblicamente la responsabilità morale di quel clima di odio anticonservatore. “Questo è un giorno buio… la violenza politica deve finire”, ha dichiarato il governatore Cox (repubblicano), chiedendo uno stop a quell’odio alimentato nei mesi precedenti. Parole simili sono giunte in maniera bipartisan, ma i sostenitori di questa visione evidenziano come molti esponenti progressisti siano stati tiepidi nelle loro condanne, quasi riluttanti a riconoscere la matrice anti-destra. Da qui l’indignazione: non c’è strumentalizzazione, dicono, nel pretendere giustizia e verità. “L’omicidio di Kirk scuote l’America nel profondo… la nostra democrazia vacilla”, scrive l’“ISPI” descrivendo un Paese sull’orlo del caos se non si affronta questa spirale di violenza politica. Chi nega che esista una questione di “violenza rossa” starebbe solo gettando fumo negli occhi.
Alcuni citano inoltre una serie di episodi che confermerebbero che la minaccia politica in questo periodo proviene quasi sempre da sinistra. Non è solo Kirk: nel giugno 2025 la democratica Hortman è stata assassinata da un estremista (evento menzionato e condannato anche da Trump). Nello stesso attacco fu ferito il senatore repubblicano Hoffman. Poco dopo, il CEO Brian Thompson è stato ucciso a Manhattan da un attivista anarchico e celebrato come eroe da frange estremiste di sinistra sui social. Elon Musk ha rimarcato: “La sinistra è il partito degli assassini”, convinto da questa scia di fatti. Per i contrari, è una iperbole deliberata ma che coglie un nodo reale: c’è “un piccolo ma rumoroso esercito di estremisti di sinistra che inneggiano alla violenza” contro figure di destra (lo si è visto con i post celebrativi per la morte di Kirk). Questo, unito a veri attentati e tentati omicidi (come quello sventato contro Trump nel 2024), configura un fenomeno concreto di terrorismo politico anticonservatore. Chiamarlo per nome non è strumentalizzare, bensì dare un allarme necessario. “La Bussola” parla apertamente di “deriva violenta della politica americana” che ormai “non lascia spazio ad alcuna dialettica pluralista e punta fisicamente a eliminare l’avversario”. In particolare, l’articolo evidenzia come i progressisti non accettino l’esistenza di alternative: Kirk “rappresentava una smentita vivente dell’egemonia radical-progressista… pur non essendo fanatico, dialogava con tutti”, e per questo era odiato – tesi in linea con chi lo considera vittima dell’intolleranza “woke”.
Da qui discende la convinzione che fare di Kirk un simbolo sia non solo lecito ma doveroso. I contrari affermano: Charlie Kirk è diventato il “martire della libertà di espressione”. La sua uccisione ha un significato che trascende la sua persona, indicando a tutti i conservatori che possono rischiare la vita per le loro idee. “Ci chiamano fascisti per ammazzarci”, ha sintetizzato Abascal tra gli applausi a Madrid. Questa frase – ripresa anche da Elon Musk in un tweet virale – esprime un sentimento diffuso: l’etichetta di “fascista” appiccicata a chiunque dissenta dall’ortodossia progressista ha creato un clima d’odio disumanizzante che rende moralmente lecita la violenza contro di loro. Per i contrari, smascherare questo meccanismo e rendere Kirk un “martire” serve esattamente a invertire la narrativa: a ricordare al mondo che anche i conservatori possono essere vittime di odio politico, e che la retorica antifascista esagitata può condurre all’omicidio. “Non è un caso isolato, è la prova ripetuta che la sinistra non rinuncia alla violenza”, ha detto Abascal. E il presidente argentino Milei: “Kirk è l’ennesima prova di cosa è la sinistra allo stato puro: odio e risentimento”. Dichiarazioni forti che i critici bollano come propaganda, ma che i contrari rivendicano come denuncia genuina di una realtà pericolosa. Secondo loro, l’omicidio Kirk ha squarciato il velo: come scrive “elDiario.es”, “per Vox tutto è guerra e Kirk è il loro nuovo martire”. Anche se detto in tono critico, i contrari lo sottoscrivono: “sì, è guerra, e Charlie è il nostro martire, perché così stanno i fatti – la sinistra ci fa la guerra, ora è palese”.
All’interno di questa narrativa, i contrari ritengono “spropositate” o “strumentali” le accuse di sfruttamento. A loro avviso, chi parla di strumentalizzazione tende a sminuire la gravità dell’evento e a pretendere un impossibile distacco emotivo. Ma come si può restare freddi di fronte all’assassinio di un trentunenne, padre di famiglia, colpito solo per le sue idee? – chiedono. È naturale che la comunità politica di appartenenza reagisca con forza e indignazione. Non c’è opportunismo, c’è dolore e rabbia autentica. Se alcuni docenti hanno perso il posto per commenti insensibili, per i contrari è giusto: “chi giustifica la violenza fa parte del problema”, ha scritto un deputato GOP. Nessuna “caccia alle streghe”, ma semplice accountability: chi dimostra (anche solo a parole) un tale disprezzo per la vita dei rivali politici non è degno di formare studenti o rappresentare istituzioni. “Zero tolleranza” verso questi comportamenti è, dal loro punto di vista, un segnale doveroso affinché tutti capiscano che l’odio anticonservatore non verrà più ignorato. Anche perché – aggiungono – se i ruoli fossero invertiti, ovvero un attivista progressista fosse ucciso da un fanatico di destra, nessuno esiterebbe a sanzionare pubblicamente chi lo insultasse. Perché dunque scandalizzarsi ora che succede il contrario?
Un altro punto cardine è il fatto che i contrari affermano che non è la destra ad aver politicizzato il lutto, bensì la sinistra a volerlo depoliticizzare per convenienza. Cioè: quando un democratico viene attaccato (vedi Giffords 2011, Pelosi 2022) la narrativa liberal individua subito la “radice nell’odio di destra”, e ciò viene accettato come discorso legittimo sul clima politico. Se invece un conservatore viene assassinato, all’improvviso i media liberal invocano di “non politicizzare”. Questa asimmetria viene rifiutata dai contrari: ritengono che tutte le violenze politiche vadano inquadrate per ciò che sono. E nel caso Kirk – ribadiscono – appare lampante l’odio ideologico come movente. Quando Kamala Harris e altri leader democratici dicono “la violenza non ha posto in America”, i contrari apprezzano ma notano la genericità della condanna. Nessun esponente Dem ha apertamente riconosciuto che Kirk forse è stato ucciso in quanto conservatore. Questa riluttanza conferma, per i contrari, la coda di paglia della sinistra: preferisce parlare di “malattia mentale”, “singolo squilibrato” e lanciare appelli generici perché ammettere la natura anti-destra dell’atto significherebbe guardare ai propri eccessi. Anche la stampa mainstream – dicono – gioca su questo: il “The Guardian” e altri enfatizzano i richiami all’unità, ma tacciono sul contesto d’odio in cui Kirk operava (minacce, boicottaggi, etichette infamanti che subiva da anni).
Alla luce di ciò, i contrari sostengono che la destra abbia fatto bene a gridare forte la verità scomoda: esiste un odio anticonservatore che uccide. Farlo presente non è speculare, ma “gridare al lupo” quando il lupo c’è davvero. “Fox News”, “Italia Informa” e altre testate di destra hanno semplicemente riportato ciò che i governanti repubblicani dicono: “il problema è a sinistra”. Questa, pur suonando come generalizzazione, riflette una genuina percezione di disparità: basta guardare quante aggressioni recenti hanno colpito figure di destra rispetto a quante ne hanno colpito di sinistra (Hortman a parte). Forse “La Bussola” esagera nell’attribuire il delitto a un “killer professionista addestrato con rete di supporto” – ipotesi non provata – ma tocca un punto: e se dietro Tyler Robinson ci fosse realmente una cellula? Possibile che un 22enne isolato compia da solo un cecchinaggio così preciso? I contrari non escludono la pista di un complotto vero e proprio. Considerano doveroso che le istituzioni (FBI, polizia) la esplorino a fondo, invece di magari insabbiarla per ragioni politiche.
Questo punto di vista afferma che non vi è stata alcuna strumentalizzazione indebita: la reazione politica della destra è proporzionata alla gravità dell’accaduto e volta a portare alla luce un problema sistemico di odio e violenza proveniente dall’estrema sinistra. Piuttosto, si accusa l’altro fronte di voler minimizzare e “depoliticizzare” l’evento per non fare i conti con la responsabilità del proprio linguaggio. “Loro hanno creato un clima di odio e adesso vogliono negarci persino il diritto di arrabbiarci”, sarebbe l’idea alla base. Al contrario, onorare Kirk come martire e chiedere misure drastiche contro gli estremisti di sinistra è visto come un atto di giustizia e autodifesa. In quest’ottica, i provvedimenti come abbassare le bandiere, annunciare un piano nazionale di sicurezza, chiedere pene esemplari e pure epurare i fiancheggiatori verbali non sono cinico calcolo, ma passi necessari per proteggere la democrazia da chi la minaccia. “L’uccisione di Kirk è un punto di svolta” – scrivono testate di destra – e “molto dipenderà da come la politica risponderà a questo ennesimo attacco alla democrazia”. I contrari condividono: la risposta deve essere ferma. Chi parla di strumentalizzazione, ai loro occhi, è perché forse preferirebbe si rispondesse con il silenzio e l’oblio, lasciando che col tempo l’episodio venga relativizzato. Invece, la destra vuole tenere alta l’attenzione al fenomeno: “Non ci uccidono per essere fascisti, ci chiamano fascisti per ucciderci”. Una frase che, nella sua durezza, incarna la loro convinzione.
Dunque, politicizzare l’omicidio Kirk non solo è legittimo, ma inevitabile e necessario. Non farlo significherebbe accettare supinamente la narrazione edulcorata che elimina il movente ideologico. Questo non vuol dire strumentalizzare, secondo loro, bensì chiamare le cose col loro nome: quello di Kirk è un omicidio politico, figlio del clima di odio anti-destra, e come tale va denunciato e contrastato con ogni mezzo democratico. Farlo non mina la democrazia – come invece sostengono alcuni – ma la difende, mettendo in guardia contro quell’odio e pretendendo sicurezza per tutti i cittadini, indipendentemente dalle idee.
Nina Celli, 18 settembre 2025
Le cause reali dell’omicidio vengono ignorate da una narrazione politicizzata e semplicistica
Un altro pilastro delle argomentazioni pro è che l’enfasi sulla matrice politica monocausale (cioè, “omicida di sinistra plagiato dall’odio anti-MAGA”) sia fuorviante e non tenga conto della complessità del caso. Gli osservatori evidenziano come emergano dettagli significativi che non combaciano con la lettura riduttiva offerta dalla destra. In particolare, l’assassino Tyler Robinson appare un individuo radicalizzato in ambienti online fringe più che un militante organico di sinistra. Il governatore Cox ha rivelato che Robinson proveniva da famiglia conservatrice e solo di recente “aveva sviluppato idee di sinistra”, trascorrendo molto tempo nei “dark corners” di internet. Inoltre, sono state trovate sulle cartucce da lui utilizzate delle scritte bizzarre: frasi goliardiche (“Catch, fascista!”) e riferimenti nerd (come il codice di un videogame e la scritta Bella ciao). Questi graffiti non esprimono un chiaro messaggio politico partigiano, bensì richiamano il linguaggio provocatorio delle sottoculture online (forum di gamer, ambienti furry ecc.). “Agenda Digitale” sottolinea che quei bossoli sembrano “meno un segno di affiliazione politica e molto più un segnale che l’assassino stava molto online”. Anche il governatore Cox ha notato la “memeification” dell’atto criminoso: simboli e meme mescolati alla violenza reale. Questo suggerisce che dietro il gesto di Robinson vi sia un substrato di estremismo liquido e digitale, non facilmente riconducibile alle categorie tradizionali destra/sinistra.
L’analisi socioculturale supporta questa tesi. “Linkiesta” parla esplicitamente di “terrorismo memetico” per descrivere il caso: i riferimenti trovati sulle armi (Helldivers 2, Far Cry 6, codici ASCII) indicano che l’assassino attingeva a “sottoculture di Reddit, 4chan e simili”, dove politica, trollate e iconografia pop si fondono. Un fenomeno già visto con lo stragista di Christchurch (che citava meme e youtuber nel suo manifesto) e che prosegue oggi: “l’assassino di Kirk segue lo stesso modus operandi”, scrive Antonio Pellegrino. Dunque, l’atto sarebbe espressione di un radicalismo spurio, più vicino a trend nichilisti, ironici e violenti del web che a un’ideologia coerente di sinistra. Questa lettura trova riscontro anche nella prudenza iniziale del governatore Cox: sebbene avesse confermato le simpatie “leftist” di Robinson, Cox ha chiarito che “non abbiamo ancora un movente definito” e che potrebbe trattarsi anche solo di un “lunatico isolato”.
Inoltre, si nota che i gruppi bersaglio del furore di Robinson non sembrano limitarsi ai conservatori. Oltre a Kirk, il giovane aveva manifestato rancore anche verso i furry (subcultura di appassionati di animali antropomorfi) e frequentava ambienti estremisti difficilmente etichettabili secondo le dicotomie classiche. Ciò suggerisce un profilo complesso: forse un soggetto socialmente alienato, immerso in “bolle” radicali online dove coesistono elementi anti-establishment, nichilismo, trasgressione e riferimenti pop. Non è un caso che la destra abbia subito semplificato definendo Robinson “un estremista antifa”, ma col passare dei giorni sono emerse interpretazioni più sfumate. “Agenda Digitale”, per esempio, commenta: “Più passano le ore, maggiore è la consapevolezza che l’omicidio di Kirk potrebbe avere poco a che fare con la politica”. Se così fosse, l’intera narrazione di vendetta politica a sfondo ideologico crollerebbe, rivelando la strumentalità di chi l’ha abbracciata.
Concentrarsi ossessivamente sulla matrice politica significa anche distrarre dalle vere criticità che il caso evidenzia. Il dibattito odierno ignora questioni fondamentali: ad esempio, come contrastare la radicalizzazione violenta online? Qual è stato il percorso psichiatrico e sociale di Tyler Robinson? Ci sono falle nella sicurezza agli eventi pubblici? Tutto questo passa in secondo piano di fronte al clamore partigiano. Si rischia di “guardare il dito e non la luna”. “Linkiesta” fa notare che l’omicidio Kirk è “solo una specifica declinazione di un fenomeno” più ampio – l’estremismo individuale che nasce dallo shitposting e dalle bolle web – un fenomeno che “va avanti da più di un decennio” e non si esaurisce certo nella contrapposizione MAGA vs Antifa. Allo stesso modo, gli esperti di terrorismo domestico evidenziano come negli ultimi anni atti violenti analoghi siano stati compiuti da soggetti con profili ideologici ibridi (si pensi all’assalto di Nashville 2023 o ad altri mass shooter con manifesti confusi). La lettura semplicistica “omicida di sinistra uccide attivista di destra” rischia quindi di falsare la diagnosi del problema, inducendo risposte inadeguate. Ad esempio: se si considera l’omicidio Kirk solo come effetto di un presunto “odio antifascista”, la soluzione proposta dalla destra è reprimere la sinistra radicale. Ma ciò risolverebbe l’estremismo? O trascurerebbe l’ampio sottobosco di violenza apolitica o cross-politica che cresce online?
Questa narrazione monolitica fa comodo a chi vuole evitare introspezione. Se ogni colpa è della sinistra, i conservatori non sentono il bisogno di esaminare il proprio linguaggio o eventuali errori. Invece, una riflessione più onesta dovrebbe considerare che figure come Kirk erano amate ma anche fortemente divisive: le sue posizioni su armi, aborto, clima erano estreme e il suo stile volutamente provocatorio (come la serie di dibattiti Prove me wrong nei campus) ha polarizzato molti giovani. Ciò non giustifica in alcun modo la violenza, ma spiega perché Kirk avesse molti detrattori appassionati. Ignorare questo contesto e raffigurarlo solo come “santo innocente perseguitato dall’odio rosso” significa “cancellare le controversie che lo avevano accompagnato in vita”, come nota “Il Fatto Quotidiano”. Significa anche non chiedersi se talvolta la retorica incendiaria (di entrambe le parti) stia esacerbando animi fragili.
Secondo i sostenitori di questa visione, la narrazione politicizzata di destra semplifica e distorce eclissando le vere cause e lezioni del caso Kirk. Questo omicidio – lungi dall’essere semplicemente un capitolo della guerra tra sinistra e destra – è un sintomo di problemi più complessi: la cultura dell’odio online, il disagio giovanile, l’estremismo liquido. Strumentalizzandolo in chiave partigiana, la destra non fa che “cercare un nemico facile” (come critica Nardella), mancando l’occasione di affrontare i nodi reali. Come ha scritto il conservatore Wright, “finora sembra l’azione di un singolo squilibrato… finché non sarà dimostrato il contrario, è l’unica cosa ragionevole da dire”. Dare invece per scontato un complotto ideologico dietro ogni tragedia è un atto di propaganda, non di verità. La vera prevenzione di futuri Charlie Kirk (sia come vittime che come possibili carnefici) passa per un’analisi onesta e approfondita – che l’attuale strumentalizzazione sta purtroppo soffocando sul nascere.
Nina Celli, 18 settembre 2025
La reazione decisa della destra è una difesa legittima della democrazia e non va confusa con strumentalizzazione
Secondo questa tesi, l’atteggiamento fermo tenuto da Trump, Meloni e dagli altri leader conservatori dopo l’omicidio Kirk non è una strumentalizzazione opportunistica, ma un’azione di difesa necessaria dei valori democratici di fronte a un attacco gravissimo. In quest’ottica, molte delle critiche rivolte alle misure annunciate dalla destra sarebbero ingiuste: piuttosto, i contrari vedono quelle misure come provvedimenti a tutela della libertà e della sicurezza di tutti, e le loro parole forti come un monito a non sottovalutare l’estremismo violento.
Un punto chiave è che i leader di destra hanno interpretato l’omicidio Kirk come attacco alla libertà di espressione. Kirk stava tenendo un discorso in un campus – incarnando quindi quel libero confronto di idee su cui si fonda la democrazia – ed è stato ridotto al silenzio con la forza delle armi. Questo è un fatto di enorme gravità: “un proiettile contro Kirk è un proiettile contro tutti noi”, ha scritto efficacemente “National Review”. In altre parole, permettere che un tale atto passi come fatto isolato equivarrebbe ad accettare il “veto dell’assassino” nel dibattito pubblico, dove basta uccidere un oppositore per zittirne le idee. Perciò, la destra ha reagito mobilitando le istituzioni (bandiere a mezz’asta, discorsi alla nazione, piani di sicurezza): segni che lo Stato e la società non tollerano alcuna violenza. Alcuni vedono in queste mosse un rafforzamento dei valori democratici. Trump, che definisce Kirk “il migliore d’America” e ne onora la memoria con un discorso solenne, ha l’obiettivo di ribadire: non lasceremo che i difensori dei nostri ideali vengano demonizzati e soppressi nell’indifferenza generale. È un messaggio anche dissuasivo: chiunque stia pensando di emulare Robinson sappia che quei gesti compatteranno la nazione invece di intimidire la parte politica colpita.
I sostenitori di tale posizione affermano dunque che la “politicizzazione” in realtà coincide con prendere sul serio la dimensione politica dell’omicidio per combatterne le cause. Le misure annunciate da Trump – un piano nazionale contro la violenza politica, con coinvolgimento di National Guard e FBI – vengono descritte come derive autoritarie. Ma i contrari replicano: come si può definire autoritaria la volontà di assicurare che politici e attivisti non vengano più presi di mira? Se, poniamo, durante gli scontri del 2020 la sinistra chiedeva energicamente di perseguire i suprematisti violenti, ciò era considerato doveroso; allo stesso modo oggi la destra che chiede di perseguire i terroristi rossi sta agendo per difendere la legge e l’ordine. Il “Daily Beast” può ironizzare sul “tracollo della narrativa di Trump” quando gli si ricorda i casi di violenza di destra, ma i contrari rispondono che quei casi (Hortman, Pelosi ecc.) sono già stati puniti e condannati dalle istituzioni. Invece, le violenze di sinistra spesso sono giustificate o coperte. Citano ad esempio i disordini Antifa e BLM del 2020, dove diversi esponenti Dem minimizzarono come “proteste per la giustizia sociale”. Oppure gli attacchi vandalici contro sedi repubblicane raramente enfatizzati dai media mainstream. Da qui la convinzione che finalmente il governo (USA e anche altri Paesi) debba agire con più rigore verso quell’area grigia di estremismo di sinistra. Le proposte di Miller e Vance – infiltrare, disarticolare e perseguire le reti che finanziano l’estremismo progressista, perfino ricorrendo a legislazioni tipo RICO se necessario – vengono viste non come misure liberticide, ma come il minimo che uno Stato può fare per difendersi da chi lo vuole destabilizzare. “Se non distruggiamo la rete di ONG e finanziatori che fomenta la violenza di sinistra, sarà lei a distruggere noi”, ha twittato l’ex candidato Blake Masters, e i contrari lo citano per intero perché ne condividono la sostanza. Non c’è esagerazione, affermano: l’omicidio Kirk ha dimostrato che quell’ecosistema di odio produce morti, dunque va smantellato.ù
In questo alveo rientra anche la questione dei licenziamenti e sospensioni. Lungi dall’essere un’ondata censoria, i contrari la considerano un “rimettere le cose al loro posto”. Per anni – sostengono – docenti e funzionari apertamente schierati a sinistra hanno diffuso retorica di odio verso la destra (magari scherzando sul “fascista buono è fascista morto”), protetti dal manto del free speech e dall’indulgenza del sistema progressista. Ora che quell’odio è sfociato nell’omicidio di Kirk, è giusto che chi lo ha sdoganato ne risponda. Come dire che “le parole hanno conseguenze”, e se un professore scrive sui social che “non è lo stesso uccidere MLK e un attivista MAGA”, quel professore non può educare i giovani, perché sta di fatto giustificando l’omicidio politico. Lo stesso vale per giornalisti o funzionari pubblici. Dunque, i contro sostengono che non si sta limitando la libertà di opinione neutrale, ma si sta sanzionando comportamenti palesemente anti-etici e fiancheggiatori della violenza. “The Guardian” può definire “intimidazione” questa campagna di pressione, ma i contrari la chiamano “accountability”. Del resto, fanno notare, quando alcune aziende licenziarono dipendenti che avevano partecipato all’assalto del Campidoglio (6 gennaio 2021), i liberal applaudirono, poiché la consideravano “conseguenza delle proprie azioni”. Ora sta avvenendo qualcosa di simile: chi ha gioito per il sangue, in un ruolo pubblico, ne paga le conseguenze. È un segnale moralizzatore che rafforza i valori civili, non li indebolisce.
Altro aspetto è la mobilitazione popolare che la destra ha promosso. Le veglie con le candele in onore di Kirk, le cerimonie pubbliche, la diffusione di messaggi di solidarietà (anche dall’estero): i contrari lo vedono come un tributo sincero e come mezzo per infrangere la narrazione ostile su Kirk. Per molto tempo Kirk è stato dipinto da certa stampa come “estremista” e “odio-influencer”; dopo la sua morte, i suoi alleati hanno voluto mostrare al mondo il lato umano e positivo di Charlie. Non tanto per santificarlo strumentalmente, ma per ristabilire la sua dignità contro chi, persino dopo morto, lo ha etichettato spregiativamente. “La Nuova Bussola” protesta perché i media continuano a chiamarlo “negazionista climatico” e “no vax” nei necrologi, segno di pregiudizio ideologico incrollabile. Era dunque sacrosanto – dicono i contrari – contrapporre a questa narrazione la realtà di un giovane padre carismatico, patriota e impegnato per il suo Paese. Quando Trump su Truth Social ha scritto “Nessuno capiva il cuore dei giovani americani meglio di Charlie”, ha fatto un elogio sincero e tardivo a un alleato, ma ha anche mandato un messaggio: “apprezzate ciò che quest’uomo rappresentava”. Allo stesso modo, leader come Marco Rubio hanno definito Kirk “marito e padre incredibile, grande americano” per umanizzarlo agli occhi di chi lo demonizzava. Questo sforzo di “ripulire l’immagine di Kirk” è interpretato da alcuni come propaganda per santificarlo, ma i contrari replicano che è invece un atto dovuto di giustizia verso un uomo vilipeso. Se c’è strumentalità – affermano – è semmai nella sinistra che continua a screditarlo perfino da morto (cosa che considerano indegna). In proposito citano come esempio positivo l’atteggiamento del nuovo Speaker repubblicano Mike Johnson alla Camera USA: egli ha guidato una preghiera per Kirk e la sua famiglia, proponendo un momento di unità; alcune voci democratiche hanno obiettato e c’è stato caos in aula, con la repubblicana Luna che ha reagito accusandoli di complicità. I contrari sottolineano questo episodio per dire: guardate, anche un semplice gesto di omaggio bipartisan a Kirk è stato osteggiato da alcuni dem, a riprova che l’odio esiste. In tal senso, dicono, la “durezza” delle risposte di figure come Luna (tweet infuocati) non è strumentale ma “difensiva”. È uno sfogo comprensibile di chi vede i propri colleghi minimizzare la tragedia.
I contrari alla l’idea che vi sia strumentalizzazione ritengono che la mobilitazione internazionale di solidarietà – come l’evento di Vox a Madrid – non sia stata un “cavalcare la tigre” per secondi fini, ma un segnale di un sentimento comune in tutta la destra occidentale: la sensazione di essere sotto attacco e la volontà di fare fronte unito. “Non ci ammazzano perché siamo fascisti, ci chiamano fascisti per ammazzarci” è diventato uno slogan transnazionale perché risuona come vero per molte persone. Che leader di vari Paesi (Milei, Orbán con un video, Meloni con un messaggio registrato) abbiano voluto partecipare al tributo a Kirk indica che percepiscono quell’evento come un monito anche per loro. “El País” definisce quell’evento un “giudizio sommario contro la sinistra”, ma i contrari rispondono: se tutti questi leader – da culture diverse – hanno reagito così, forse è perché riconoscono uno schema globale (l’intolleranza “woke”) e vedono in Kirk un simbolo condiviso. Per loro, ciò non è manipolare la vicenda, è “dare un nome al nemico comune” che è l’estremismo ideologico progressista. In questo senso, il raduno di Madrid viene vissuto non come un comizio strumentale, ma come un momento di solidarietà internazionale tra conservatori sotto assedio. Così come esistono Giornate della Memoria per vittime di terrorismo, essi considerano giusto ricordare Kirk e ciò che rappresenta.
Dunque, secondo questa tesi, la reazione dei conservatori – per quanto dura e politicamente connotata – è stata proporzionata e necessaria. Ha evidenziato un problema reale (violenza di sinistra), ha difeso i principi minacciati (libertà di espressione) e ha adottato misure per prevenire futuri attacchi (piani di sicurezza, discredito pubblico di chi istiga odio). Parlare di “strumentalizzazione” significherebbe chiedere alla destra di restare passiva, quasi di subire in silenzio un atto gravissimo. Anzi, i contrari ribaltano: semmai è stata la sinistra a strumentalizzare per anni parole come “fascista” e “odio” contro la destra, e ora che quelle parole hanno portato a un omicidio vorrebbe zittire la reazione definendola “propaganda”. Ma quell’epiteto non attacca: la base conservatrice ha sentito su di sé la ferita dell’attacco e approva pienamente la risposta decisa. Più che strumentale, la definiscono esistenziale: “dobbiamo reagire così, o verremo annientati”, è il sottotesto. “The Wired” testimonia come addirittura figure estreme chiamino letteralmente alle armi. L’obiettivo ultimo non è “sfruttare” la morte di Kirk, ma evitare futuri Kirk. Se per farlo bisogna essere intransigenti, che così sia.
Si tratta, quindi, di autodifesa di una comunità politica sotto attacco. Il che, in democrazia, è legittimo quanto l’autodifesa di un individuo aggredito. Sotto questa luce, le accuse di opportunismo appaiono infondate e semmai offensive: suggeriscono – a loro avviso – che la destra non dovrebbe neanche piangere i propri caduti o denunciare quando è bersaglio. Un’impostazione che essi rigettano fermamente: Charlie Kirk “meritava di essere difeso in vita e in morte”, e finalmente la destra l’ha fatto, chiamando per nome la causa del suo assassinio e giurando di combatterla.
Nina Celli, 18 settembre 2025
L’escalation propagandistica dopo l’omicidio Kirk aggrava la polarizzazione e minaccia la tenuta democratica
I sostenitori di questa tesi evidenziano con preoccupazione gli effetti deleteri che la strumentalizzazione in atto sta avendo sul clima sociopolitico, paventando rischi di ulteriore violenza e deriva autoritaria. Invece di unire la nazione nel lutto e in una condanna condivisa della violenza, la retorica incendiaria adottata da Trump, Meloni e altri sta “gettando benzina sul fuoco” delle divisioni già esistenti.
Alcuni puntano il dito sul linguaggio di guerra civile emerso nel campo conservatore e sulle possibili conseguenze. Elon Musk che twitta “The Left is the party of murder”, Laura Loomer che proclama “The Left are terrorists. You could be next”, Alex Jones che ripete ossessivamente “This is a war”: sono slogan che diffondono un senso di emergenza esistenziale, spingendo i seguaci a sentirsi in guerra aperta contro metà del Paese. “Wired” documenta come su forum radicali molti utenti abbiano preso queste parole alla lettera: “War is coming… war is here”, scrivono, alcuni invocando addirittura “la guerra civile che i sinistri hanno cercato, così poi faranno le vittime”. Questa retorica bellicosa non è rimasta confinata a frange anonime: esponenti istituzionali come la deputata Luna hanno urlato ai colleghi “Siete VOI l’odio che dite di combattere, le vostre parole hanno causato questo”, sostenendo implicitamente che i democratici siano collettivamente colpevoli e meritino punizione. Insomma, il dibattito pubblico sta degenerando in uno scambio di accuse totalizzanti – “voi avete il sangue sulle mani”, “voi siete fascisti che volete ucciderci” – in cui ogni lato disumanizza l’altro. Secondo alcuni analisti, questo è un segnale d’allarme gravissimo: “In un’America sempre più divisa e polarizzata, l’omicidio di Kirk è tanto più tragico perché è un attacco alla libertà di parola e alla democrazia, baluardi contro la discesa verso il caos”, scrive l’“ISPI”. Se invece di fermarsi e riflettere insieme, le fazioni reagiscono scatenando un “cane mangia cane” retorico, la spirale di violenza rischia di avvitarsi ulteriormente.
Si evidenzia anche la deleteria personalizzazione del conflitto: Meloni, notano gli oppositori, ha utilizzato l’episodio per rafforzare il suo ruolo di leader di fazione, ignorando il suo dovere di moderare i toni come capo di governo. Il risultato è un ancor maggiore avvelenamento del dibattito. Giulio Cavalli su “Left” avverte che “è un gioco sporco che sporca tutto: la memoria della vittima, la qualità del dibattito pubblico, la tenuta democratica”. Quando ogni lutto diventa pretesto per rilanciare propaganda e insulto, la fiducia reciproca tra cittadini precipita e cresce la tentazione di passare dalle parole ai fatti.
Non è un caso che subito dopo questa campagna di polarizzazione, la minaccia di nuove violenze sembri aumentata. “La Discussione” riferisce che la base MAGA, fomentata dalla retorica di vendetta, ha iniziato a chiedere “giustizia fai-da-te” (le veglie e le bandiere a mezz’asta accompagnate però da una sete di “vendetta” annunciata). Trump stesso, più che calmare gli animi, ha promesso azioni repressive straordinarie. Questo clima può incoraggiare emulatori o estremisti di destra a colpire figure di sinistra, in una tragica vendetta incrociata.
In parallelo, chi abbraccia queste posizioni, mette in guardia dall’erosione delle libertà civili favorita da questo clima. Come visto, la scia dell’omicidio ha portato a ondate di licenziamenti, sospensioni e “purghe” di chi ha espresso opinioni minoritarie o sgradevoli. L’ACLU denuncia “campagne mirate di intimidazione” e “cultura della paura” nelle scuole e università. Questo scenario inquieta, perché ricorda logiche maccartiste: usare l’indignazione per un delitto come giustificazione per colpire nemici politici interni (professori liberal, giornalisti critici ecc.). I fautori di questa tesi sostengono che la democrazia americana (e occidentale) rischi un “giro di vite” autoritario se tali pratiche si consolidano: oggi si licenzia un docente per un tweet su Kirk, domani magari si legittima la sorveglianza speciale verso attivisti di sinistra, dopodomani la censura diretta. Un editoriale di “The Guardian” cita la “cultura del timore” che si sta instaurando nei campus e mette in guardia: proteggere la libertà d’espressione “in tempi di crisi non è un lusso, ma un dovere fondamentale”. Invece, la strumentalizzazione sta giustificando l’opposto: punizioni esemplari e tolleranza zero verso chi dissente anche solo a parole. Ma è esattamente l’obiettivo di chi strumentalizza: sfruttare l’ondata emotiva per stringere la morsa sul dissenso e sull’altra metà del paese. Stephen Miller ha parlato apertamente di colpire chi “finanzia la violenza”, alludendo a manifestazioni di protesta legittime, e JD Vance descrive la sinistra come un “movimento estremista distruttivo” da perseguire duramente. C’è quindi il rischio concreto che, in nome della vendetta per Kirk, si avvii una caccia alle streghe contro associazioni, ONG o oppositori bollati come fiancheggiatori morali del crimine (spesso senza alcuna base). Ciò ricorda dinamiche già viste in passato: ad esempio dopo l’11 settembre si insinuò che critiche alla politica USA equivalessero a sostenere i terroristi, e questo ridusse lo spazio di dibattito. Ora la morte di Kirk viene usata per delegittimare qualsiasi voce “non allineata” (come indica satiricamente Judd Legum: “Charlie Kirk era un campione della free speech e chi dice il contrario verrà licenziato”).
Secondo questa tesi, la strumentalizzazione dell’omicidio Kirk non è un gioco innocuo di retorica: incendia ulteriormente gli animi, potenzialmente spingendo qualche altro estremista (magari dall’altra parte) a compiere vendette o azioni emulative, in una spirale infinita. Al contempo erode i pilastri democratici – il rispetto del dissenso, la libertà di parola, la fiducia tra avversari – instaurando un clima da “stato d’eccezione permanente” in cui ogni mezzo è lecito contro il nemico interno. Un’America (o un Occidente) in cui ciascun campo considera l’altro un “terrorista” da annientare con misure speciali è un’America avviata verso il collasso civile. “Quando la gente smette di parlare, è allora che scoppia la violenza”, amava dire lo stesso Charlie Kirk. Ebbene, i sostenitori di questo punto di vista avvertono che la strumentalizzazione odierna sta proprio facendo smarrire il terreno comune del dialogo, portando i “falchi” di entrambi gli schieramenti a non parlarsi più se non con linguaggi di odio e paura. Se questo processo non viene invertito la morte di Kirk potrebbe segnare davvero “un punto di svolta verso la violenza e il caos politico”, ma nel senso opposto a quello narrato dalla destra: non per colpa di un fantomatico complotto progressista, bensì per colpa di chi, invece di arginare l’estremismo, lo cavalca per convenienza. Come chiosa “Agenda Digitale”, “col trascorrere del tempo si fa spazio la convinzione” che la politica entri poco con questo omicidio, e chi insiste a politicizzarlo sta solo “buttando benzina sul fuoco” di un odio che travalica gli schieramenti.
Nina Celli, 18 settembre 2025
L’indignazione selettiva e la “santificazione” di Kirk rivelano una strategia propagandistica ipocrita
Un ulteriore argomento portato dai sostenitori della strumentalizzazione riguarda il modo in cui la destra sta gestendo l’immagine di Kirk e la reazione al lutto. Si denuncia una sorta di “doppio binario”: da un lato si pretende cordoglio unanime e rispetto quasi sacrale per la figura di Kirk, dall’altro si bollano come odiosi e si puniscono anche i più tiepidi dissensi, mentre all’opposto in passato esponenti conservatori non hanno mostrato analogo rispetto verso vittime dell’altra fazione. Un esempio lampante citato è il trattamento dei commenti critici su Kirk. In un contesto libero e democratico, ci si aspetterebbe che – pur deprecando chi esagera – si riconosca il diritto di esprimere opinioni sul personaggio pubblico Kirk, anche dopo la sua morte. Invece la reazione di destra è stata repressiva: docenti e giornalisti con opinioni contrarie su Kirk sono stati “ostracizzati o licenziati” in numero sorprendente. “The Guardian” riporta diversi casi e parla di “nuova ondata di sospensioni” dovute a commenti “inappropriati”. Per molti, questo fenomeno non è una genuina difesa della memoria di Kirk ma piuttosto una stretta ideologica: una “cultura della cancellazione” applicata però a senso unico. Colpisce che siano proprio i conservatori – solitamente critici verso il cancel culture – a orchestrare queste campagne punitive. Un columnist progressista ha evidenziato l’assurdità: “Charlie Kirk era un paladino della libertà di espressione, e chi dice il contrario verrà licenziato”. L’ipocrisia appare evidente: la libertà di parola vale solo finché si esaltano le idee di Kirk, ma se qualcuno osa contestarne il lascito (magari definendolo un attivista divisivo) allora quella persona viene zittita e accusata di “festeggiare la violenza”. In pratica la destra sta santificando Kirk post-mortem – trattandolo alla stregua di un martire intoccabile – e qualsiasi critica al defunto viene equiparata a una complicità morale col suo assassino. Ciò è definito come “santificazione automatica”, da cui bisogna “resistere”, perché nociva per la verità e la libertà.
Allargando questo discorso, si fa notare come in passato la destra non abbia adottato lo stesso metro di rispetto verso vittime appartenenti all’altro schieramento. Quando nel giugno 2025 la democratica Hortman (Speaker del parlamento statale) fu assassinata, non ci furono grandi mobilitazioni nazionali da parte repubblicana: anzi, come ricordato, Trump nemmeno ordinò il mezz’asta delle bandiere. Ancora: all’epoca degli attacchi violenti di suprematisti (es. l’attentato di Pittsburgh contro la sinagoga, la spedizione armata a Kenosha) molti commentatori di destra minimizzarono o spostarono subito il discorso altrove. L’attuale zelante moralismo appare allora strumentale. Dario Nardella lo ha evidenziato: Meloni definisce Kirk “eroe e martire” e “accusa la sinistra di odio”, ma “dimentica gli scheletri nell’armadio della destra”, richiamati anche dal suo ministro Ciriani (anni di piombo in cui anche l’estrema destra fu responsabile). Questa memoria selettiva è considerata voluta: risvegliando traumi storici solo a proprio vantaggio (paragonando la situazione odierna alle Brigate Rosse, come ha fatto Ciriani) e tacendo su eventuali colpe interne, la destra cerca di monopolizzare la posizione di vittima. Secondo “Left”, tale condotta rivela “assenza di vergogna” e “cinismo”: i fatti hanno smentito le fantasie di “odio di sinistra organizzato” (perché il killer non risulta parte di alcun gruppo), eppure la destra “non ha fatto alcun passo indietro”, preferendo perseverare nel copione propagandistico. Ciò a riprova che l’obiettivo primario non è capire cosa sia successo, ma usarlo per blindare il consenso interno e attaccare gli oppositori.
Alcuni sottolineano come questa strategia di martirizzazione di Kirk porti anche a una idolatria un po’ opportunistica. Charlie Kirk in vita era figura controversa: venerato a destra, certo, ma visto da molti come un provocatore polarizzante (negava il cambiamento climatico, definiva l’aborto “omicidio”, attaccava frontalmente i movimenti per i diritti LGBT ecc.). È naturale che i suoi sostenitori lo commemorino con affetto, ma sta avvenendo qualcosa di più: una riscrittura “agiografica” della sua figura. Trump l’ha definito “il migliore d’America”, esaltandone unilateralmente la memoria. Milei l’ha chiamato “mártir de la libertad”, come fosse un santo laico. Vox ha suonato in suo onore l’inno dei caduti delle Forze Armate spagnole, assimilando Kirk a un soldato perito in servizio. Abascal ha perfino usato per lui un rituale religioso-politico: “La muerte no es el final”, a indicare che la sua morte darà frutto nella lotta patriottica. Questo fervore quasi religioso, montato ad arte, serve a sacralizzare la causa di cui Kirk era portatore, mettendola al riparo da critiche. I favorevoli notano però che una simile beatificazione appare strumentale: Kirk, con tutto il rispetto, non era un leader istituzionale né un eroe nazionale condiviso, ma un attivista di parte – per di più polarizzante. Farne un “mito intoccabile” è un’operazione politica ben precisa: significa feticizzare la sua morte per immunizzare un’intera agenda politica dalle critiche (“difendere Kirk significa difendere la libertà, criticarlo significa schierarsi coi terroristi” è il sottotesto implicito). Questo meccanismo viene condannato come deleterio e insincero. “Il Fatto Quotidiano” invita a “resistere alla santificazione automatica”: per quanto la vittima meriti rispetto, “la morte conferisce dignità ma non un’assoluzione retroattiva” delle sue azioni o idee. Continuare a discuterne criticamente è non solo lecito ma doveroso, altrimenti si abdica al pensiero critico e si trasforma l’arena pubblica in un culto acritico. La reazione furibonda verso chiunque osi far notare le contraddizioni di Kirk (ad es. la professoressa della Florida che è stata sospesa pur avendo solo condiviso post sulle posizioni estremiste di Kirk) dimostra quanto poco di spontaneo ci sia in questo martirologio: si pretende unanimità sotto pena di sanzione. Questa sacralizzazione artificiale, tipica di regimi o movimenti identitari, è guardata con preoccupazione in società aperte come quella americana.
Secondo questa linea di pensiero, l’intera gestione del post-omicidio da parte della destra appare come un copione propagandistico: vittimismo unilaterale, nemico demonizzato, eroe “santo” da venerare. È la formula classica per cementare la base e zittire l’opposizione. Ma è una formula – avvertono – ipocrita e pericolosa. Ipocrita perché chi oggi invoca unità e sacralità ieri non la praticava affatto, a seconda della convenienza (vedi caso Hortman). Pericolosa perché inibisce ogni dibattito onesto: se Charlie Kirk viene reso immune da ogni critica in nome del martirio, allora la sua piattaforma politica diventa dogma e i suoi oppositori eretici (da cacciare dalle università, come sta avvenendo). Alcuni vedono in questo riflessi orwelliani e denunciano con forza tale strumentalizzazione del rispetto dovuto a una vittima in un baluardo ideologico che imbavaglia la pluralità. La giusta condanna della violenza non deve trasformarsi in un pregiudizio di infallibilità per la parte colpita. Come ha scritto un opinionista, “la morte di Kirk conferisce dignità alla sua fine, non santifica retroattivamente le sue idee”. Far finta del contrario significa tradire lo spirito critico e sfruttare una tragedia per interessi di parte.
A supportare quest’ultimo punto, vale la pena citare Mark Wright su “National Review”: “Non è vero che la maggioranza dei Democratici voglia distruggere l’America o uccidere i conservatori. Questa sarebbe nuova per milioni di nostri concittadini”. Perfino tra i conservatori vi è chi riconosce che la destra “più scalmanata” sta dipingendo una realtà distorta per convenienza. Tali voci moderate, unite alle analisi dei media indipendenti, rafforzano questa posizione: l’omicidio Kirk è stato politicizzato e strumentalizzato – con fini propagandistici interni – a scapito di verità, coerenza e unità nazionale.
Nina Celli, 18 settembre 2025