Nr. 385
Pubblicato il 16/08/2025

5G, rischio sottovalutato

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Ogni salto tecnologico ha sempre generato un doppio effetto: da un lato la meraviglia del progresso, dall'altro il sospetto di ciò che non si vede né si sente, ma che forse ci attraversa.
Il 5G, la quinta generazione della rete mobile, si inserisce perfettamente in questa tensione storica tra innovazione e precauzione. Annunciata come una rivoluzione che avrebbe trasformato il mondo interconnesso — con auto a guida autonoma, operazioni chirurgiche a distanza, smart cities e una nuova era dell’Internet delle Cose — la tecnologia 5G è diventata, in pochi anni, simbolo di un progresso tanto veloce quanto controverso. Una promessa di efficienza e connessione totale, ma anche il bersaglio di movimenti di protesta, interrogazioni parlamentari e campagne di disinformazione virale.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il 5G può aumentare il rischio di tumori e causare danni cellulari a lungo termine

Due studi hanno documentato un aumento dell’incidenza di gliomi cerebrali e schwannomi maligni al cuore. Un dato che non può essere liquidato come coincidenza.

02 - Le evidenze scientifiche non dimostrano rischi tumorali entro i limiti di esposizione al 5G

Secondo il metodo scientifico, le evidenze oggi disponibili non supportano l’ipotesi di un rischio concreto per la salute umana associato all’uso corretto del 5G.

03 - Le attuali linee guida sottovalutano gli effetti non termici e ignorano segnali biologici preoccupanti

Le linee guida considerano soltanto gli effetti termici delle onde RF, trascurando una vasta mole di studi che suggeriscono conseguenze biologiche non termiche.

04 - Le normative internazionali sono basate su revisioni sistematiche e garantiscono margini di sicurezza ampi

Le linee guida internazionali in materia di esposizione ai campi elettromagnetici sono il frutto di revisioni e aggiornamenti periodici basati su dati verificati e replicabili.

05 - La densità delle antenne e la maggiore esposizione ambientale rendono il 5G una minaccia per soggetti sensibili

Il 5G introduce nuovi livelli di rischio non ancora adeguatamente valutati, soprattutto per bambini, donne in gravidanza, anziani e persone con patologie.

06 - Non ci sono prove specifiche di maggiore pericolo per bambini o soggetti vulnerabili se rispettati i limiti

Non esistono evidenze cliniche o epidemiologiche robuste che dimostrino un rischio più alto per i soggetti fragili nell'esposizione al 5G, se avviene entro i limiti stabiliti.

 
01

Il 5G può aumentare il rischio di tumori e causare danni cellulari a lungo termine

FAVOREVOLE

Quando la nuova generazione di connettività mobile ha iniziato a diffondersi in modo capillare, la promessa era quella di più velocità, meno latenza, nuove possibilità per l’industria, la sanità, l’automazione. Ma dietro questa rivoluzione digitale si è fatto strada un interrogativo sempre più pressante: cosa sappiamo davvero degli effetti del 5G sulla salute umana? Le risposte, sebbene frammentarie, iniziano a delineare uno scenario in cui il principio di precauzione non solo è opportuno, ma necessario.
Negli ultimi anni, diversi studi hanno acceso un faro su quello che potrebbe essere il lato oscuro dell’evoluzione tecnologica. Due in particolare — condotti in parallelo su larga scala — hanno rappresentato un punto di svolta nel dibattito: lo studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna e quello del National Toxicology Program (NTP) negli Stati Uniti. Entrambi si sono concentrati sull’esposizione a radiofrequenze compatibili con quelle del 5G, utilizzando ratti Sprague-Dawley, una specie comunemente impiegata per simulare gli effetti sull’uomo per via della vicinanza genetica. I risultati, sorprendentemente convergenti, hanno documentato un aumento significativo dell’incidenza di gliomi cerebrali e schwannomi maligni al cuore. Un dato che non può essere liquidato come coincidenza: in entrambi i casi, si è trattato di esposizioni a lungo termine, compatibili con l’ambiente in cui oggi viviamo, dove il 5G inizia a permeare ogni spazio pubblico e privato.
Una revisione sistematica di oltre 500 studi, pubblicata nel 2025 da RF Safe, ha mostrato che nel 59% delle ricerche esaminate si riscontrano danni al DNA, anche a livelli di esposizione ben inferiori ai limiti internazionali. Le lesioni ossidative, che possono alterare i meccanismi cellulari e favorire mutazioni cancerogene, sono state rilevate in oltre l’86% dei casi su tessuti neuronali, spermatici e ovocitari.
Alcune delle più autorevoli pubblicazioni scientifiche confermano questi segnali. Uno studio comparso su “Frontiers in Public Health” nel 2025 ha sistematizzato centinaia di ricerche, tracciando una mappa di effetti genotossici, tra cui aberrazioni cromosomiche e rotture del doppio filamento di DNA, osservate anche in condizioni di bassa esposizione. Non si tratta di esperimenti casuali, ma di indagini con protocolli rigorosi e controllati, spesso ignorati dalle autorità regolatorie internazionali.
Il panorama si fa ancora più preoccupante se consideriamo gli effetti osservati sulla pelle umana, principale organo esposto al 5G. Un team di ricercatori israeliani (Betzalel et al., 2025) ha dimostrato che le onde millimetriche ad alta frequenza interagiscono in profondità con ghiandole sudoripare e terminazioni nervose dermiche, aprendo la strada a possibili disfunzioni del sistema nervoso autonomo. Anche se non si tratta di effetti termici, il comportamento delle cellule suggerisce un’interazione biologica non trascurabile, capace di alterare segnali neuronali e processi metabolici.
Alla luce di questi dati, le rassicurazioni delle agenzie regolatorie sembrano quantomeno premature. Come ha osservato la consigliera comunale Simona Simonetti nella mozione approvata a Finale Ligure, “il fatto che un risultato sia ottenuto su animali non significa che non valga per l’uomo; rappresenta invece un segnale d’allarme da prendere sul serio”. La richiesta di un ritorno al limite di 6 V/m, più prudenziale rispetto agli standard europei attuali (15–20 V/m), non nasce da un rifiuto della tecnologia, ma da una legittima esigenza di tutela della salute pubblica.
Mentre la diffusione del 5G continua a espandersi, dunque, i segnali provenienti dalla ricerca indicano che non possiamo escludere un rischio concreto per la salute umana. Anzi, i dati genetici, molecolari e sperimentali impongono una revisione critica e indipendente delle politiche di esposizione.

Nina Celli, 16 agosto 2025

 
02

Le evidenze scientifiche non dimostrano rischi tumorali entro i limiti di esposizione al 5G

CONTRARIO

Negli ultimi anni, il dibattito sulla sicurezza del 5G ha attirato una crescente attenzione pubblica. Alimentato da preoccupazioni, mozioni comunali e campagne social, il timore di possibili danni alla salute legati alle onde elettromagnetiche sembra diffondersi tanto quanto la stessa rete mobile di quinta generazione. Eppure, se si guarda unicamente al metodo scientifico — la verifica sperimentale, la revisione tra pari, l’analisi statistica rigorosa — si scopre che le evidenze oggi disponibili non supportano l’ipotesi di un rischio concreto per la salute umana associato all’uso corretto del 5G.
Una prima, fondamentale distinzione riguarda la natura delle radiazioni utilizzate. Le onde radio emesse dalle antenne 5G appartengono alla categoria delle radiazioni non ionizzanti, le stesse utilizzate da radio, TV e reti Wi-Fi da decenni. A differenza delle radiazioni ionizzanti — come i raggi X o gamma — non possiedono energia sufficiente per rompere legami molecolari o danneggiare direttamente il DNA. La Fondazione Ugo Bordoni, in un’analisi aggiornata del 2025, ha ricordato come oltre 47.000 studi siano stati condotti sul tema dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, senza che emergano evidenze solide di un rischio oncologico specifico. Gli studi Interphone e Cosmos, i più estesi mai realizzati, non hanno rilevato un aumento statisticamente significativo di tumori cerebrali associati all’uso di telefoni mobili.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso il suo portale EMF e i documenti dell'ICNIRP, ribadisce che non esistono prove convincenti di effetti negativi sulla salute umana quando i livelli di esposizione restano entro i limiti stabiliti. Questi limiti, definiti proprio per tenere conto anche dei soggetti più vulnerabili (bambini, anziani, malati), sono stati costruiti con ampie soglie di sicurezza, spesso 50 volte inferiori ai livelli in cui è stato osservato un primo effetto biologico, e ancora di più rispetto a quelli dannosi.
L’Italia, peraltro, ha da sempre adottato una delle normative più restrittive d’Europa: prima con un limite di 6 V/m e oggi con 15 V/m, comunque più bassi di quelli ICNIRP. Secondo il prof. Fabio Baronio, direttore dell’area di Ingegneria dell’Informazione all’Università di Brescia, “non ci sono evidenze che dimostrino effetti nocivi del 5G. Non si possono però ancora conoscere con certezza gli effetti a lunghissimo termine, come 40 o 50 anni”. Ecco allora il punto centrale: l’assenza di prove definitive non può essere confusa con la prova di un danno.
L’aspetto metodologico è altrettanto cruciale. Alcuni studi che suggeriscono danni — come quelli su animali del NTP e dell’Istituto Ramazzini — sono spesso difficilmente trasferibili all’uomo. Le condizioni sperimentali implicano esposizioni elevate, su tutto il corpo e per periodi intensivi, non paragonabili alla realtà umana, dove l’assorbimento è localizzato e intermittente. In più, come ricordato da ICNIRP, molti di questi studi presentano limiti statistici, campioni ridotti o assenza di replicazione indipendente, tutti elementi che ne minano la validità.
Un contributo rilevante arriva anche dal mondo accademico. Uno studio condotto presso la Constructor University e pubblicato su “PNAS Nexus” nel 2025 ha testato gli effetti delle onde 5G fino a 10 volte superiori ai limiti regolatori su cellule epiteliali umane. I ricercatori hanno utilizzato metodi avanzati di RNA-sequencing e metilazione del DNA, concludendo che non si osservano danni genetici né epigenetici. Una conferma, su base molecolare, dell’innocuità del 5G nei contesti realistici.
Ciò che emerge con forza dalla letteratura scientifica più ampia e rigorosa è che il 5G, entro i limiti regolamentati, non rappresenta una minaccia per la salute pubblica. Le autorità sanitarie, i ricercatori indipendenti e gli esperti di ingegneria biomedica concordano su questo punto. Continuare a investire in ricerca, certo, è doveroso. Ma nel frattempo, diffondere timori infondati senza solide basi rischia di rallentare l’innovazione e di alimentare disinformazione.

Nina Celli, 16 agosto 2025

 
03

Le attuali linee guida sottovalutano gli effetti non termici e ignorano segnali biologici preoccupanti

FAVOREVOLE

A regolare l’esposizione della popolazione alle onde elettromagnetiche, inclusi i segnali del 5G, ci sono linee guida apparentemente rassicuranti. I limiti stabiliti da organismi internazionali come l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) e adottati in larga parte anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definiscono soglie di esposizione che si ritengono sicure per tutti. Ma è proprio qui che, secondo molti esperti indipendenti, si nasconde un rischio sottile: l’eccessiva fiducia in un paradigma limitato, che considera soltanto gli effetti termici delle onde RF, trascurando invece una vasta mole di studi che suggeriscono conseguenze biologiche non termiche.
Le attuali normative sono state concepite — e tuttora fondate — su un principio fisico semplice: se l’energia assorbita dal corpo non è sufficiente a provocare un riscaldamento misurabile dei tessuti, non vi sarebbero rischi sanitari. Ma questa assunzione non tiene conto della complessità del sistema biologico umano, dove alterazioni a livello molecolare e cellulare possono verificarsi anche senza aumento di temperatura. Già negli anni ’90, scienziati del settore oncologico mettevano in guardia da questa visione riduzionista. E oggi, l’evidenza accumulata — soprattutto grazie agli studi indipendenti — sembra dar loro ragione.
Nel 2025, Michael Weller et al., in una revisione pubblicata su “Frontiers in Public Health”, hanno mappato in maniera sistematica i dati su esposizione a campi elettromagnetici tra 3 kHz e 300 GHz. I risultati mostrano che, anche a basse intensità, le RF possono provocare danni al DNA, stress ossidativo, alterazioni mitocondriali e mutazioni epigenetiche. Questi effetti non sono spiegabili da un meccanismo termico e, cosa più grave, non sono presi in considerazione dalle attuali soglie ICNIRP.
Non si tratta di eccezioni. L’articolo di James Lin (2025), sempre su “Frontiers in Public Health”, denuncia esplicitamente il conflitto tra l’evidenza scientifica e i parametri regolatori: “le linee guida ICNIRP sono obsolete e inadeguate per le esposizioni croniche tipiche del 5G”. Lin, già membro del comitato scientifico statunitense per la salute ambientale, critica il fatto che le soglie siano basate su esposizioni di pochi minuti, mentre oggi ci troviamo esposti 24 ore su 24, ogni giorno, spesso a distanze ravvicinate.
Inoltre, il ruolo delle industrie delle telecomunicazioni nella definizione degli standard non è affatto secondario. Molti dei membri di ICNIRP e dei comitati WHO-EMF sono stati oggetto di accuse di conflitto di interesse da parte di scienziati indipendenti. Uno studio di “RF Safe Review” (2025) evidenzia come la probabilità di ottenere risultati negativi sugli effetti delle RF aumenta quando la ricerca è finanziata direttamente dall’industria, sollevando dubbi sulla neutralità delle fonti su cui ICNIRP basa le sue revisioni periodiche.
In Italia, la situazione è ancora più complessa. La normativa nazionale, storicamente più prudente rispetto a quella europea, è stata progressivamente allineata ai parametri ICNIRP, con l’innalzamento dei limiti da 6 V/m a 15 V/m per motivi principalmente legati allo sviluppo del 5G. Tuttavia, le motivazioni scientifiche per questo cambiamento sono assenti. Come dichiarato nella mozione approvata dal Consiglio comunale di Finale Ligure (2025), “la riduzione dei limiti non nasce da nuove evidenze di sicurezza, ma da esigenze tecnologiche e industriali”.
Anche a livello europeo, il Comitato Scientifico della Commissione Europea (SCHEER) ha richiesto nel 2022 una revisione della Raccomandazione 1999/519/CE, proprio per tenere conto delle nuove evidenze biologiche non contemplate dalle attuali soglie. Tale aggiornamento è atteso entro la fine del 2025, segno che persino le istituzioni ammettono l’obsolescenza del quadro regolatorio.
Le linee guida ICNIRP e affini, pur essendo presentate come “scientificamente solide”, si fondano su un paradigma parziale e superato. Ignorano decine di studi recenti, trascurano gli effetti a lungo termine e applicano limiti basati su un approccio termico ormai insufficiente. Per questo motivo, è necessario un cambio di paradigma normativo: non più soglie fisse per esposizioni acute, ma valutazioni integrate e dinamiche, in grado di proteggere realmente la salute della popolazione nell’era della connettività pervasiva.

Nina Celli, 16 agosto 2025

 
04

Le normative internazionali sono basate su revisioni sistematiche e garantiscono margini di sicurezza ampi

CONTRARIO

Quando si parla di tecnologie che impattano milioni di persone ogni giorno, come il 5G, è legittimo che la società civile sollevi dubbi e chieda garanzie. Ma altrettanto importante è affidarsi a regole scritte da chi ha le competenze per distinguere tra timori percepiti e rischi reali. Le linee guida internazionali in materia di esposizione ai campi elettromagnetici — in particolare quelle dell’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) e quelle recepite dall’OMS — sono il frutto di revisioni sistematiche e aggiornamenti periodici basati su dati verificati e replicabili. E, fino a oggi, non esistono evidenze scientifiche che giustifichino una revisione radicale di questi limiti.
Uno dei principali malintesi riguarda il concetto stesso di “effetti non termici”. È vero che il modello ICNIRP si basa sugli effetti biologici legati al riscaldamento dei tessuti. Ma questa scelta metodologica non nasce da negligenza o semplificazione: nasce da un principio di cautela scientifica. Finché un effetto biologico non è stato dimostrato come dannoso, ripetibile e meccanisticamente spiegabile, non può essere assunto come base normativa. La scienza non si basa su suggestioni, ma su prove.
La versione aggiornata delle linee guida ICNIRP (2020) ha già preso in considerazione nuovi dati sulla densità di potenza e su segnali a breve impulso, come quelli del 5G, introducendo soglie differenziate. Inoltre, i limiti di esposizione incorporano ampi fattori di sicurezza, fino a 50 volte inferiori ai livelli in cui si osservano i primi effetti biologici lievi. Questo margine è stato pensato proprio per tutelare anche soggetti più sensibili: bambini, anziani, persone con patologie croniche. Non si tratta quindi di limiti “minimi”, ma di valori di sicurezza ampiamente prudenziali.
Nel contesto italiano, questa prudenza è ulteriormente rafforzata. Il nostro Paese, fino al 2023, applicava un limite di esposizione di 6 V/m per le aree sensibili, uno dei più bassi d’Europa. Dopo l’intervento del legislatore con la legge 214/2023, tale limite è stato elevato a 15 V/m per uniformarsi alle direttive europee. Ma, come sottolineato dalla Fondazione Ugo Bordoni (FUB) nel suo report tecnico del 2025, anche questo nuovo valore è ancora più restrittivo di quello ICNIRP (61 V/m). Inoltre, le misurazioni reali effettuate dalle ARPA regionali dimostrano che i valori effettivi di esposizione sono ben inferiori ai limiti autorizzati.
Un ulteriore elemento a sostegno dell’attuale sistema normativo è rappresentato dalla trasparenza del processo. I membri dell’ICNIRP sono obbligati a dichiarare pubblicamente ogni conflitto di interesse. Il caso della commissaria Maya Mizuno è emblematico: la sua partecipazione a comitati giapponesi sulla compatibilità elettromagnetica è stata giudicata non rilevante per il suo incarico, proprio perché svolta a titolo gratuito e senza legami con industrie del settore.
Sotto il profilo tecnico-scientifico, è significativo lo studio pubblicato nel 2025 da un team tedesco su “PNAS Nexus” e ripreso dalla Fondazione Leonardo. I ricercatori hanno esposto cellule cutanee umane a onde millimetriche 5G fino a 10 volte i limiti normativi. Nessun danno genetico, né alterazioni epigenetiche sono state osservate. Si tratta di uno degli studi più avanzati disponibili, condotto con tecniche di RNA-sequencing e controllo cieco, e conferma che i limiti oggi in vigore sono largamente sufficienti a garantire la sicurezza della popolazione.
È, inoltre, importante ricordare che le normative evolvono costantemente, grazie al lavoro del Comitato SCHEER della Commissione Europea e delle agenzie nazionali come l’ISS. L’aggiornamento atteso entro fine 2025 della Raccomandazione europea 1999/519/CE è la dimostrazione che il sistema non è statico, ma si adatta al progresso scientifico.
Le linee guida attuali, dunque, non sono frutto di pressioni industriali né di trascuratezza. Sono il risultato di un processo multilivello, scientificamente validato, tecnicamente solido e trasparente. La prudenza è già incorporata nei parametri. Chiedere di abbassarli ulteriormente senza nuove evidenze solide non rende il sistema più sicuro, ma rischia di ostacolare lo sviluppo tecnologico e la diffusione di soluzioni innovative, fondamentali anche per la salute pubblica.

Nina Celli, 16 agosto 2025

 
05

La densità delle antenne e la maggiore esposizione ambientale rendono il 5G una minaccia per soggetti sensibili

FAVOREVOLE

Nel mondo iperconnesso in cui viviamo, la tecnologia 5G ha già iniziato a cambiare il nostro modo di comunicare, lavorare, perfino di curarci. Ma mentre l’attenzione pubblica si concentra su velocità di download e latenza ridotta, un altro aspetto, ben più delicato, passa spesso sotto silenzio: l’esposizione involontaria e cronica a campi elettromagnetici, soprattutto per i soggetti più vulnerabili. Bambini, donne in gravidanza, anziani e persone con patologie neurologiche o autoimmuni si trovano oggi immersi in un ambiente elettromagnetico sempre più denso, in cui il 5G introduce nuovi livelli di rischio non ancora adeguatamente valutati. Con la diffusione del 5G, il paradigma infrastrutturale è cambiato: non più poche torri potenti e distanti, ma migliaia di micro-antenne a corto raggio, collocate su edifici, semafori, pensiline. Ciò significa che l’esposizione è diventata ubiqua, anche per chi non usa direttamente un dispositivo. Questa densità — che per motivi tecnici è necessaria per sfruttare le bande ad alta frequenza — ha creato nuovi scenari espositivi in cui le persone, specialmente i bambini, non possono più “scegliere” di stare lontani dalle fonti. La scuola, la casa, i parchi giochi: nessun luogo è più “neutro”.
Gli effetti di tale esposizione diffusa sono ancora oggetto di studio, ma le prime evidenze preoccupanti non mancano. Un articolo pubblicato nel 2025 su “Frontiers in Public Health” da Michael Weller et al. mostra che l’esposizione a campi RF, anche sotto i limiti, è associata a danni epigenetici e ossidativi in cellule cerebrali e riproduttive. I bambini, in particolare, sono più sensibili a causa della maggiore conduttività dei tessuti, della minore densità ossea e dello sviluppo cerebrale ancora in corso. Eppure, le attuali normative — sia quelle italiane che europee — non prevedono limiti differenziati per età o condizione fisiologica.
Anche la revisione sistematica di “RF Safe Review” (2025) ha mostrato che l’86% degli studi sugli effetti biologici da RF segnala stress ossidativo, neuroinfiammazione e alterazioni cognitive. Questi effetti sono più marcati in soggetti giovani o fragili, e possono manifestarsi senza che vi sia un danno termico immediato. La soglia di attenzione basata solo sul SAR (tasso di assorbimento specifico) è insufficiente a cogliere le dinamiche cumulative e non lineari dell’esposizione reale.
Un caso clinico documentato in Svezia e ripreso dalla stampa specializzata (Bodywell, 2025) descrive come l’attivazione di una nuova antenna 5G in un quartiere residenziale abbia coinciso con un’ondata di sintomi neurologici tra i bambini, tra cui disturbi del sonno, cefalee, irrequietezza e difficoltà di concentrazione. L’esposizione notturna è risultata essere il fattore critico, perché interferisce con i ritmi circadiani e con la produzione di melatonina, ormone fondamentale per il sistema immunitario e lo sviluppo neuropsicologico.
In Italia, il tema è stato sollevato anche a livello istituzionale. La mozione approvata dal Consiglio Comunale di Finale Ligure nel 2025 chiede non solo il ripristino del limite prudenziale di 6 V/m, ma anche la creazione di un osservatorio epidemiologico regionale autonomo, capace di monitorare gli effetti sanitari su base territoriale, con particolare attenzione alla popolazione infantile e scolastica.
L’evidenza scientifica, seppur in fase di consolidamento, mostra che le fasce più deboli della popolazione non sono adeguatamente tutelate dal quadro normativo attuale. La protezione che oggi garantiamo è omogenea, quando invece la vulnerabilità biologica non lo è. Continuare a trattare un bambino e un adulto sano come equivalenti, dal punto di vista dell’assorbimento elettromagnetico, è una semplificazione pericolosa.
Mentre l’infrastruttura 5G cresce e si integra con gli ambienti di vita quotidiana, la protezione dei soggetti vulnerabili deve diventare priorità assoluta. Non possiamo attendere studi a lungo termine per poi scoprire, tra vent’anni, che era troppo tardi. È oggi che si decide se la tecnologia sarà davvero al servizio della salute o se sarà ricordata come una svolta tecnologica priva di etica precauzionale.

Nina Celli, 16 agosto 2025

 
06

Non ci sono prove specifiche di maggiore pericolo per bambini o soggetti vulnerabili se rispettati i limiti

CONTRARIO

Quando si discute di salute pubblica, e in particolare della sicurezza delle tecnologie emergenti, è giusto chiedere maggiore attenzione per i soggetti più vulnerabili: bambini, anziani, persone con patologie. Ma è altrettanto necessario che questa attenzione si traduca in misure basate su dati concreti e verificabili, e non in azioni precauzionali disancorate dalla realtà scientifica. Nel caso del 5G, non esistono evidenze cliniche o epidemiologiche robuste che dimostrino un rischio differenziato per i soggetti fragili, se l’esposizione avviene entro i limiti stabiliti. Le normative attuali sono già pensate per tutelare tutta la popolazione, inclusi i più vulnerabili. L’ICNIRP, organismo indipendente che collabora con l’OMS, definisce i limiti tenendo conto di un ampio margine di sicurezza, solitamente 50 volte inferiore rispetto ai livelli in cui si osservano effetti biologici. Questo margine è stato introdotto proprio per coprire la variabilità interindividuale, compresa quella legata all’età, alla salute e alle condizioni ambientali. L’idea che “servano limiti specifici per i bambini” è comprensibile dal punto di vista emotivo, ma già inglobata nella progettazione dei limiti esistenti. Un esempio concreto è dato dal quadro normativo italiano. Fino al 2023, il valore di attenzione era fissato a 6 V/m, tra i più cauti d’Europa. La recente modifica normativa (Legge 214/2023) ha elevato questa soglia a 15 V/m, ancora nettamente inferiore al valore massimo ICNIRP di 61 V/m per le frequenze più usate nel 5G. Tuttavia, come confermato dalla Fondazione Ugo Bordoni, le misurazioni reali condotte sul territorio mostrano valori ampiamente inferiori anche al nuovo limite. Questo significa che i livelli effettivi di esposizione ambientale non rappresentano un pericolo concreto, né per adulti né per bambini.
Tali preoccupazioni spesso nascono da interpretazioni fuorvianti di studi su animali o in vitro. Alcune ricerche hanno osservato effetti su ratti o su colture cellulari esposte a campi elettromagnetici, ma questi risultati non sono direttamente trasferibili all’uomo, come confermato anche dalla stessa mozione comunale di Finale Ligure: “I risultati su ratti non significano che siano validi per l’essere umano” — pur se usati per invocare il principio di precauzione.
La mancanza di evidenze cliniche è confermata anche dalle più recenti analisi di esperti accademici. Il prof. Fabio Baronio dell’Università di Brescia, intervistato dal “Giornale di Brescia” nel 2025, ha affermato che “non ci sono prove che il 5G faccia male alla salute, e gli effetti a lungo termine, se esistono, saranno oggetto di monitoraggio, ma nulla indica oggi un rischio maggiore per i bambini”. Un altro studio fondamentale, condotto alla Constructor University e pubblicato su “PNAS Nexus”, ha esposto cellule epiteliali umane a onde 5G per valutare possibili danni genetici o epigenetici. Anche a livelli di esposizione 10 volte superiori ai limiti normativi, non sono emerse alterazioni rilevanti. Si tratta di un risultato importante, perché dimostra che le cellule umane non mostrano segni di vulnerabilità specifica alla frequenza e alla potenza tipica del 5G, nemmeno in scenari “estremi”.
Inoltre, alcune fonti spesso citate per sostenere un effetto nocivo sullo sviluppo neuropsicologico, come i sintomi pediatrici riportati da siti commerciali (es. “Bodywell”), non sono verificabili, né basati su pubblicazioni peer-reviewed. In un contesto dove la disinformazione dilaga, soprattutto online, è essenziale distinguere tra opinioni, marketing e scienza verificata.
Il timore che il 5G possa danneggiare in modo specifico i bambini o le persone fragili, dunque, non trova conferma nei dati scientifici disponibili. Questo non significa abbassare la guardia, ma piuttosto affidarsi al principio di proporzionalità: adottare misure giustificate dai fatti, non dall’emotività. Il vero pericolo, oggi, potrebbe essere la proliferazione di paure infondate che ostacolano l’accesso a tecnologie che, se ben regolamentate, possono migliorare l’inclusione, la medicina e la qualità della vita di tutti, vulnerabili compresi.

Nina Celli, 16 agosto 2025

Loading…
Loading…
Loading…
Grazie per la tua opinione
Condividi e fai conoscere la tua opinione
Loading…