Meloni: il riconoscimento della Palestina peggiora il conflitto
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La questione del riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Italia, e in particolare la posizione assunta dal governo guidato da Giorgia Meloni, si colloca all’interno di una delle dispute geopolitiche più complesse e longeve della storia contemporanea. La crisi israelo-palestinese affonda le sue radici nel 1947, quando il piano di partizione dell’ONU prevedeva la nascita di due Stati, uno ebraico e uno arabo, in un territorio allora sotto mandato britannico. La nascita di Israele nel 1948 e la prima guerra arabo-israeliana produssero invece un esodo di centinaia di migliaia di palestinesi e lasciarono irrisolta la questione di uno Stato palestinese sovrano.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il riconoscimento della Palestina, ora, sarebbe un atto puramente simbolico, slegato da un processo politico concreto, rischierebbe di cristallizzare la situazione attuale.
Il rinvio del riconoscimento dello Stato di Palestina è non solo ingiustificato, ma anche moralmente e politicamente dannoso.
Un riconoscimento immediato rischierebbe di compromettere le relazioni con Israele e gli Stati Uniti, due alleati fondamentali nella NATO e sul piano della sicurezza.
Un gesto forte da parte dell’Italia, come il riconoscimento della Palestina, migliorerebbe la posizione internazionale, rafforzando la credibilità diplomatica.
In assenza di un processo politico concreto e di una reale struttura statale palestinese, il riconoscimento potrebbe generare un’illusione di soluzione.
Il riconoscimento della Palestina avrebbe un impatto umanitario e simbolico significativo, soprattutto in un contesto di sofferenza estrema come quello attuale a Gaza.
Rinviare il riconoscimento è anche un modo per preservare la coesione interna della maggioranza e contenere le fratture politiche nel Paese.
Il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina rafforzerebbe la credibilità internazionale dell’Italia e la qualità del dibattito democratico interno.
Rinviare il riconoscimento dello Stato di Palestina, per l'Italia, è anche una mossa tattica per salvaguardare la coesione interna dell’Unione Europea.
La divisione interna all’UE è un motivo per agire rapidamente e posizionarsi come leader dell’agenda politica europea sul Medio Oriente, riconoscendo lo Stato della Palestina.
Il riconoscimento, in questo momento, sarebbe un atto solo simbolico
Il rinvio del riconoscimento dello Stato di Palestina, come sostenuto da Giorgia Meloni e condiviso da parte significativa della maggioranza di governo, viene presentato come una scelta di cautela strategica e di responsabilità internazionale. Secondo la premier, “il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, potrebbe addirittura essere controproducente per l’obiettivo” (“Il Manifesto”, “L’Espresso”). La logica sottostante è che un atto puramente simbolico, slegato da un processo politico concreto, rischierebbe di cristallizzare la situazione attuale, riducendo la pressione su entrambe le parti per impegnarsi in negoziati sostanziali.
In questa prospettiva, il riconoscimento deve essere l’esito di un percorso complesso, che garantisca la coesistenza pacifica di “due popoli, due Stati” con reciproco riconoscimento e garanzie di sicurezza. Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha ribadito che “il reciproco riconoscimento fra Israele e il futuro Stato palestinese è un punto d’arrivo indispensabile” (“Corriere della Sera”). Questa impostazione si inserisce in una visione più ampia della diplomazia italiana, tradizionalmente attenta a mantenere relazioni bilanciate con tutte le parti in conflitto e a non compromettere i legami strategici con partner chiave, come Israele e gli Stati Uniti.
Il contesto attuale rafforza l’argomento della prudenza: la Palestina è divisa politicamente e territorialmente, con Gaza governata da Hamas, organizzazione considerata terroristica da gran parte della comunità internazionale, e la Cisgiordania sotto il controllo di un’Autorità Nazionale Palestinese, debole e delegittimata. Per il governo italiano, riconoscere ora la Palestina equivarrebbe a legittimare un’entità frammentata, senza controllo unitario del territorio e priva di una governance stabile. Il rischio, sottolineato anche da Matteo Salvini, è che un riconoscimento anticipato sia percepito come “un regalo a Hamas”, minando gli sforzi per garantire la sicurezza di Israele.
I sostenitori di questa linea ricordano inoltre il precedente del 2005, quando Israele si ritirò da Gaza: anziché inaugurare un’era di stabilità, il vuoto politico portò a un’escalation di violenze culminata negli attacchi del 7 ottobre 2023. Secondo questa visione, ripetere lo stesso errore su scala statale sarebbe pericoloso non solo per la regione, ma anche per la credibilità della diplomazia europea, che rischierebbe di apparire mossa da impulsi emotivi più che da una strategia di pace a lungo termine. Per Meloni e i suoi alleati, dunque, il riconoscimento deve essere il coronamento di un negoziato, non il suo punto di partenza.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Rinviare il riconoscimento dello Stato di Palestina è moralmente e politicamente dannoso
Per le opposizioni italiane, per numerosi leader internazionali e per la Santa Sede, il rinvio del riconoscimento dello Stato di Palestina è non solo ingiustificato, ma anche moralmente e politicamente dannoso. Giuseppe Conte ha definito la posizione di Meloni “una scusa vile, che ignora il sistematico piano di sterminio e deportazione” portato avanti dal governo israeliano (“Il Manifesto”, “ANSA”). Angelo Bonelli (AVS) parla di “complicità con il carnefice Netanyahu” e di “codardia” di fronte a un conflitto che ha già provocato oltre 58.000 morti, tra cui più di 20.000 bambini, secondo dati citati dalle Nazioni Unite.
Per i sostenitori del riconoscimento immediato, l’atto avrebbe un duplice valore: politico e simbolico. Politicamente, riconoscere la Palestina significherebbe dare legittimità internazionale a un popolo sotto occupazione e riequilibrare i rapporti di forza nei negoziati, ponendo Israele davanti alla realtà di un partner statale riconosciuto. Simbolicamente, invierebbe un messaggio chiaro alla comunità internazionale: il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi non può essere indefinitamente subordinato a condizioni imposte da potenze terze.
Anche la Santa Sede si schiera apertamente su questa linea. Il cardinale Pietro Parolin ha affermato che “riconoscere lo Stato palestinese è la soluzione” e ha ricordato che il Vaticano lo ha già fatto da tempo (“Today”). Secondo Parolin, l’urgenza è dettata non solo dal rispetto del diritto internazionale, ma anche dall’imperativo morale di fermare quella che Josep Borrell ha definito “un’estate di genocidio” perpetrato ai danni della popolazione palestinese.
Le opposizioni in Parlamento accusano il governo italiano di ipocrisia: mentre Macron, Starmer e altri leader europei fissano date precise per il riconoscimento, l’Italia resta “immobile” per non irritare alleati strategici come gli Stati Uniti e Israele (“Notizie Geopolitiche”). Per loro, attendere “tempi maturi” è un pretesto che perpetua lo status quo e condanna la Palestina a un’esistenza di fatto priva di sovranità. In un contesto in cui 147 Paesi membri dell’ONU, inclusi diversi Stati europei e la Santa Sede, già riconoscono la Palestina, il ritardo italiano viene visto come un segnale di subalternità geopolitica e di miopia strategica. Secondo questa tesi, il riconoscimento immediato non è un atto avventato, ma un gesto di giustizia storica, indispensabile per avviare un vero processo di pace e per affermare la credibilità internazionale dell’Italia come attore diplomatico autonomo e coerente con i principi che proclama.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Rinviare il riconoscimento della Palestina per tutelare i rapporti diplomatici
Rinviare il riconoscimento dello Stato di Palestina, secondo la linea sostenuta dal governo Meloni, è anche una questione di equilibrio nei rapporti internazionali. L’Italia si trova in una posizione delicata: storicamente ha mantenuto buone relazioni sia con Israele che con i Paesi arabi, bilanciando interessi economici, energetici e strategici. Un riconoscimento immediato, specie in un momento di alta tensione, rischierebbe di compromettere le relazioni con partner chiave come Israele e gli Stati Uniti, due alleati fondamentali nella NATO e sul piano della sicurezza. Giorgia Meloni ha più volte ribadito che la politica estera italiana mira alla “pace, non alla vittoria di uno sull’altro” (“Il Manifesto”, “ANSA”). In questo quadro, un riconoscimento anticipato potrebbe essere interpretato come una presa di posizione netta a favore di una delle parti, incrinando la capacità dell’Italia di mantenere un ruolo di mediazione. Antonio Tajani ha spiegato che l’obiettivo è arrivare a una soluzione “due popoli, due Stati” come punto di arrivo e non come mossa unilaterale di rottura (“Corriere della Sera”).
Dal punto di vista geopolitico, c’è anche il timore di fratturare ulteriormente l’Unione Europea. La scelta di Emmanuel Macron di annunciare per settembre il riconoscimento ha già diviso gli Stati membri: alcuni, come Spagna, Irlanda e Slovenia, sono favorevoli; altri, come Germania e Paesi Bassi, restano cauti. L’Italia, in questa logica, non vuole posizionarsi in uno schieramento che potrebbe risultare minoritario e potenzialmente isolato nei prossimi negoziati UE-Israele. Un altro elemento di cautela è il legame con gli Stati Uniti. L’amministrazione americana, pur sostenendo la soluzione dei due Stati, considera il riconoscimento immediato un passo prematuro. Allinearsi alla posizione di Washington permette all’Italia di mantenere un fronte diplomatico comune con il suo principale alleato strategico, evitando tensioni che potrebbero ripercuotersi su dossier cruciali come la sicurezza nel Mediterraneo e le politiche energetiche.
Le fonti internazionali confermano queste preoccupazioni. “Politico.eu” ha riportato le parole di Meloni secondo cui un riconoscimento prematuro “rischia di ridurre la pressione sulla comunità internazionale per un vero accordo politico”, mentre “Reuters” ha evidenziato che Roma teme di compromettere la cooperazione con Israele in ambito di sicurezza e tecnologia. “The Jerusalem Post” sottolinea come Israele consideri il riconoscimento immediato un indebolimento della propria posizione negoziale, e il governo Netanyahu ha già reagito duramente alla mossa francese.
Il governo ritiene che un riconoscimento ora non migliorerebbe le condizioni sul terreno, ma potrebbe invece irrigidire le posizioni di Israele, limitando la capacità dell’Italia di influire sui negoziati futuri. In sintesi, per Roma, mantenere una postura diplomatica prudente serve a preservare relazioni fondamentali e a non bruciare le carte negoziali in un momento di forte instabilità.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Un gesto forte, come il riconoscimento, migliorerebbe la posizione internazionale dell’Italia
I sostenitori del riconoscimento immediato dello Stato di Palestina ritengono che un gesto forte da parte dell’Italia migliorerebbe la sua posizione internazionale, rafforzando la credibilità diplomatica e la coerenza con i principi dichiarati. Secondo questa visione, la mancata azione italiana trasmette un messaggio di passività e subalternità, in particolare verso gli Stati Uniti e Israele. Giuseppe Conte ha accusato il governo di “ipocrisia” e di “atto di sudditanza” verso potenze terze (“Il Manifesto”, “ANSA”).
In un contesto in cui 147 Stati membri dell’ONU già riconoscono la Palestina, tra cui la Santa Sede e diversi Paesi UE, l’Italia rischia di rimanere indietro rispetto alla tendenza internazionale (“Notizie Geopolitiche”). Emmanuel Macron, Keir Starmer e Pedro Sanchez stanno spingendo per un riconoscimento coordinato a livello europeo, e unirsi a questo fronte significherebbe per l’Italia rafforzare l’unità politica dell’UE su un tema cruciale. Restare fuori potrebbe invece accentuare la percezione di un’Italia diplomatica “a rimorchio” e priva di iniziativa autonoma.
Il riconoscimento immediato, sostengono i fautori di questa tesi, non romperebbe necessariamente i rapporti con Israele: molti Paesi che hanno compiuto questo passo continuano a intrattenere relazioni economiche e politiche con Tel Aviv. Al contrario, mostrerebbe che Roma è capace di mantenere rapporti bilaterali maturi, basati sul rispetto reciproco anche in presenza di divergenze politiche.
Sul piano del soft power, un riconoscimento italiano avrebbe un valore simbolico rilevante nel mondo arabo e nei Paesi del Sud globale, dove la questione palestinese è percepita come una cartina di tornasole dell’impegno internazionale per la giustizia e il Diritto internazionale. La Santa Sede, per voce del cardinale Parolin, ha già ricordato che “riconoscere la Palestina è la soluzione”, e un allineamento italiano a questa posizione rafforzerebbe anche il peso morale e culturale di Roma sulla scena internazionale (“Today”).
Le testate internazionali confermano che una scelta italiana in questa direzione avrebbe eco globale. “The Guardian” ha sottolineato come il dibattito europeo sul riconoscimento si stia intensificando man mano che la crisi umanitaria a Gaza peggiora, e che la posizione italiana di immobilismo contrasti con la spinta di altri leader. “The New Arab” evidenzia che il riconoscimento immediato invierebbe un segnale politico forte ai palestinesi, rafforzando la loro legittimità diplomatica. Secondo “AP News”, la decisione australiana di procedere con il riconoscimento non ha interrotto i rapporti con Israele, dimostrando che il rischio di isolamento politico è meno grave di quanto temuto.
Assumere una posizione netta darebbe all’Italia maggiore capacità negoziale nei futuri tavoli di pace. Invece di restare un attore marginale, il Paese potrebbe proporsi come promotore di un’iniziativa europea per il riconoscimento coordinato, portando a un fronte comune in grado di incidere realmente sulla dinamica del conflitto. Per i sostenitori del riconoscimento immediato, è proprio l’inerzia diplomatica a minare l’influenza internazionale italiana, non il coraggio di prendere posizione.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Rinviare per evitare effetti destabilizzanti sul piano umanitario
Secondo il governo italiano e diversi analisti che ne condividono la linea, un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina rischierebbe di avere un impatto controproducente anche sul piano umanitario e simbolico. L’argomento centrale è che tale atto, in assenza di un processo politico concreto e di una reale struttura statale palestinese, potrebbe generare un’illusione di soluzione, distogliendo l’attenzione internazionale dalla necessità di negoziati effettivi. Come sottolineato da Giorgia Meloni in più interviste (“Il Manifesto”, “L’Espresso”, “Politico.eu”), “riconoscere sulla carta ciò che nella realtà non esiste rischia di far sembrare il problema risolto quando non lo è”.
Sul piano umanitario, i sostenitori del rinvio evidenziano che la frammentazione politica e territoriale palestinese rende complesso qualsiasi intervento strutturato. A Gaza, Hamas mantiene il controllo, mentre in Cisgiordania l’Autorità Nazionale Palestinese affronta una crisi di legittimità e capacità. “Reuters” e “The Jerusalem Post” riportano che la leadership israeliana considera il riconoscimento immediato come un incentivo per Hamas a mantenere posizioni massimaliste, riducendo la disponibilità a compromessi. Questa percezione potrebbe prolungare il conflitto, aggravando la già drammatica crisi umanitaria.
Il governo teme anche che un riconoscimento prematuro possa alimentare false aspettative tra la popolazione palestinese. Un atto simbolico, privo di risvolti concreti, potrebbe essere seguito da delusione e frustrazione, con il rischio di un’ulteriore radicalizzazione. Matteo Salvini ha paragonato la mossa a “un regalo a Hamas” (“ANSA”, “L’Espresso”), sostenendo che senza il rilascio degli ostaggi e lo smantellamento delle strutture terroristiche, il riconoscimento non porterebbe alcun beneficio reale. Dal punto di vista simbolico, la prudenza è motivata anche dal timore di compromettere la credibilità delle istituzioni internazionali. Secondo “Euractiv”, se l’UE procedesse in ordine sparso, con alcuni Stati che riconoscono e altri che si oppongono, il messaggio politico risulterebbe frammentato e poco incisivo. L’Italia, rinviando, mira a un’azione coordinata che possa trasformare il gesto simbolico in un catalizzatore di cambiamento reale.
La posizione pro-rinvio ritiene che il riconoscimento immediato, pur animato da intenti umanitari e morali, rischi di rimanere una vittoria di facciata, incapace di incidere sulle condizioni di vita dei palestinesi e potenzialmente dannosa per la stabilità regionale.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Riconoscere subito per rafforzare il sostegno umanitario e il valore simbolico
I sostenitori del riconoscimento immediato sostengono che il suo impatto umanitario e simbolico sarebbe significativo e immediato, soprattutto in un contesto di sofferenza estrema come quello attuale a Gaza. Le fonti internazionali, tra cui “The Guardian” e “AP News”, descrivono una crisi che peggiora ogni giorno, con carestia diffusa, ospedali distrutti e oltre 58.000 morti, di cui più di 20.000 bambini, secondo le denunce ONU. In questo scenario, un riconoscimento formale invierebbe un messaggio chiaro: la comunità internazionale non accetta più lo status quo e si schiera a favore del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. Dal punto di vista umanitario, i fautori di questa linea ritengono che il riconoscimento aumenterebbe la pressione politica e diplomatica su Israele per consentire l’accesso degli aiuti e per allentare l’assedio. “The New Arab” evidenzia che un atto di questo tipo fornirebbe legittimità ai rappresentanti palestinesi nei consessi internazionali, facilitando la raccolta di fondi e il coordinamento degli aiuti umanitari. Inoltre, il sostegno simbolico potrebbe rafforzare la coesione interna palestinese, dando nuova linfa a un’identità nazionale comune oggi frammentata.
Sul piano simbolico, il riconoscimento avrebbe un impatto profondo anche nel mondo arabo e nei Paesi del Sud globale, dove la questione palestinese è vista come un test della credibilità internazionale sul rispetto dei diritti umani. La Santa Sede, per voce del cardinale Pietro Parolin (“Today”), ha definito il riconoscimento “la soluzione”, sottolineando che la Chiesa cattolica lo ha già attuato. Josep Borrell, ex Alto rappresentante dell’UE, ha accusato l’Europa di restare “muta davanti a un genocidio” e ha sostenuto che passi concreti, come il riconoscimento, siano necessari per invertire la rotta.
Esempi concreti dimostrano che la mossa non comporta necessariamente una rottura diplomatica irreparabile: “AP News” ricorda che l’Australia ha recentemente riconosciuto la Palestina senza interrompere le relazioni con Israele. Al contrario, questo tipo di decisione ha rafforzato l’immagine internazionale di Canberra come attore indipendente e coerente con i propri principi.
Un riconoscimento italiano, insomma, potrebbe fungere da catalizzatore per un’azione coordinata a livello UE, rompendo l’attuale immobilismo. Per i sostenitori di questa tesi, il valore simbolico e umanitario di un atto immediato supera di gran lunga i rischi politici, rappresentando un segnale di speranza concreto per milioni di persone che vivono in condizioni disumane.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Rinviare il riconoscimento anche per preservare la stabilità politica interna
Per il governo Meloni, rinviare il riconoscimento dello Stato di Palestina non è soltanto una scelta di politica estera, ma anche un modo per preservare la coesione interna della maggioranza e contenere le fratture politiche nel Paese. L’esecutivo attuale si regge su una coalizione in cui la Lega e Fratelli d’Italia condividono una linea fortemente filoisraeliana, mentre Forza Italia adotta un approccio più diplomatico ma ugualmente prudente. Antonio Tajani ha sintetizzato questa posizione affermando che “il riconoscimento deve avvenire solo in contemporanea con quello dello Stato di Israele” (“Corriere della Sera”, “ANSA”).
In questo contesto, un riconoscimento immediato potrebbe generare tensioni con i partner di governo. Matteo Salvini ha definito la mossa “un regalo a Hamas” e l’ha paragonata a “trattare con le Brigate Rosse” (“L’Espresso”, “ANSA”), parole che trovano eco in parte della base elettorale di centrodestra. Inoltre, la scelta di rinviare evita di aprire un fronte di scontro politico con segmenti dell’opinione pubblica italiana sensibili alla sicurezza di Israele e diffidenti verso le istituzioni palestinesi, specialmente dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.
Dal punto di vista interno, la linea prudente mira anche a evitare che la politica estera diventi un terreno di scontro polarizzante, che potrebbe essere sfruttato dalle opposizioni per accusare il governo di incoerenza o subalternità geopolitica. Le testate internazionali come “The Times of Israel” e “Reuters” riportano che le posizioni italiane sono attentamente monitorate sia dal governo israeliano sia dalle comunità ebraiche italiane, che vedono nel rinvio un segnale di continuità e affidabilità.
Tale prudenza permette all’esecutivo di concentrarsi su altre priorità interne – dall’economia alla sicurezza – senza doversi difendere da accuse di scelte avventate in politica estera. Per la maggioranza, la stabilità interna e il mantenimento di una linea condivisa all’interno della coalizione sono prerequisiti per affrontare la questione palestinese in modo concertato e con un consenso politico più ampio.
Nina Celli, 13 agosto 2025
L’Italia deve riconoscere la Palestina per rafforzare la credibilità e la coesione democratica
Le opposizioni e numerosi osservatori sostengono che un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina rafforzerebbe la credibilità internazionale dell’Italia e, indirettamente, la qualità del dibattito democratico interno. Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi e Angelo Bonelli hanno accusato la premier di “codardia” e “sudditanza” verso Netanyahu e gli Stati Uniti (“Il Manifesto”, “ANSA”, sito di Verdi-Sinistra). Per loro, il rinvio perpetuo mina la trasparenza e la coerenza della politica estera, trasformandola in un esercizio di equilibrismo privo di visione.
Un atto di riconoscimento immediato, oltre a segnare una svolta diplomatica, avrebbe anche un impatto sul piano interno, dimostrando che l’Italia è capace di decisioni autonome, anche quando queste divergono dalle posizioni degli alleati più potenti. “The Guardian” e “The New Arab” evidenziano che nei Paesi in cui il riconoscimento è avvenuto, come Spagna e Irlanda, la scelta ha rafforzato il consenso interno attorno all’idea che la politica estera debba riflettere valori e principi, non solo interessi tattici.
Sul piano interno, una decisione di questo tipo darebbe voce a quella parte consistente dell’opinione pubblica italiana che si mobilita a favore della causa palestinese, soprattutto nei movimenti studenteschi, sindacali e nelle associazioni per i diritti umani. Ignorare questa sensibilità, avvertono gli analisti, rischia di alimentare un senso di disillusione nei confronti delle istituzioni e di rafforzare le forze politiche antisistema.
La scelta avrebbe anche un effetto di chiarificazione politica: costringerebbe le forze parlamentari a prendere una posizione chiara su un tema di rilievo internazionale. Secondo “AP News”, nei Paesi che hanno proceduto al riconoscimento, questo ha portato a un dibattito parlamentare più approfondito e a una maggiore consapevolezza pubblica della questione israelo-palestinese.
Per i sostenitori del riconoscimento immediato, dunque, l’Italia guadagnerebbe in credibilità e trasparenza politica, mostrando che le decisioni di politica estera non sono solo frutto di compromessi interni o pressioni esterne, ma anche di una volontà di coerenza con i valori democratici che il Paese dichiara di voler difendere.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Rinviare è necessario per mantenere coesione e peso negoziale nell’UE
Per il governo italiano, la scelta di rinviare il riconoscimento dello Stato di Palestina è anche una mossa tattica per salvaguardare la coesione interna dell’Unione Europea e massimizzare il peso negoziale collettivo. L’UE è profondamente divisa: Francia, Spagna, Irlanda e Slovenia hanno annunciato o già effettuato il riconoscimento, mentre Germania, Paesi Bassi e altri Stati del Nord Europa mantengono una posizione prudente. L’Italia teme che un allineamento immediato con il fronte più avanzato possa aggravare la frattura interna, riducendo la capacità dell’UE di parlare con una sola voce.
Giorgia Meloni ha sottolineato più volte che la politica italiana punta a una “soluzione concertata” e a un riconoscimento che sia parte di un pacchetto negoziale condiviso con Israele (“Il Manifesto”, “Corriere della Sera”). In quest’ottica, muoversi unilateralmente significherebbe rinunciare alla possibilità di influire dall’interno su un compromesso europeo più ampio. Antonio Tajani ha ribadito che “il reciproco riconoscimento fra Israele e il futuro Stato palestinese deve essere un punto di arrivo”, il che implica un’azione coordinata a livello UE piuttosto che scelte disallineate (“ANSA”).
Le fonti internazionali confermano questa logica. “Euractiv” evidenzia come la mossa di Macron abbia creato tensioni tra gli Stati membri, rischiando di ridurre l’efficacia diplomatica dell’UE nei confronti di Israele e dei partner internazionali. “Politico.eu” riporta che Paesi come Italia e Germania temono che un riconoscimento frammentato rafforzi la percezione di un’Europa divisa, indebolendo il suo ruolo di mediatore.
Sul piano geopolitico, il rinvio consentirebbe all’Italia di mantenere un profilo intermedio, capace di dialogare sia con il blocco più prudente sia con quello più interventista. Questa posizione di equilibrio potrebbe rivelarsi utile nei negoziati multilaterali, specialmente se l’UE decidesse di assumere un’iniziativa comune su Gaza e sulla ricostruzione post-conflitto. Il rinvio non sarebbe quindi un atto di inerzia, ma una strategia per preservare la coesione dell’Unione, proteggere il peso negoziale collettivo e garantire che un eventuale riconoscimento avvenga in un contesto di massima efficacia diplomatica.
Nina Celli, 13 agosto 2025
Il riconoscimento della Palestina porterebbe l’Italia a guidare l’agenda europea
I sostenitori del riconoscimento immediato dello Stato di Palestina ribaltano l’argomento del governo: per loro, proprio la divisione interna all’UE è un motivo per agire rapidamente e posizionarsi come leader dell’agenda politica europea sul Medio Oriente. Emmanuel Macron, con l’annuncio del riconoscimento francese a settembre, ha dimostrato che l’iniziativa unilaterale può imprimere un’accelerazione al dibattito, spingendo altri Stati a prendere posizione (“The Guardian”, “Politico.eu”).
L’Italia ha l’opportunità di uscire dall’ombra diplomatica e affermarsi come attore proattivo. L’allineamento con il gruppo di Paesi già favorevoli (Francia, Spagna, Irlanda, Slovenia) rafforzerebbe il fronte europeista che chiede un ruolo più incisivo dell’UE nella crisi israelo-palestinese. “The New Arab” sottolinea che i Paesi che hanno riconosciuto la Palestina hanno guadagnato prestigio politico nel mondo arabo e credibilità come difensori del diritto internazionale.
Sul piano strategico, un riconoscimento immediato italiano potrebbe contribuire a spostare l’asse del dibattito europeo verso un’azione più concreta e coordinata a favore della soluzione dei due Stati. “AP News” ricorda che scelte nazionali coraggiose spesso fungono da catalizzatori per processi di allineamento, anche in contesti inizialmente frammentati. Inoltre, la Santa Sede, che ha già riconosciuto la Palestina, costituirebbe un alleato simbolico di peso per l’Italia in questo percorso (“Today”).
I sostenitori di questa linea sostengono anche che l’inerzia italiana rischia di farci percepire come un attore secondario e timoroso, rafforzando l’idea che l’Italia segua piuttosto che guidare. In un’UE dove la leadership politica è sempre più contendibile, prendere l’iniziativa significherebbe non solo incidere sul dossier palestinese, ma anche riaffermare il nostro ruolo di promotori di pace e mediazione.
Secondo questo punto di vista, il riconoscimento immediato non comprometterebbe la coesione europea, ma al contrario la stimolerebbe, spingendo l’Unione a definire una linea comune più rapidamente e rendendo l’Italia uno degli attori principali di questo processo.
Nina Celli, 13 agosto 2025