Nr. 382
Pubblicato il 12/08/2025

Vertice Trump-Putin: pace fragile senza l’Ucraina

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Il 15 agosto 2025, a oltre tre anni e mezzo dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente statunitense Donald Trump e il leader del Cremlino Vladimir Putin si incontreranno in Alaska per un vertice destinato a segnare un momento cruciale della guerra. È il primo incontro diretto tra i due dal G20 di Osaka del 2019, e il primo vertice bilaterale USA–Russia con al centro la questione ucraina dal 2021. La scelta del luogo, sottolinea l’“ISPI”, ha un forte valore simbolico: l’Alaska, venduta dalla Russia agli Stati Uniti nel 1867, rappresenta un punto geografico dove le due potenze sono separate solo dallo Stretto di Bering, ma anche un richiamo a equilibri di forza e territori contesi.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Un cessate il fuoco immediato, anche se imperfetto, è il primo passo verso la stabilità

Un cessate il fuoco preliminare, anche se imperfetto, può creare spazi di manovra diplomatica.

02 - C’è il rischio di legittimare la conquista e preparare la prossima guerra

Un cessate il fuoco immediato, basata sulla linea attuale del fronte, potrebbe trasformarsi in una legittimazione implicita delle conquiste russe.

03 - Un vertice ristretto per sbloccare lo stallo

La guerra in Ucraina è intrappolata in uno stallo militare e diplomatico. Con un vertice ridotto, limitato a Stati Uniti e Russia, c'è più flessibilità per superare il blocco.

04 - Un processo senza Kiev mina la legittimità dell’accordo e favorisce Mosca

Il percorso di pace non può essere deciso senza l’Ucraina. L’assenza di Kiev è un atto politico che rischia di indebolire la legittimità dell’intero processo.

05 - Il vertice può aumentare la cooperazione interna dell’Unione europea

Il vertice bilaterale in Alaska ha prodotto un effetto imprevisto: un’accelerazione nella cooperazione interna europea.

06 - L’esclusione dell’Ucraina dal vertice accentua le divisioni e marginalizza l’Europa

Il vertice Alaska ha messo in evidenza la fragilità dell’unità europea e il rischio di marginalizzazione. L’Ungheria ha rifiutato di firmare la dichiarazione di sostegno a Kiev.

07 - Il compromesso territoriale è uno strumento negoziale valido

Gli “scambi di territori” non sono per forza una resa, ma una potenziale mossa tattica. In un pacchetto negoziale più ampio, potrebbero offrire vantaggi strategici per Kiev.

08 - Scambi di territori potrebbero essere un precedente pericoloso e una concessione irreversibile

La premessa della cessione territoriale sposta l'asse del negoziato a favore di Mosca, che può presentare l’accordo come la legittimazione internazionale delle sue conquiste.

 
01

Un cessate il fuoco immediato, anche se imperfetto, è il primo passo verso la stabilità

FAVOREVOLE

Il conflitto in Ucraina è entrato in una fase di logoramento che, secondo i dati riportati da “Sky TG24”, ha visto “112 scontri sul fronte orientale ucraino nella sola giornata del 10 agosto, con 38 attacchi aerei russi, 66 bombe aeree guidate e 1.691 attacchi con droni kamikaze”. Ogni giorno di guerra significa vittime, distruzione di infrastrutture critiche e pressione insostenibile su civili e militari. In questo contesto, la possibilità di un cessate il fuoco immediato, anche se parziale, assume un valore concreto e urgente. Nei colloqui di Istanbul del 2 giugno 2025, Kiev aveva chiesto un “cessate il fuoco incondizionato” di almeno un mese, mentre Mosca proponeva una pausa di 2-3 giorni su settori limitati. Sebbene la distanza fosse enorme, l’apertura al dialogo esisteva già allora.
Secondo “Il Sole 24 Ore”, alcune fonti diplomatiche europee riferiscono che Kiev sarebbe disposta a “congelare la linea del fronte” accettando che la Russia mantenga temporaneamente i territori già occupati, purché ottenga in cambio garanzie di sicurezza, forniture militari costanti e un percorso verso la NATO. Questa posizione, pur controversa, nasce dalla consapevolezza che l’attuale intensità del conflitto non è sostenibile a lungo termine. Come dichiarato dal vicepresidente USA JD Vance, “l’accordo alla fine non farà felice né Mosca né Kiev”, ma il valore di una tregua sarebbe innanzitutto umanitario: un’immediata riduzione delle vittime e delle sofferenze.
Un cessate il fuoco preliminare, anche imperfetto, può creare spazi di manovra diplomatica. “NBC News” sottolinea che Trump punta a “sbandierare un cessate il fuoco” come successo politico, e questo obiettivo, se sfruttato bene, può essere trasformato in leva per ottenere risultati tangibili sul terreno: corridoi umanitari, scambi di prigionieri, stop ai bombardamenti sulle città. Come affermava Erdogan durante i colloqui di Istanbul, “solo una tregua incondizionata potrà essere la base per iniziare un negoziato vero e proprio” (“Sky TG24”). È una logica che si ritrova in altri conflitti: un cessate il fuoco non è la pace, ma può essere il primo passo concreto verso di essa.
Dal punto di vista politico, un congelamento della linea del fronte potrebbe anche rassicurare gli alleati europei, stremati dal peso economico e militare del sostegno a Kiev. “Internazionale” osserva che “sono loro a fornire la maggior parte degli aiuti economici e militari all’Ucraina”, e che la prospettiva di un rallentamento delle ostilità darebbe ossigeno alle opinioni pubbliche e ai bilanci nazionali.
C’è inoltre un elemento di realpolitik: “The Guardian” e “Il Fatto Quotidiano” riportano che Trump vede possibile un “scambio di territori” come parte del compromesso. Per quanto questa ipotesi sia divisiva, ammettere un negoziato su confini e status dei territori contesi potrebbe servire come moneta di scambio per garanzie di sicurezza più solide, inclusa la protezione internazionale di Kyiv e l’accesso a sistemi difensivi avanzati.
Un cessate il fuoco immediato, dunque, anche se non risolve il conflitto alla radice, può salvare vite, aprire canali diplomatici e ridurre i rischi di escalation incontrollata.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
02

C’è il rischio di legittimare la conquista e preparare la prossima guerra

CONTRARIO

La prospettiva di un cessate il fuoco immediato, se basata sulla linea attuale del fronte, presenta un grave rischio: trasformarsi in una legittimazione implicita delle conquiste russe. “Reuters” ricorda come già nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, la mancanza di una reazione risolutiva abbia incoraggiato Mosca a nuove azioni aggressive. Oggi, congelare la situazione significherebbe riconoscere il controllo russo su Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea, violando il principio dell’inviolabilità delle frontiere sancito dal Diritto internazionale. “Euronews” riporta che nella dichiarazione firmata da 26 Stati UE (con l’eccezione dell’Ungheria) si afferma: “I confini internazionali non devono essere modificati con la forza” e “il percorso di pace non può essere deciso senza l’Ucraina”. Qualsiasi intesa che lasci la Russia in possesso di territori occupati senza un chiaro percorso di restituzione metterebbe a rischio non solo la sovranità ucraina, ma la stabilità dell’intero ordine europeo.
“The Guardian” cita diplomatici europei allarmati dalla mancanza di chiarezza sulle condizioni richieste da Mosca, temendo che Trump possa accettare “scambi di territori” senza garanzie concrete per Kiev. Una tale mossa minerebbe la credibilità dell’Occidente e lancerebbe un messaggio inquietante ad altri attori internazionali: l’aggressione armata può pagare. Come avverte “NBC News”, Mosca chiede il riconoscimento formale della sua sovranità su quattro regioni ucraine, una condizione che “potrebbe permettere a Putin di riorganizzarsi per future aggressioni”.
C’è poi un problema di sicurezza a lungo termine. “Reuters” riporta le parole del ministro ucraino Andrii Sybiha: “Ogni concessione invita a ulteriore aggressione”. Una pausa temporanea delle ostilità senza un accordo di pace vincolante darebbe alla Russia il tempo di rafforzare le sue forze armate, riparare le perdite e prepararsi a colpire di nuovo, magari in condizioni più favorevoli. Il rischio, come osserva “Internazionale”, è che Putin usi il vertice come “occasione per raggiungere per via diplomatica ciò che non riesce ancora a ottenere militarmente”: consolidare il controllo sull’Ucraina orientale e isolare ulteriormente Kiev.
Esiste, poi, una dimensione simbolica: un cessate il fuoco che congela la situazione attuale potrebbe demoralizzare l’opinione pubblica ucraina e minare la fiducia nelle istituzioni. Zelensky ha dichiarato più volte che “gli ucraini non regaleranno la loro terra all’occupante” (“Il Fatto Quotidiano”). Accettare l’occupazione, anche temporanea, senza garanzie di restituzione, potrebbe essere percepito come un tradimento, alimentando tensioni interne e instabilità politica a Kiev.
Un cessate il fuoco basato sulla situazione attuale del fronte, dunque, rischia di essere una “pace armata” a vantaggio di Mosca: una pausa tattica che congela l’ingiustizia e prepara il terreno a un conflitto ancora più difficile da contenere in futuro.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
03

Un vertice ristretto per sbloccare lo stallo

FAVOREVOLE

La guerra in Ucraina è intrappolata in uno stallo militare e diplomatico. Da mesi, nessuno dei due schieramenti ottiene avanzamenti significativi, mentre le perdite aumentano. In questo contesto, c’è chi ritiene che un formato negoziale ridotto, limitato a Stati Uniti e Russia, possa offrire la flessibilità necessaria per superare il blocco. Secondo “NBC News”, la presenza diretta di Kiev a un tavolo preliminare potrebbe irrigidire le posizioni: Zelensky non ha margini politici per accettare concessioni territoriali in pubblico, ma un’intesa preliminare tra le due superpotenze potrebbe essere presentata a Kiev come proposta già strutturata, con margini di adattamento. Trump stesso ha confermato, in dichiarazioni riportate da “Il Fatto Quotidiano”, che “sentirà europei e ucraini subito dopo” l’incontro in Alaska. Il presidente USA ha aggiunto: “L’incontro successivo sarà tra Putin e Zelensky, o tra Zelensky, Putin e me”, suggerendo un processo a fasi in cui il bilaterale Alaska serve come apripista.
Dal punto di vista diplomatico, questo approccio non è nuovo: nella storia dei conflitti, incontri ristretti tra le parti con maggiore influenza spesso hanno permesso di fissare parametri generali senza l’ostacolo di negoziati allargati, più complessi da gestire. Come osserva “Internazionale”, Putin vede nel vertice “la sua richiesta di una gestione strettamente bipolare della crisi ucraina”, e se questa dinamica può apparire rischiosa, può anche rendere possibile un accordo di principio che, una volta definito, venga sottoposto all’Ucraina per l’accettazione.
C’è anche un vantaggio tattico: un formato ristretto riduce le fughe di notizie, abbassa la pressione mediatica e consente a entrambe le parti di esplorare ipotesi “politicamente tossiche” senza doverle subito difendere davanti alle opinioni pubbliche. Come spiega JD Vance a “Il Fatto Quotidiano”, uno dei principali ostacoli è che “Vladimir Putin ha dichiarato che non si sarebbe mai seduto al tavolo con Zelensky”. Creare un percorso che superi temporaneamente questa barriera potrebbe essere l’unico modo per avviare un vero negoziato.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
04

Un processo senza Kiev mina la legittimità dell’accordo e favorisce Mosca

CONTRARIO

Escludere l’Ucraina dal tavolo principale delle trattative significa negare alla parte direttamente aggredita il diritto di determinare il proprio futuro. È un principio che 26 Stati UE hanno ribadito con forza nella dichiarazione citata da “Euronews”: “Il percorso di pace non può essere deciso senza l’Ucraina” e “i confini internazionali non devono essere modificati con la forza”. L’assenza di Kiev non è una scelta tecnica, ma un atto politico che rischia di indebolire la legittimità dell’intero processo.
Come avverte “Internazionale”, Putin potrebbe sfruttare il vertice in Alaska come “occasione per raggiungere per via diplomatica ciò che non riesce ancora a ottenere militarmente”: consolidare il controllo sui territori occupati e imporre un’agenda di concessioni a Kiev. In un formato bilaterale, Mosca può negoziare direttamente con Washington su scambi di territori o congelamento del fronte, senza essere costretta a confrontarsi con il rifiuto netto di Zelensky. Il rischio è di presentare all’Ucraina un pacchetto “prendere o lasciare” con pressioni politiche ed economiche per accettarlo, trasformando il negoziato in un diktat.
C’è anche un elemento di percezione pubblica. Zelensky ha più volte dichiarato, come riportato da “Il Fatto Quotidiano”: “Gli ucraini non regaleranno la loro terra all’occupante”. Escluderlo dal primo round di colloqui lo indebolisce internamente, offrendo all’opposizione interna e alla propaganda russa un argomento potente: il presidente ucraino è stato messo da parte dalle grandi potenze. Per l’UE, questa scelta mina l’unità del fronte occidentale. “ISPI” segnala che l’esclusione di Kiev e Bruxelles alimenta la percezione di una gestione “bipolare” della crisi, lasciando l’Europa ai margini e creando terreno fertile per divisioni interne, come già dimostrato dal rifiuto dell’Ungheria di firmare la dichiarazione congiunta.
C’è poi un problema pratico: qualsiasi accordo firmato senza la parte direttamente coinvolta rischia di non essere implementato. Senza consenso e legittimazione interna, il governo ucraino potrebbe rifiutare di rispettare i termini, rendendo il cessate il fuoco instabile o inesistente. La storia recente mostra che la pace imposta dall’esterno, senza coinvolgimento diretto, difficilmente regge nel tempo. Come ha sintetizzato il ministro estone Kaja Kallas a “Euronews”, “la pace deve includere l’Ucraina, altrimenti non sarà pace”.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
05

Il vertice può aumentare la cooperazione interna dell’Unione europea

FAVOREVOLE

Il vertice bilaterale in Alaska, pur segnando un’esclusione formale dell’UE dal tavolo principale, ha prodotto un effetto imprevisto: un’accelerazione nella cooperazione interna europea. Nelle ore e nei giorni precedenti l’incontro, si è assistito a un’intensa attività diplomatica tra le capitali del continente, che ha coinvolto anche la NATO. “Il Fatto Quotidiano” riporta che leader di Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Polonia e Finlandia hanno organizzato, insieme ai vertici di UE e NATO, una serie di videoconferenze per fissare “linee rosse” comuni da comunicare agli Stati Uniti prima dell’incontro con Putin. Una di queste riunioni è stata seguita da un secondo appuntamento, alla presenza del presidente americano e del vicepresidente JD Vance, proprio per sottolineare che l’Europa intende restare parte attiva del processo.
Questa mobilitazione non è solo formale. “Euronews” evidenzia come 26 Stati membri (tutti tranne l’Ungheria) abbiano firmato una dichiarazione congiunta che riafferma l’integrità territoriale dell’Ucraina e ribadisce che “il percorso di pace non può essere deciso senza Kiev”. Questo documento, redatto dal presidente del Consiglio UE António Costa, non è soltanto un atto politico, ma un segnale di compattezza interna e di volontà di condizionare il quadro negoziale, anche dall’esterno.
Dal punto di vista strategico, il fatto che l’Europa si sia trovata esclusa dal tavolo può fungere da campanello d’allarme: se il rischio è di essere tagliati fuori dalle decisioni chiave, aumenta la motivazione a rafforzare il coordinamento e a presentarsi come blocco compatto nelle fasi successive. In altre parole, il vertice in Alaska può diventare un catalizzatore per un salto di qualità nella politica estera europea, con l’UE che punta a trasformarsi da osservatore a protagonista.
Come osserva l’“ISPI”, la marginalizzazione attuale potrebbe essere “un’occasione per ricalibrare la postura diplomatica europea” e per spingere a un maggiore investimento nella propria capacità di proiezione internazionale.
Da un punto di vista pratico, la pressione esercitata prima del vertice ha già ottenuto risultati tangibili, come la promessa di Trump di consultare Zelensky e i leader europei subito dopo l’incontro con Putin. Questo impegno, sebbene non sostituisca la presenza diretta, mantiene un canale formale di coinvolgimento e offre all’UE l’opportunità di influenzare la fase di follow-up.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
06

L’esclusione dell’Ucraina dal vertice accentua le divisioni e marginalizza l’Europa

CONTRARIO

Se da un lato il vertice Alaska ha stimolato un’intensa attività diplomatica interna, dall’altro ha messo in evidenza la persistente fragilità dell’unità europea e il rischio di marginalizzazione. L’elemento più evidente è stato il rifiuto dell’Ungheria di firmare la dichiarazione di sostegno a Kiev, riportato da “Euronews”, con il governo di Viktor Orbán che ha definito l’adesione dell’Ucraina all’UE “un disastro economico e di sicurezza” e ha promosso un sondaggio nazionale contrario all’ingresso di Kiev. Questa frattura non è un caso isolato. Come sottolinea l’“SPI”, la gestione “bipolare” della crisi da parte di Stati Uniti e Russia sta relegando l’UE a un ruolo di spettatore. Il fatto che i leader europei non siano stati invitati al tavolo principale, insieme a Zelensky, indebolisce la loro capacità di influire direttamente sulle decisioni e rafforza la percezione che le grandi questioni di sicurezza continentale vengano ancora risolte sopra la testa dell’Europa.
Sul piano geopolitico, questa esclusione alimenta una dinamica di dipendenza dagli Stati Uniti: se Washington può negoziare direttamente con Mosca senza passare da Bruxelles, i margini di manovra europei si riducono drasticamente. È un segnale preoccupante per un’Unione che aspira a una “autonomia strategica”, ma che in questa vicenda si trova ancora nella posizione di dover reagire alle decisioni altrui.
L’unità stessa è in pericolo. La necessità di negoziare posizioni comuni prima di ogni dichiarazione rallenta il processo decisionale e lascia spazio a veti o dissensi che Mosca può sfruttare a proprio vantaggio. Il caso ungherese ne è un esempio: la scelta di Orbán di dissociarsi dalla linea europea fornisce a Putin una leva politica e un segnale di divisione nel fronte occidentale.
La marginalizzazione europea rischia di avere effetti a lungo termine. Se il vertice Alaska dovesse produrre un’intesa tra USA e Russia senza la piena partecipazione europea, l’UE si troverebbe nella difficile posizione di dover implementare o sostenere un accordo che non ha contribuito a definire. In questo scenario, come sottolinea “Internazionale”, “gli europei restano fornitori di aiuti ma non architetti della pace”, una condizione che riduce la loro influenza politica e strategica nella regione.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
07

Il compromesso territoriale è uno strumento negoziale valido

FAVOREVOLE

Nel linguaggio della diplomazia, i confini non sono solo linee sulla mappa, ma leve di potere e moneta di scambio. In questa prospettiva, l’ipotesi di “scambi di territori” ventilata da Donald Trump e riportata da fonti come “Il Sole 24 Ore” e “The Guardian” non deve essere necessariamente letta come una resa, ma come una potenziale mossa tattica. “Ci saranno scambi di territori, lo so dalla Russia”, ha dichiarato Trump, aggiungendo che alcune aree potrebbero essere restituite mentre altre scambiate, a seconda delle trattative. Se inserito in un pacchetto negoziale più ampio, questo approccio potrebbe offrire concessioni simboliche a Mosca in cambio di vantaggi strategici per Kiev. Per esempio, la Russia potrebbe rinunciare a rivendicazioni su aree ancora contese o ad alto valore simbolico, in cambio del riconoscimento temporaneo del controllo su zone già occupate. In cambio, l’Ucraina otterrebbe garanzie di sicurezza vincolanti, come la protezione NATO o l’installazione di sistemi difensivi avanzati.
“Sky TG24” ricorda che nei colloqui di Istanbul era stata discussa la possibilità di legare qualsiasi tregua a impegni verificabili: smobilitazione delle truppe, esclusione di forze straniere, fine degli aiuti militari russi alle forze separatiste, scambi di prigionieri e ritorno dei minori deportati. In questo contesto, la questione territoriale potrebbe diventare una leva per ottenere tali concessioni, piuttosto che un fine in sé.
Dal punto di vista politico, l’apertura a discutere di confini può anche abbassare la tensione retorica. Come nota “NBC News”, Trump è ansioso di “sbandierare un cessate il fuoco” come vittoria politica; se questo obiettivo può essere raggiunto offrendo a Putin un riconoscimento parziale sul piano territoriale, il resto del pacchetto potrebbe contenere elementi favorevoli a Kiev, come il congelamento delle ostilità e l’avvio di un percorso di ricostruzione finanziato anche da asset russi congelati.
La storia offre esempi in cui compromessi territoriali, pur dolorosi, hanno aperto la strada a accordi duraturi. In un contesto in cui la vittoria militare totale è improbabile per entrambe le parti, usare la questione territoriale come moneta di scambio può essere la chiave per sbloccare un negoziato altrimenti impossibile.

Nina Celli, 12 agosto 2025

 
08

Scambi di territori potrebbero essere un precedente pericoloso e una concessione irreversibile

CONTRARIO

Se vista dalla prospettiva di Kiev, la proposta di “scambi di territori” rappresenta non una leva diplomatica, ma un cedimento. “NBC News” e “Reuters” avvertono che partire dalla premessa della cessione territoriale sposta l’intero asse del negoziato a favore di Mosca, che può presentare l’accordo come una vittoria storica: la legittimazione internazionale delle sue conquiste. L’esperienza recente avverte: nel 2014, l’annessione della Crimea non ha portato alla stabilità, ma ha aperto la strada all’invasione del 2022. Come sottolinea “Reuters”, “ogni concessione invita a ulteriore aggressione”. Accettare oggi un compromesso territoriale significherebbe inviare a Mosca e ad altri attori internazionali il messaggio che l’uso della forza per cambiare i confini è un’opzione praticabile.
“The Guardian” riporta che i diplomatici europei sono allarmati dalla vaghezza di Washington sui dettagli territoriali richiesti da Mosca. L’assenza di Kiev dal tavolo principale accentua il pericolo: la parte direttamente interessata non ha modo di opporsi in diretta a un eventuale scambio che ritenga inaccettabile e si ritroverebbe a doverlo subire.
C’è poi un elemento di irreversibilità: mentre garanzie di sicurezza e impegni politici possono essere revocati o violati, la cessione di territorio ha un carattere permanente. Una volta riconosciuto il controllo russo su una regione, tornare indietro richiederebbe uno sforzo militare enorme o un mutamento radicale degli equilibri geopolitici. Zelensky lo ha detto con chiarezza: “La risposta alla questione territoriale ucraina è già contenuta nella Costituzione… Gli ucraini non regaleranno la loro terra all’occupante” (“Il Fatto Quotidiano”).
Accettare scambi di territori come condizione iniziale del negoziato rischia di spostare il baricentro da una discussione sui principi (integrità territoriale, sovranità) a una mera contrattazione di appezzamenti di terra. Questo cambierebbe la narrativa del conflitto: da resistenza a un’aggressione illegale, a disputa territoriale tra due parti equivalenti, minando il sostegno internazionale all’Ucraina. Come sintetizza “Internazionale”, il vertice in Alaska potrebbe diventare per Putin “l’occasione per ottenere per via diplomatica ciò che non riesce a ottenere militarmente”. In questo scenario, lo scambio di territori non sarebbe una leva, ma la chiave per consolidare un’espansione ottenuta con la forza, con conseguenze durature per la sicurezza europea.

Nina Celli, 12 agosto 2025

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