Papa Francesco ha avvicinato la Chiesa alle persone
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Nel marzo 2013 il conclave annunciò “Habemus Papam” e Jorge Mario Bergoglio si affacciò dalla loggia della Basilica di San Pietro come Papa Francesco. Il nome, scelto in onore di San Francesco d’Assisi, fu fin da subito una dichiarazione programmatica: umiltà, povertà, pace. Ma più di ogni altra cosa, Francesco portava con sé una visione: una Chiesa meno autoreferenziale, più vicina, più sinodale.
A differenza del suo predecessore, Benedetto XVI, intellettuale raffinato e teologo, Francesco si presentò fin dal principio come un “pastore tra la gente”, preferendo la Domus Santa Marta agli appartamenti pontifici, telefonando ai fedeli comuni, parlando un linguaggio semplice, spesso improvvisato e a volte spiazzante. Questo stile personale non era un dettaglio, ma parte essenziale di un progetto ecclesiale: rompere le distanze, rendere la Chiesa una “casa abitata” più che un’istituzione da osservare a distanza.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il processo sinodale ha generato nuove forme di governance, inclusione di donne nei ruoli decisionali e riconoscimento delle minoranze.
Papa Francesco ha cercato di rendere la Chiesa più vicina alle persone, ma per molti ciò è avvenuto a scapito della chiarezza, dell’identità e dell’autorità del magistero.
Francesco desiderava “una Chiesa povera per i poveri”. Il suo magistero e la sua prassi hanno sistematicamente incluso gli emarginati.
Papa Bergoglio, da un lato ha reso la Chiesa più inclusiva e dialogante, dall’altro ha contribuito, in modo involontario ma tangibile, ad acuire divisioni interne.
La sinodalità promossa da papa Francesco è uno strumento di ascolto e inclusione
Nel corso del suo pontificato, Papa Francesco ha promosso un radicale cambiamento nella struttura decisionale della Chiesa cattolica, introducendo il concetto di “sinodalità” come principio guida. Per molti, si è trattato del gesto più incisivo, nel tentativo di avvicinare la Chiesa alle persone, ridefinendo la relazione tra gerarchia e popolo di Dio.
Il processo sinodale, iniziato ufficialmente nel 2021 e strutturato in fasi diocesane, nazionali, continentali e universali, ha permesso per la prima volta nella storia della Chiesa che milioni di fedeli – compresi laici, donne e membri di comunità periferiche – partecipassero attivamente alla definizione delle priorità ecclesiali. La sinodalità non è stata solo una consultazione, ma un’esercitazione di ascolto, discernimento e corresponsabilità. Come sottolineato da Papa Leone XIV nel 2025, “il futuro della Chiesa si costruisce ascoltando insieme lo Spirito e il popolo”.
Tra gli aspetti più innovativi, la possibilità per i non-vescovi di votare nelle assemblee sinodali, una rottura simbolica e pratica con una tradizione secolare. Il cardinale Mario Grech ha descritto il processo come “un laboratorio di ascolto”, mentre la teologa Estela Padilla, citata dal “The Manila Times”, ha evidenziato come l’intera struttura ecclesiale sia stata invitata a recepire le “voci non ascoltate”, inclusi i poveri, i giovani in fuga dalla fede e i cattolici feriti.
Il processo sinodale ha generato documenti e linee guida che saranno applicati localmente fino al 2028. Questi testi propongono nuove forme di governance, inclusione di donne nei ruoli decisionali e riconoscimento delle minoranze. La diocesi di Pembroke, ad esempio, ha già adottato strutture partecipative permanenti e osservatori ecclesiali sui disabili.
La sinodalità ha avuto anche una funzione ecumenica: il Vescovo luterano Timothy Smith ha affermato che Francesco è stato “il primo papa percepito come anche nostro”. Questo indica come l’ascolto e la corresponsabilità possano costituire non solo strumenti di riforma interna, ma anche ponti tra confessioni cristiane.
La sinodalità, quindi, non è stata solo una riforma di processo, ma un gesto teologico e pastorale che ha spostato il baricentro della Chiesa dalla verticalità alla circolarità. In questo modo, Papa Francesco ha reso la Chiesa più prossima, disponibile e fedele all’immagine evangelica della comunità come corpo interdipendente.
Nina Celli, 26 luglio 2025
Il pontificato di Francesco ha creato confusione dottrinale e ambiguità comunicativa
Se è vero che Papa Francesco ha cercato di rendere la Chiesa più vicina alle persone, non si può ignorare l'effetto collaterale più discusso del suo pontificato: un'accresciuta percezione di ambiguità dottrinale e confusione teologica. Per molti fedeli e membri del clero, l’avvicinamento perseguito da Francesco è avvenuto a scapito della chiarezza, dell’identità e dell’autorità del magistero. Numerose fonti testimoniano come alcune delle sue aperture abbiano generato divisioni piuttosto che unità. L’articolo pubblicato da “The Independent” riporta il caso emblematico delle restrizioni imposte da Francesco alla Messa in latino, il Vetus Ordo, giustificate con la necessità di evitare divisioni. Tuttavia, un documento trapelato dal Vaticano ha rivelato che la maggioranza dei vescovi consultati era in realtà favorevole al mantenimento del rito tradizionale. La discrepanza tra consultazione e decisione ha alimentato accuse di strumentalizzazione e ha causato tensioni con le frange più tradizionaliste della Chiesa.
Anche la pubblicazione di Fiducia Supplicans, che suggeriva forme di accoglienza pastorale per coppie omosessuali, è stata oggetto di tensione. Se da un lato è stata letta come segno di inclusione, dall’altro ha prodotto confusione sul piano dottrinale, come sottolineato da “The Catholic Thing”. Il nuovo pontefice Leone XIV ha finora adottato toni più prudenti, segno che alcune scelte del predecessore necessitavano riequilibrio.
La sinodalità stessa – cardine del pontificato – ha generato ambivalenze. Secondo quanto riportato da “America Magazine”, il cardinale Mario Grech ha riconosciuto “difficoltà e resistenze” anche tra i vescovi, tanto da proporre una “Tavola sinodale permanente” per interpretare e riformulare le proposte. L’istituzione stessa della sinodalità è stata percepita, da parte di alcuni, non come ascolto, ma come indebolimento della struttura apostolica tradizionale.
Alcuni commentatori, come nel caso di “Commonweal Magazine”, hanno parlato di “transizione non digerita”: il rischio che l’accelerazione riformatrice abbia disorientato tanto il clero quanto i fedeli. Le riforme liturgiche, le nomine episcopali, l’allargamento della consultazione sono stati visti da settori più tradizionali come un abbandono dell’identità cattolica a favore di una generica apertura culturale.
Anche il piano linguistico ha contribuito alla confusione. Francesco ha utilizzato uno stile comunicativo molto colloquiale, fatto di immagini potenti, a volte spiazzanti, come “la Chiesa ospedale da campo” o “pastori con l’odore delle pecore”. Queste espressioni, se da un lato hanno reso il messaggio più accessibile, dall’altro hanno indebolito la funzione normativa e autorevole del magistero, secondo alcuni teologi conservatori.
Pur avendo promosso un modello di Chiesa più dialogante, Papa Francesco ha anche generato un’epoca di tensioni interpretative e dottrinali. Il suo pontificato ha avvicinato alcune categorie al messaggio cristiano, ma ne ha allontanate altre, soprattutto tra chi cercava nella Chiesa un riferimento stabile e non ambiguo. Per alcuni, la vicinanza perseguita è stata raggiunta a costo dell’identità.
Nina Celli, 26 luglio 2025
La Chiesa di Francesco è stata vicina agli ultimi
Una delle firme più riconoscibili del pontificato di Papa Francesco è stata la sua grande vicinanza ai poveri, ai migranti, ai disabili e a tutte le categorie definite come “ultimi” nel linguaggio evangelico. Con parole, gesti e riforme, Francesco ha cercato di incarnare un modello di Chiesa che non solo parla ai margini, ma parte dai margini. Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha detto che desiderava “una Chiesa povera per i poveri”. Queste parole non sono rimaste dichiarazioni d’intenti. Il suo magistero e la sua prassi hanno sistematicamente incluso gli emarginati. Il “Salesian Bulletin” racconta come Papa Leone XIV abbia incontrato nel luglio 2025 bambini ucraini sfollati e accolti dalla Caritas, riprendendo il gesto profetico di Francesco che aveva lavato i piedi a migranti detenuti.
Sul piano dottrinale e sociale, Francesco ha legato i temi dell’ecologia e dell’economia all’inclusione degli esclusi. L’enciclica Laudato Si’ e la campagna per la cancellazione del debito dei paesi poveri, ripresa nel Giubileo 2025, mostrano una Chiesa coinvolta nelle strutture di peccato che opprimono i popoli. Il “World Mission Magazine” ha sottolineato come la continuità tra Francesco e Leone XIV si sia manifestata nella proposta concreta di “trasformare il debito in speranza”.
Nel 2025, la diocesi di Ragusa ha ospitato un dibattito sulla Dottrina sociale della Chiesa e le migrazioni. In quell’occasione, è stato ribadito che “toccare la carne del migrante è toccare Cristo”, citando Papa Francesco. Questo tipo di linguaggio ha avuto un impatto forte nel Sud del mondo, dove il messaggio di inclusione ha trovato eco concreta nella pastorale di frontiera.
Anche sul piano delle riforme ecclesiali, Francesco ha incluso sistematicamente chi era stato escluso: donne, disabili, laici, giovani non praticanti. La diocesi di Pembroke ha introdotto osservatori ecclesiali per la disabilità e nuovi ruoli di leadership aperti ai laici. Il Manila Synod Team ha elaborato un modello sinodale fondato su sei principi ispirati alla vita reale dei poveri e delle periferie.
Ma la vera rivoluzione di Francesco è stata spirituale. La sua figura è stata percepita, come ha detto Mark O’Connor, come quella di un papa “capace di soffrire con il popolo”. L’immagine di un pontefice che rifiuta i palazzi, abita a Santa Marta, telefona ai carcerati e ascolta le madri single ha inciso nell’immaginario collettivo come un ritorno all’essenza evangelica della Chiesa.
Papa Francesco, dunque, non ha solo aperto le porte della Chiesa agli ultimi: ha aperto le orecchie e il cuore della Chiesa per ascoltarli. E questo ascolto è stato codificato in atti, strutture, documenti e nello stile pastorale del suo successore. È così che la distanza tra la Chiesa e il popolo si è ridotta. E per molti, si è colmata.
Nina Celli, 26 luglio 2025
Papa Francesco ha creato polarizzazione interna e fratture nella comunità ecclesiale
Una delle critiche più ricorrenti al pontificato di Papa Francesco riguarda la crescente polarizzazione all’interno della Chiesa cattolica. Se da un lato egli ha cercato di rendere la Chiesa più inclusiva e dialogante, dall’altro questo ha contribuito, in modo involontario ma tangibile, ad acuire divisioni interne, alimentando una narrativa di “noi contro loro” tra conservatori e progressisti, centro e periferia, tradizione e riforma.
Il processo sinodale, presentato come grande strumento di comunione, ha trovato in realtà una ricezione disomogenea. Come riportato da “America Magazine”, il cardinale Mario Grech ha individuato “resistenze significative” anche tra episcopati interi. Alcune diocesi, infatti, hanno accolto con entusiasmo le linee guida del Sinodo, altre con timore o sospetto. Questa disomogeneità ha creato un effetto domino di incertezza e diffidenza. L’effetto è visibile anche nella scelta dei nuovi vescovi. Secondo “America Magazine”, Francesco ha introdotto criteri più sinodali nella selezione, coinvolgendo laici e religiosi e valorizzando il profilo del pastore “con l’odore delle pecore”. Tuttavia, questo ha anche prodotto malumori tra i membri del clero formati secondo criteri tradizionali, che si sono sentiti marginalizzati o superati. In alcuni casi, si è parlato di “epurazione simbolica” della sensibilità conservatrice.
La polarizzazione è esplosa apertamente con le tensioni legate alla liturgia tradizionale. La restrizione del Vetus Ordo ha spaccato comunità e diocesi, generando una reazione a catena sui social media cattolici e nei circoli teologici, con accuse reciproche tra fedeli “bergogliani” e “ratzingheriani”. Il nuovo pontefice, Leone XIV, si è trovato costretto a gestire una situazione ereditata, con pressioni opposte che testimoniano la frattura interna.
Anche la ricezione delle aperture verso le coppie omosessuali ha creato un doppio fronte: da un lato, le associazioni cattoliche LGBTQ+ che hanno trovato ascolto; dall’altro, vescovi e conferenze episcopali che hanno espresso riserve o silenzio, temendo reazioni da parte dei fedeli più legati alla dottrina tradizionale. La mancanza di un linguaggio condiviso ha generato cortocircuiti comunicativi.
Il “Commonweal Magazine” ha raccolto opinioni contrastanti nel post-Francesco, con alcuni osservatori che parlano di “Chiesa smarrita nella transizione” e altri che invocano un ritorno a un’unità più visibile. Anche la Newsletter salesiana, pur celebrando i gesti pastorali di Francesco, ha mostrato una Chiesa segmentata, dove il carisma salesiano si è integrato solo parzialmente nelle direttrici riformatrici vaticane.
Dunque, se l’intenzione di Francesco era quella di avvicinare la Chiesa al popolo, il risultato è stato ambivalente. Ha certamente dato voce a categorie prima escluse, ma ha anche generato un senso di estraneità in chi si riconosceva nei modelli ecclesiali precedenti. L’unità, pilastro della comunione ecclesiale, è risultata più fragile alla fine del suo pontificato che al suo inizio. Mentre alcuni si sono sentiti più vicini alla Chiesa, altri si sono sentiti più lontani.
Nina Celli, 26 luglio 2025