Nr. 372
Pubblicato il 22/07/2025

La rottura tra Trump e Musk può alterare gli equilibri globali

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Diversi nei toni, opposti nei percorsi, Donald Trump ed Elon Musk sono sembrati per molto tempo convergenti su una visione del mondo fatta di rottura degli schemi, delegittimazione delle élite tradizionali e accentramento del potere in strutture non convenzionali. Nel 2024, quella simbiosi ha trovato una forma istituzionale. Donald Trump, rieletto presidente, ha affidato a Elon Musk la guida del DOGE – il Department of Government Efficiency – un organismo parallelo, non codificato dalla Costituzione, ma estremamente potente, incaricato di “snellire” la macchina federale. Musk ha iniziato a tagliare la burocrazia, a digitalizzare interi comparti, a proporre algoritmi per l’allocazione dei fondi pubblici. È stato acclamato dalla base conservatrice, considerato il volto moderno del “trumpismo 2.0” – più tecnico, più globalizzato, ma ugualmente anti-establishment.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Rottura Trump-Musk: il crollo del soft power tecnologico USA

Elon Musk incarna un nuovo tipo di potere globale. Un individuo capace di influire dove i governi falliscono. La rottura con Trump rischia di compromettere questa funzione.

02 - Il sistema USA è resiliente: la frattura Musk-Trump non altera gli equilibri globali

Per quanto rumorosa, la divisione tra Trump e Musk non altera davvero la struttura globale del potere.

03 - Una frattura nel blocco conservatore con il rischio di una nuova frammentazione politica globale

La frattura apre uno spazio grigio in cui potrebbero emergere tecnocrati populisti, partiti imprenditoriali, movimenti post-ideologici. Un processo che alimenta l’incertezza.

04 - Un divorzio solo apparente: Musk e Trump restano interdipendenti

Nonostante le minacce pubbliche, accuse personali, rottura di contatti diretti, non è una rottura definitiva. Sono legati da un vincolo strutturale: l’interdipendenza strategica.

05 - La rottura Trump-Musk può essere un terremoto per la tecnologia e l’industria dell’Occidente

Lo scontro tra Trump e Musk ha effetti che si propagano nei centri decisionali delle aziende, nei tavoli geopolitici internazionali e negli assi di cooperazione tra Stati e imprese.

06 - Una crisi domestica, non globale: l’impatto reale resta interno agli USA

La frattura tra Trump e Musk è una crisi amplificata dalle piattaforme social, i cui effetti restano confinati negli spazi della politica interna statunitense.

 
01

Rottura Trump-Musk: il crollo del soft power tecnologico USA

FAVOREVOLE

Elon Musk incarna un nuovo tipo di potere globale. Non un Capo di Stato, ma un individuo capace di influire dove i governi spesso falliscono: orbite satellitari, reti di comunicazione, intelligenza artificiale. La sua creatura più strategica, Starlink – la costellazione di satelliti a banda larga gestita da SpaceX – è stata per anni una risorsa silenziosa ma cruciale per gli Stati Uniti. Lo è stata in Ucraina, dove ha garantito connessioni resistenti ai sabotaggi; in Africa, dove l’accesso alle infrastrutture era inesistente; in scenari diplomatici critici come l’Iran, dove Musk ha incontrato l’ambasciatore ONU nel 2024 per discutere l’uso umanitario delle reti satellitari.
La rottura con Trump, però, rischia di compromettere profondamente questa funzione. Come si legge su “Politico”, diversi Paesi stanno già riconsiderando le loro licenze a Starlink a seguito della spaccatura tra i due leader: “Il Dipartimento di Stato aveva promosso l’ingresso di Starlink in Lesotho come leva per ottenere esenzioni tariffarie da Trump. Ora la Casa Bianca potrebbe rallentare o ritirare i permessi, colpendo Musk per via burocratica”.
Il segnale che passa al mondo è che il soft power tecnologico degli USA è fragile, condizionato da conflitti interni. La tecnologia, anziché essere vettore neutro di sviluppo, viene politicizzata. “Starlink non è una compagnia, è un’estensione della sovranità digitale USA”, avrebbe dichiarato Musk in una riunione con la Commissione difesa europea. Ma cosa accade se quel vettore si rompe? Secondo l’esperto di diplomazia tecnologica Robert Muggah, la frattura tra Trump e Musk mette a rischio l’intero equilibrio globale della sovranità digitale: “Trump ha trasformato Silicon Valley in un’estensione coercitiva del potere statale. La rottura con Musk apre scenari nuovi, in cui Stati rivali – come Cina o Russia – potrebbero rafforzare le proprie costellazioni satellitari per sostituire Starlink”. Questa minaccia è concreta. La Cina ha accelerato il lancio del proprio sistema rivale, Guowang, con 13.000 satelliti pianificati entro il 2030. Nel frattempo, l’Unione Europea ha attivato IRIS², il progetto per l’indipendenza digitale continentale, dichiarando che “non possiamo dipendere da un imprenditore in lite con il suo governo”. C’è inoltre il fattore umano: Musk ha minacciato la sospensione del programma Dragon di SpaceX, con cui la NASA trasporta astronauti all’ISS. Anche se poi ha ritrattato, la minaccia ha avuto un impatto immediato: “SpaceX è l’unico vettore umano attivo USA fino al 2030. Se cade, cade la nostra leadership nello spazio” ha affermato Uwe Hessler di “DW”. La divisione Trump-Musk non è solo un incidente politico. È un cortocircuito tra governo e tecnologia, che mina una delle poche leve di influenza globale statunitense realmente efficaci nel XXI secolo: il controllo delle reti digitali. E quando quelle reti si spezzano, si indebolisce l’intera architettura di potere che le sosteneva.

Nina Celli, 22 luglio 2025

 
02

Il sistema USA è resiliente: la frattura Musk-Trump non altera gli equilibri globali

CONTRARIO

La politica americana è abituata agli scismi, ai personalismi, ai drammi in diretta. Ma è costruita su una resilienza istituzionale che, da più di due secoli, le consente di assorbire e neutralizzare anche le fratture più appariscenti. E per quanto mediatica, simbolica e rumorosa sia stata, la divisione tra Donald Trump ed Elon Musk rientra perfettamente in questa dinamica. È una rottura che infiamma i titoli, ma non altera davvero la struttura globale del potere. Un primo elemento da considerare è la natura ipermediatica della frattura. I principali momenti di escalation – le accuse di Musk su Epstein, la risposta di Trump su Truth Social, il cambio di numero di telefono – sono più adatti a un reality show che a un dossier geopolitico. Come ha dichiarato il giornalista Adrienne Vogt della “CNN”, “Trump ha sdrammatizzato l’intera vicenda in volo sull’Air Force One, dicendo che Musk resta una persona brillante, ma che le loro strade si sono separate. Come accade a molti amici nella vita”. Dal punto di vista delle istituzioni federali, il cambiamento è stato minimo. Le missioni NASA sono proseguite regolarmente con SpaceX e il portavoce della Difesa ha confermato che “nessun contratto con l’azienda di Musk è stato sospeso né lo sarà a causa di conflitti personali”. Anche il Congresso non ha adottato misure contro Musk: sebbene alcuni membri del GOP abbiano chiesto indagini, la leadership repubblicana ha preferito tenere un profilo basso. Ciò è dovuto al fatto che le aziende strategiche USA non sono proprietà monolitiche. Anche SpaceX, formalmente privata, lavora su specifiche federali, protocolli di sicurezza e catene di comando che rispondono al DoD. Il sistema è progettato proprio per evitare che una singola persona – anche se visionaria – possa determinare da sola il destino di settori come la difesa spaziale o le telecomunicazioni militari. Un altro elemento fondamentale è la sostituibilità. Mentre Musk minacciava il ritiro della navetta Dragon, NASA e Boeing stavano già finalizzando test con la capsula Starliner, prevista per il 2026. Inoltre, l’Europa con IRIS² e la Cina con Guowang stanno consolidando reti satellitari proprie. Il mondo è già multipolare sul piano tecnologico: Starlink è importante, ma non insostituibile. E questo limita l’effetto geopolitico della frattura. Anche sul fronte politico, l’eventuale creazione di un partito “centrato su Musk” ha più risonanza social che impatto elettorale reale. Secondo i dati del Pew Research Center, solo il 9% degli elettori americani si dice “molto favorevole” a una figura come Musk in politica. E tra i repubblicani, il suo gradimento è sceso dal 72% al 54% nel trimestre successivo alla rottura. Dal punto di vista internazionale, i governi si sono mossi con cautela. L’Arabia Saudita, nonostante la collaborazione con Musk per il progetto Humain, ha firmato accordi paralleli con Microsoft e Amazon Web Services, proprio per tutelarsi da oscillazioni personali. Come ha dichiarato Andrew Leber (Tulane University) a “Fortune”: “Per Riyadh, Musk è un partner, non un garante. E ogni partner può essere sostituito se diventa instabile”. C’è inoltre un principio che la geopolitica conosce bene: i personalismi passano, le strutture restano. Trump e Musk non sono strutturali. Gli equilibri globali si definiscono sulle rotte commerciali, nei trattati internazionali, nelle conferenze sul clima, nei piani di difesa integrata. E su quei fronti, nessun trattato è stato riscritto, nessuna alleanza è saltata, nessuna guerra è stata innescata da questa faida. Quindi, sì, la frattura Trump-Musk ha avuto eco e ha causato turbolenze. Ma la macchina statale USA, le sue agenzie, i suoi apparati e le sue filiere internazionali hanno continuato a operare con continuità. Questo dimostra che, per quanto potenti siano i singoli, gli equilibri globali non cambiano per un litigio tra due titani dell’era digitale.

Nina Celli, 22 luglio 2025

 
03

Una frattura nel blocco conservatore con il rischio di una nuova frammentazione politica globale

FAVOREVOLE

C’è stato un momento, tra il 2023 e il 2024, in cui Donald Trump ed Elon Musk sembravano incarnare un unico asse di potere. Un sodalizio tra Stato e capitale tecnologico che, pur non istituzionalizzato, aveva tracciato una rotta verso la privatizzazione della burocrazia, vantando una retorica antiglobalista e l’indipendenza dalle mediazioni istituzionali. Musk aveva ricevuto in mano il DOGE – Department of Government Efficiency – e, come ricorda la “CBS”, si era guadagnato la fiducia della base repubblicana come “il manager supremo del nuovo Stato snello e sovranista”. Questa alleanza non era solo americana. Si rifletteva in Europa, dove Musk è stato ricevuto dai leader di partiti populisti; in Medio Oriente, dove gli investimenti congiunti in AI e infrastrutture avevano rafforzato i legami tra Washington e Riyadh; in India, dove la penetrazione di Starlink si accompagnava a narrative di “tecnonazionalismo”. Ma il 6 giugno 2025, in un’intervista alla “BBC”, Trump ha dichiarato che Musk “ha perso la testa” e che il loro rapporto è definitivamente chiuso. La risposta di Musk è stata altrettanto clamorosa: sondaggi su X per la creazione di un nuovo partito centrista (“The Middle”), endorsement da parte di Mark Cuban, e persino un like a un post che auspicava l’impeachment del presidente. Il punto non è se Musk creerà davvero un partito. È cosa rappresenta il solo fatto che possa farlo. In 24 ore, il sondaggio ha ricevuto 5,6 milioni di voti, con l’80% a favore di una nuova formazione politica. Secondo “Politico”, “la sola minaccia di una forza politica indipendente da Musk crea panico nei comitati repubblicani: perdere anche solo il 5% della base MAGA potrebbe essere fatale in Stati chiave come Georgia e Arizona”. Le conseguenze non si limitano agli Stati Uniti. In Arabia Saudita, Musk è stato protagonista del progetto “Humain”, con cui Riyadh mira a diventare leader dell’AI nel Golfo. La sua partecipazione era percepita come garanzia di continuità filoccidentale. Ma la rottura con Trump – che ha accelerato l’apertura dei mercati USA alle aziende saudite – potrebbe spingere il regno verso la Cina, che ha già offerto chip AI alternativi. E poi, c’è la crisi interna al tech conservatore. Steve Bannon ha chiesto un’indagine sull’immigrazione di Musk. JD Vance, vice di Trump, lo ha definito “emotivo e dannoso per il movimento”. La testata “Newsweek” ha raccolto le reazioni di centinaia di elettori conservatori e molti si dicono “delusi”, “confusi” o addirittura “pronti a cambiare bandiera”. Questa diaspora politica non è solo americana. La narrazione dell’imprenditore globale e sovranista – incarnata da Musk – aveva fatto breccia anche nei partiti di destra tecnologica in Francia, Polonia, India. La sua scomparsa come alleato strategico crea un vuoto. Se Trump rappresenta l’ordine autoritario e Musk l’innovazione disintermediata, la loro frattura apre uno spazio grigio in cui potrebbero emergere nuovi attori: tecnocrati populisti, partiti imprenditoriali, movimenti post-ideologici. Tutti accomunati da un tratto: l’erosione dei vecchi blocchi. Un processo che, in un’epoca di instabilità globale, non fa che alimentare l’incertezza.

Nina Celli, 22 luglio 2025

 
04

Un divorzio solo apparente: Musk e Trump restano interdipendenti

CONTRARIO

La faida tra Donald Trump ed Elon Musk ha tutti gli elementi del crollo epico: minacce pubbliche, accuse personali, rottura di contatti diretti. Ma appare chiaro che quella tra i due non è una rottura definitiva. È più simile a una crisi coniugale tra alleati funzionali che, nonostante le tensioni, restano legati da un vincolo strutturale: l’interdipendenza strategica. Per capirlo, basta seguire il flusso del denaro e degli interessi. Come ha ricordato da “The Guardian” in un’analisi del 6 giugno 2025, Trump ha minacciato di tagliare tutti i fondi federali a SpaceX, salvo poi specificare che “non sarebbe saggio mettere a rischio la sicurezza spaziale americana”. Musk ha risposto minacciando la disattivazione del programma Dragon, ma ha ritrattato pochi giorni dopo. Nessun contratto è stato realmente annullato e le missioni congiunte NASA-SpaceX sono proseguite regolarmente. L’apparato statale USA sa che SpaceX è oggi il principale operatore per i lanci militari, con 6 miliardi di dollari in contratti DoD in corso. Lo stesso Musk sa che, senza i fondi federali, molti progetti (dal Falcon Heavy allo Starship) subirebbero tagli devastanti. Come ha scritto Su “Bloomberg”, “i due si minacciano a vicenda, ma sanno che un taglio totale danneggerebbe entrambi. È una danza strategica, non un divorzio”. Anche sul piano politico, la rottura è meno netta di quanto appaia. Il Vicepresidente JD Vance, pur criticando Musk per “emotività e instabilità”, ha chiarito in un’intervista alla “ABC News” che “le porte non sono chiuse, ci auguriamo ancora che possa tornare a bordo”. Allo stesso tempo, Musk ha ritwittato il post di Bill Ackman in cui si proponeva una riconciliazione “per il bene del Paese”, rispondendo: “Non hai torto”. Dal punto di vista dell’influenza pubblica, poi, Musk continua ad agire da mediatore non ufficiale del pensiero trumpiano. La piattaforma X (ex Twitter), che Musk possiede, resta il principale megafono della destra americana. Trump ha persino acquistato una Tesla in un evento alla Casa Bianca a marzo 2025. Dopo la lite, ha dichiarato di “pensare di venderla”, ma non l’ha mai fatto. Un segnale simbolico del fatto che le fratture, sebbene mediaticamente visibili, non sempre si traducono in azioni concrete. Anche l’ipotesi che Musk fondi un partito alternativo, sulla scia del sondaggio che ha raccolto milioni di consensi, sembra più una mossa tattica che reale. Nessun comitato è stato creato, nessun finanziamento attivato. La base repubblicana, come mostra un’inchiesta di “Newsweek”, “continua a sostenere Trump, ma guarda a Musk come potenziale vice o consulente in caso di riavvicinamento”. C’è poi il fattore internazionale. Mentre Trump corteggia l’Arabia Saudita per consolidare accordi sull’intelligenza artificiale, Musk è uno dei pochi imprenditori USA a godere di accesso diretto al Principe bin Salman. Entrambi hanno interessi convergenti sul progetto Humain, lanciato a Riyadh per creare un polo AI alternativo a quello cinese. In un contesto geopolitico così fluido, le alleanze non si misurano sulle parole, ma sui fatti, e questi mostrano cooperazione continua. La frattura tra Trump e Musk sarebbe dunque reale nei toni, ma superficiale nei contenuti. L’uno rappresenta il potere politico, l’altro quello tecnologico. Possono litigare, ma non possono davvero separarsi. Troppi sono gli interessi comuni, troppo alto il costo di una rottura totale. E questo dimostra che, al netto del clamore, gli equilibri globali restano saldamente ancorati a logiche strutturali di potere condiviso.

Nina Celli, 22 luglio 2025

 
05

La rottura Trump-Musk può essere un terremoto per la tecnologia e l’industria dell’Occidente

FAVOREVOLE

Quando due giganti come Donald Trump ed Elon Musk si scontrano, il primo impatto è visibile sui mercati. Ma le conseguenze si propagano nei centri decisionali delle aziende, nei tavoli geopolitici internazionali e negli assi di cooperazione tra Stati e imprese. Il conflitto apertosi nel 2025 tra il presidente degli Stati Uniti e l’imprenditore più influente del mondo ha generato uno scenario economico dai tratti inediti: un’erosione della leadership tecnologica americana come effetto collaterale di una lotta di potere. L’indice di Tesla ha perso, nel solo giorno del “fallout” pubblico tra i due, oltre 14%, pari a 150 miliardi di dollari di capitalizzazione. Elon Musk ha visto evaporare 34 miliardi del proprio patrimonio in 24 ore. Non si tratta di semplice volatilità. Come spiega Garrett Nelson, analista CFRA, “il valore di Tesla era gonfiato dalla percezione di protezione politica. Quando quella protezione è scomparsa, i numeri reali hanno preso il sopravvento”. Trump ha minacciato pubblicamente di revocare ogni contratto federale a SpaceX, l’azienda aerospaziale di Musk. Solo nel 2024, SpaceX ha firmato intese con NASA e Pentagono per oltre 22 miliardi di dollari, inclusi contratti per il deorbitaggio dell’ISS e lanci di satelliti militari. In risposta, Musk ha minacciato la dismissione della navetta Dragon, cruciale per i voli umani. Un braccio di ferro che ha gettato nel caos intere supply chain legate alla difesa e alla logistica orbitale. L’impatto, tuttavia, non si è limitato al settore spaziale. Il taglio dei crediti fiscali per i veicoli elettrici contenuto nella Big Beautiful Bill voluta da Trump ha colpito l’intero ecosistema industriale “green”, aprendo un varco competitivo a Cina e Corea. In un solo mese, secondo dati raccolti da “Politico”, il numero di preordini per veicoli BYD è aumentato del 12% nei mercati americani ed europei, mentre l’industria auto USA ha lanciato l’allarme: “se perdiamo l’efficienza dei sussidi, perderemo la corsa all’elettrico”. Ma è soprattutto nel settore dell’intelligenza artificiale che la frattura si è rivelata devastante. Musk, attraverso AI, stava negoziando accessi preferenziali alle infrastrutture USA per sviluppare LLM alternativi a quelli di OpenAI. Con la rottura, e il conseguente riavvicinamento di Trump a Sam Altman e Nvidia, il governo ha orientato i fondi pubblici verso altri attori, mentre Musk ha accelerato le sue trattative con potenze estere come Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il caso Humain è emblematico: una joint venture tra Musk, Nvidia e il fondo sovrano saudita per creare supercomputer AI da 500 MW nel deserto saudita, con chip di ultima generazione, accesso illimitato a energia e pochi vincoli normativi. In un solo colpo, gli USA hanno “esportato” uno dei loro asset strategici più delicati, pur di evitare che Musk destabilizzasse ulteriormente il mercato interno. L’equilibrio si è rotto anche nel rapporto tra potere statale e impresa privata. Come nota l’analista Vivek N.D, “il sistema americano ha sempre fatto leva sulla collaborazione tra innovatori e regolatori. Ma quando le due figure più influenti entrano in conflitto, la fiducia sistemica viene meno. E gli alleati, come l’UE, iniziano a chiedersi: è ancora affidabile investire nelle filiere USA?”. La frammentazione politica si è così tradotta in una frammentazione produttiva e logistica. Le aziende americane che dipendono da SpaceX per il lancio dei satelliti – comprese Google, Amazon, Apple – hanno dovuto rinegoziare i calendari e valutare alternative estere. La guerra personale tra due figure iper-potenti ha prodotto uno scenario economico paradossale: per salvare la stabilità, gli USA hanno accelerato la de-americanizzazione dei loro stessi asset strategici. Il costo finale è ancora difficile da quantificare, ma il messaggio che ne risulta è che l’ecosistema industriale e tecnologico degli Stati Uniti può essere destabilizzato non da una guerra, ma da un tweet.

Nina Celli, 22 luglio 2025

 
06

Una crisi domestica, non globale: l’impatto reale resta interno agli USA

CONTRARIO

Molti eventi possono avere un impatto mediatico globale, ma conseguenze reali limitate. È questo il caso della frattura tra Donald Trump ed Elon Musk: una crisi spettacolare, amplificata dalle piattaforme social, ma i cui effetti sostanziali restano confinati negli spazi della politica interna statunitense. Gli equilibri globali, quelli veri – commerciali, diplomatici, militari – sono rimasti inalterati. Il primo indizio di questa rilevanza ristretta lo si coglie osservando la reazione dei mercati internazionali. La perdita di capitalizzazione di Tesla – 150 miliardi in 24 ore – è stata certamente impressionante, ma si è trattato di un assestamento momentaneo. Dopo due settimane, le azioni sono risalite del 7%, recuperando parte della flessione. I principali fondi globali, come BlackRock e Vanguard, non hanno venduto partecipazioni, perché il valore delle aziende non è determinato da polemiche presidenziali, ma da bilanci e margini industriali. E su quelli, la frattura non ha inciso. Più in generale, come ha osservato il “New York Times”, “nonostante le tensioni personali, i contratti tra il governo federale e SpaceX sono rimasti invariati e il flusso di forniture legato al settore difesa non ha subito alterazioni rilevanti”. Anche la minaccia di Musk di sospendere il programma Dragon non si è mai concretizzata: la capsula è rimasta attiva, le missioni sono proseguite. Il rischio sistemico non si è mai materializzato. Il secondo segnale della portata circoscritta della frattura è il comportamento degli attori internazionali. Nessun paese ha formalmente modificato accordi strategici con gli Stati Uniti a causa del conflitto. L’Arabia Saudita ha continuato a collaborare sia con Musk (tramite il progetto Humain), sia con l’amministrazione Trump, in un equilibrio pragmatico. L’Europa ha rilanciato IRIS² non per colpa della frattura, ma perché il progetto era in corso da anni, in risposta alla vulnerabilità strutturale emersa con la guerra in Ucraina. Inoltre, i soggetti istituzionali hanno agito per ridimensionare i danni. Il portavoce della NASA ha rassicurato il pubblico: “Indipendentemente dalle dichiarazioni pubbliche, le collaborazioni con SpaceX proseguono sulla base di contratti a lungo termine”. Il Dipartimento della Difesa ha sottolineato che “gli apparati strategici degli Stati Uniti non dipendono da singole figure, ma da sistemi multilivello di controllo”. Ma forse l’argomento più solido per sostenere la marginalità globale della frattura è l’assenza di un effetto domino. Quando si verifica un evento capace di alterare gli equilibri mondiali, si vedono delle reazioni a catena: rivalutazioni monetarie, riposizionamenti geopolitici, spostamenti nei flussi commerciali. Nulla di tutto ciò è accaduto dopo il “divorzio” tra Musk e Trump. La Cina non ha modificato le sue alleanze. La Russia non ha approfittato della crisi per guadagnare terreno nello spazio digitale. L’India ha proseguito i suoi accordi con Starlink senza esitazioni, come documentato dall’“Atlantic Council”. Persino le istituzioni europee, sempre attente agli scossoni d’oltreoceano, hanno evitato commenti ufficiali. Il Parlamento UE ha votato una risoluzione di supporto a Starlink per l’Ucraina, ignorando del tutto il contesto polemico interno statunitense. Come ha dichiarato l’eurodeputato tedesco Michael Gahler, “noi valutiamo le aziende per quello che fanno, non per le guerre di ego dei loro proprietari”. Insomma, la crisi tra Musk e Trump ha sicuramente rivelato fragilità, ma non ha prodotto fratture sistemiche. I governi, le istituzioni multilaterali, le imprese globali hanno risposto con freddezza. Hanno dimostrato che il sistema globale ha anticorpi ben più forti delle personalità che lo attraversano.

Nina Celli, 22 luglio 2025

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