Nr. 366
Pubblicato il 08/07/2025

Abbandono delle aree interne da parte del governo Meloni (PSNAI)

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

L’Italia delle aree interne copre il 60% del territorio nazionale e accoglie, ancora oggi, circa 13 milioni di abitanti. È un’Italia che da decenni si interroga su come sopravvivere.
Il tema dell’abbandono o del rilancio delle aree interne non è nuovo, ma negli ultimi mesi ha assunto nuova forza con la pubblicazione del nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (PSNAI) 2021–2027, documento ufficiale approvato dal governo Meloni. A pagina 45 del testo si legge che “alcune aree non possono porsi obiettivi di inversione di tendenza, ma devono essere accompagnate in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. Per alcuni, un atto di realismo istituzionale. Per altri, una resa morale e politica.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il PSNAI non è una resa, ma una strategia di gestione realistica del territorio

Secondo alcuni amministratori, con il PSNAI non si tratta di abbandonare i territori fragili del Paese, ma di riconoscere la realtà, con onestà e responsabilità.

02 - Il PSNAI normalizza il declino e legittima l'abbandono delle comunità rurali

Rocco Ciarmoli parla di “eutanasia culturale”, di uno Stato che rinuncia alla sua funzione di garante della coesione nazionale e lascia che intere comunità si spengano in silenzio.

03 - Rilancio e governance regionale autonoma: la Sardegna esempio virtuoso

Investimenti mirati, strategie partecipative e progetti in Sardegna dimostrano come il PSNAI possa essere interpretato non come una sentenza, ma come una leva per il rilancio.

04 - Violazione del principio costituzionale di uguaglianza e coesione territoriale

Il PSNAI classifica le aree interne in base alla “recuperabilità” demografica. Ciò segna un cambio di paradigma che suona come una violazione della Costituzione.

05 - Il PSNAI ha avuto un’approvazione condivisa

Il PSNAI 2021–2027 è il frutto di una concertazione estesa che ha coinvolto una pluralità di attori istituzionali: Regioni, Province, Comuni, ANCI, UNCEM.

06 - Sviluppo diseguale: investimenti e fondi poco accessibili ai territori fragili

Il piano afferma di voler rafforzare la coesione territoriale, ma nei fatti i territori più deboli sono spesso i meno attrezzati per intercettare i fondi messi a disposizione.

07 - Il PSNAI ha un approccio coerente con le dinamiche demografiche europee

Vedere le aree interne italiane come un’anomalia nazionale è un errore che oscura la realtà più ampia. L’Europa da anni affronta dinamiche demografiche simili in ampie porzioni di territorio.

08 - Modelli virtuosi dimostrano che il rilancio è possibile

Il PSNAI 2021–2027 sembra ignorare i numerosi esempi di territori che, pur partendo da condizioni difficili, sono riusciti a reinventarsi.

09 - Le comunità non vogliono assistenzialismo ma strumenti per restare e innovare

Amministratori e cittadini non chiedono un welfare compassionevole, né assistenzialismo. Chiedono strumenti per restare, innovare, rilanciare.

 
01

Il PSNAI non è una resa, ma una strategia di gestione realistica del territorio

FAVOREVOLE

Il Piano Strategico Nazionale PSNAI 2021–2027 è stato spesso etichettato come una resa istituzionale. Ma c’è un’altra lettura, meno emotiva e più pragmatica, che trova voce nelle dichiarazioni di rappresentanti istituzionali come Fabrizio Rossi di Fratelli d’Italia, o del presidente della Regione Siciliana Renato Schifani. Non si tratta, secondo loro, di abbandonare i territori fragili del Paese, ma di riconoscere la realtà, con onestà e responsabilità, e costruire risposte commisurate alle specificità di ciascun contesto. La frase più contestata, quell’“accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”, è stata inquadrata da Rossi come un passaggio descrittivo, tecnico, non politico, parte di un documento approvato all’unanimità da Regioni, Province, ANCI e UNCEM. In altre parole, non un atto di disimpegno, ma una fotografia realistica di fenomeni che nessuna politica, finora, è riuscita a invertire. È in questo quadro che si inserisce la posizione del presidente Schifani, che nel recente Documento di economia e finanza regionale ha rivendicato i progressi della Sicilia – con una crescita del PIL regionale del +3,5% negli ultimi tre anni – e ha tracciato una rotta chiara: usare il dividendo fiscale per incrementare la spesa produttiva. Non è solo una questione di cifre: è una visione politica che interpreta il PSNAI non come uno strumento per “lasciar morire” i territori, ma come un’occasione per governarne le criticità con responsabilità.
Anche “CityNotizie”, nell’articolo Rinnovare le Radici: Un Nuovo Patto per le Aree Interne, evidenzia come l’obiettivo del piano sia quello di dare continuità e prevedibilità alle politiche pubbliche nei confronti delle aree interne, rompendo la frammentarietà degli interventi e rafforzando la capacità di adattamento dei territori. Il vero fallimento, allora, non sta nell’usare parole forti per descrivere il declino, ma nell’illudere le comunità con progetti irrealizzabili o con retoriche resistenziali.
Il PSNAI, letto così, non è una resa, ma una forma nuova di presenza istituzionale, una coabitazione con l’idea che non tutto può essere recuperato, ma tutto può – e deve – essere accompagnato con dignità. Schifani, Rossi, e altri amministratori sostengono che il futuro delle aree interne non si costruisce con nostalgie o slogan, ma con misure concrete, calibrate e fondate sulla capacità di distinguere tra ciò che può essere rilanciato e ciò che, purtroppo, deve essere sostenuto nel suo tramonto. In questo senso, il PSNAI non è un funerale istituzionale, ma un atto di presa in carico serio e, proprio per questo, profondamente politico.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
02

Il PSNAI normalizza il declino e legittima l'abbandono delle comunità rurali

CONTRARIO

La frase che ha aperto la frattura nel dibattito nazionale è contenuta a pagina 45 del PSNAI 2021–2027: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. A detta di molti amministratori locali, opinionisti e studiosi, questa non è una mera constatazione tecnica, ma un atto politico che certifica l’abbandono programmato di milioni di cittadini italiani. “Il Fatto Quotidiano”, in un approfondito editoriale di Rocco Ciarmoli, parla esplicitamente di “eutanasia culturale”, di uno Stato che rinuncia alla sua funzione di garante della coesione nazionale e lascia che intere comunità si spengano in silenzio. Non si tratta solo di parole: dietro quella formula si intravede una logica contabile, quella che preferisce il taglio ai servizi essenziali piuttosto che il rilancio, che privilegia le aree urbane in crescita rispetto ai territori marginali e fragili. “Cuneodice.it” documenta la dura presa di posizione del gruppo consiliare “La Nostra Provincia”, che denuncia un messaggio devastante rivolto a oltre 13 milioni di italiani: “non sarete più destinatari di investimenti strategici”. La strategia che emerge non è di contenimento, ma di rassegnazione: si accetta che alcune porzioni del Paese debbano svuotarsi, invecchiare e morire. Si offre loro in cambio un welfare minimo, una “gestione del tramonto”. Il messaggio, secondo “Basilicata24”, è pericoloso: l’abbandono non viene più tollerato per incuria, ma addirittura programmato. Non è una questione semantica, è il segnale che lo Stato sta cambiando orizzonte, smettendo di vedere nei borghi e nei paesi una risorsa, per considerarli invece un fardello da accompagnare dolcemente all’estinzione. Questo approccio ha un effetto corrosivo: non solo disincentiva ogni tentativo di reazione dal basso, ma delegittima la presenza stessa di quelle comunità, relegandole a una dimensione marginale. Invece di interrogarsi su cosa serva per rilanciare le aree interne, lo Stato le osserva da lontano, come se la loro fine fosse una certezza già scritta. Ma la rassegnazione istituzionale ha un prezzo altissimo: genera disillusione, disgregazione e alimenta il sentimento di tradimento verso la Repubblica. È questo che denunciano le voci più critiche: non un errore tecnico, ma una scelta politica di rinuncia.

Nina Celli, 8 luglio 2025 

 
03

Rilancio e governance regionale autonoma: la Sardegna esempio virtuoso

FAVOREVOLE

In un Paese dove parlare di aree interne significa spesso evocare declino, spopolamento e silenzi istituzionali, la Sardegna ha scelto una strada diversa. La presidente della Regione, Alessandra Todde, ha tracciato una linea netta tra l’approccio del governo centrale e quello dell’amministrazione regionale, dichiarando apertamente: “Mentre il governo fa l’accabadora delle aree interne, noi le rianimiamo”. Le sue parole non sono soltanto una metafora politica, ma una dichiarazione programmatica sorretta da scelte concrete: investimenti mirati, strategie partecipative e progetti integrati che dimostrano come il PSNAI possa essere interpretato non come una sentenza, ma come una leva per il rilancio. Il Fondo Unico per i Comuni, i 40 milioni destinati alle imprese nei centri sotto i 3.000 abitanti, gli incentivi per la natalità nei comuni marginali e il sostegno all’internazionalizzazione delle PMI rappresentano un ventaglio di misure che, al di là della retorica, mettono al centro le persone.
Todde ha voluto trasformare l’obiettivo 4 del PSNAI – quello dell’accompagnamento al declino – in un’occasione per rivendicare una regia regionale più autonoma, più radicata, più visionaria. È così che la Sardegna ha designato il Centro Regionale di Programmazione come autorità responsabile per le aree interne, assumendosi il compito di guidare l’intero ciclo delle strategie. Questo non è un dettaglio amministrativo, ma un passaggio culturale: riportare la governance vicino ai territori, rompere il centralismo tecnico e burocratico e restituire potere di scelta alle comunità locali. Progetti come l’Einstein Telescope, il collegamento ferroviario Abbasanta-Nuoro e il rafforzamento dei centri per l’impiego dimostrano che si può parlare di scienza, mobilità e lavoro anche fuori dalle metropoli.
Il principio del modello sardo non è solo quello di “restare”, ma di trasformare l’atto di restare in una scelta politica consapevole, desiderabile, sostenibile. Non si tratta di smentire i dati o le previsioni contenute nel PSNAI, ma di decidere di non farsene dominare. Todde ha scelto di usare il piano come base tecnica per costruire una contro-narrazione: quella di una Sardegna che non si rassegna all’idea di essere un pezzo da archiviare. In questo modo, l’esperienza sarda si impone come paradigma alternativo: mostra che, dentro un quadro generale anche criticabile, è possibile riscrivere le priorità, orientare le risorse e fare delle aree interne un centro politico, culturale ed economico. È una lezione che arriva da una regione spesso marginalizzata, ma che oggi rivendica di essere laboratorio di innovazione istituzionale e coraggio amministrativo.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
04

Violazione del principio costituzionale di uguaglianza e coesione territoriale

CONTRARIO

L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. È proprio questo principio, secondo molti amministratori locali e studiosi, a essere infranto dal PSNAI 2021–2027. Il documento, con la sua classificazione delle aree interne in base alla “recuperabilità” demografica e la previsione di un “accompagnamento al declino”, segna un cambio di paradigma che suona come una violazione dell’universalismo repubblicano. Come può uno Stato che si fonda sull’eguaglianza dichiarare esplicitamente che un quarto della sua popolazione – circa 13 milioni di persone che abitano in 4.000 comuni – non rientra più nel perimetro dello sviluppo possibile?
Le critiche più forti sono arrivate da amministratori come Rosanna Repole, presidente della Città dell’Alta Irpinia, che in un’intervista riportata da “Ci Vuole Costanza” ha parlato di “tradimento grave delle aspettative dei territori” e ha annunciato una lettera al presidente della Repubblica, alla premier Meloni e al Ministro Foti per chiedere il ritiro o la revisione del piano. Anche Leo Barberio, segretario del PD in provincia di Crotone, ha parlato su “La Novità Online” di “una condanna scritta per decreto”, aggiungendo che dichiarare il 30% della popolazione calabrese come sacrificabile è un atto politico inaccettabile. Ma la critica non viene solo da ambienti progressisti: molti sindaci e rappresentanti istituzionali di varia estrazione hanno espresso allarme per un’impostazione che sancisce l’irrilevanza di intere porzioni del Paese.
Il punto è che il PSNAI, così come formulato, opera una distinzione tra cittadini che “valgono” e altri che devono essere semplicemente assistiti fino alla loro scomparsa. Questa dinamica rompe l’equilibrio del patto costituzionale: l’idea che ogni territorio abbia pari dignità, pari diritto a servizi essenziali, pari possibilità di sviluppo. Ciò che viene messo in discussione, secondo i critici, è l’unità sostanziale della Repubblica. Non bastano, infatti, misure tampone o promesse di presidi minimi se si afferma, nero su bianco, che lo Stato non intende più investire nella rinascita di questi territori. Il risultato è un’Italia a doppia velocità, dove la politica stessa certifica la marginalizzazione di alcuni e l’investimento selettivo su altri.
Filippo Stirati, ex sindaco di Gubbio e autore di un intervento molto critico su “Cronaca Eugubina”, definisce questa scelta “una pugnalata” alla visione unitaria del Paese. E aggiunge: “Se un Paese dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, rinuncia clamorosamente ad essere una Repubblica”. La critica non è solo emotiva, ma giuridica e, costituzionale. Il PSNAI, così com’è, appare a molti come un piano che rimuove territori dalla mappa della cittadinanza piena. Così, l’eguaglianza viene trasformata in statistica, i diritti diventano subordinati alla densità demografica o al potenziale economico e non siamo più nella Repubblica dei diritti, ma in quella delle quote, delle categorie, delle gerarchie. Un cambio di paradigma che, per molti, non può essere accettato.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
05

Il PSNAI ha avuto un’approvazione condivisa

FAVOREVOLE

Il PSNAI 2021–2027 non è nato in un ufficio ministeriale chiuso e distante dai territori. Al contrario, è il frutto di una concertazione estesa che ha coinvolto una pluralità di attori istituzionali: Regioni, Province, Comuni, ANCI, UNCEM. Lo ricorda Fabrizio Rossi (FdI), deputato grossetano e voce autorevole del centrodestra nel dibattito sulle aree interne, che sottolinea come il piano sia stato approvato all’unanimità dalla Cabina di Regia nazionale, un organismo in cui siedono rappresentanti delle autonomie locali e dei principali enti territoriali italiani. Questa approvazione trasversale è un fatto politico rilevante: certifica che il PSNAI non è il prodotto ideologico di una maggioranza, ma una strategia condivisa, faticosamente costruita su un consenso istituzionale ampio. Le parole di Rossi trovano eco nelle cronache locali, come quelle riportate da “Maremma News”, che documentano il voto favorevole non solo di esponenti governativi, ma anche di delegati regionali e provinciali con provenienze politiche eterogenee. Un segnale, questo, che smentisce l’idea di un PSNAI calato dall’alto o imposto da un centro esecutivo insensibile alle istanze del territorio.
Anche “CityNotizie”, nel suo approfondimento sul documento Rinnovare le radici, chiarisce che il piano contiene elementi che possono essere ri-orientati e modulati in base alle esigenze regionali e locali, proprio grazie alla sua struttura partecipativa. Questa caratteristica rende il PSNAI uno strumento flessibile, che ogni territorio può utilizzare in maniera diversa, a seconda delle proprie priorità. Ed è proprio questa architettura multilivello – che accoglie e integra la voce delle aree interne – a renderlo politicamente legittimo. Chi lo accusa di essere una resa, dunque, sembra ignorare che il testo è stato discusso, emendato, rivendicato da decine di amministratori locali. Non si tratta di un tecnicismo, si tratta di democrazia.
In un momento storico in cui le istituzioni sono spesso accusate di essere autoreferenziali, il PSNAI rappresenta una rara eccezione. È la prova che, sebbene imperfetta, una concertazione tra livelli diversi di governo è possibile e auspicabile. Ridurre tutto a una frase fuori contesto o a una lettura univoca, significa non solo impoverire il dibattito, ma anche mancare di rispetto a chi, da sindaco o assessore, ha partecipato a quella costruzione collettiva. Il PSNAI, così inteso, è un contenitore politico aperto: sta ai territori riempirlo di contenuti, adattarlo, renderlo efficace. Ma per farlo servono responsabilità e visione, non solo opposizione preconcetta. L’alternativa non è la protesta sterile, ma la partecipazione attiva.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
06

Sviluppo diseguale: investimenti e fondi poco accessibili ai territori fragili

CONTRARIO

Una delle contraddizioni più rilevanti del Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (PSNAI) 2021–2027 risiede nella distanza tra le dichiarazioni di principio e la realtà amministrativa. Il piano afferma di voler rafforzare la coesione territoriale, ma nei fatti i territori più deboli – proprio quelli più colpiti dallo spopolamento, dall’invecchiamento e dall’isolamento infrastrutturale – sono spesso i meno attrezzati per intercettare i fondi messi a disposizione. Questa disuguaglianza strutturale è stata evidenziata in numerosi interventi raccolti da testate come “Basilicata24”, “Vivienna” e “Il Fatto Nisseno”, che hanno documentato come molte aree interne, pur teoricamente beneficiarie di finanziamenti strategici, si trovino concretamente escluse per mancanza di capacità progettuale, risorse tecniche e personale qualificato.
Katya Rapè, segretaria provinciale del PD di Enna, ha affermato: “Lo Stato afferma che questi territori devono accompagnare la propria decadenza. Ma come può farlo, se nel frattempo nega gli strumenti per resistere, per rilanciare, per costruire un’alternativa?”. In effetti, anche laddove esistono fondi disponibili – dai programmi di coesione ai bandi europei, passando per le risorse del PNRR – la loro accessibilità si scontra con la cronica debolezza amministrativa di tanti piccoli comuni. Mancano tecnici, progettisti, competenze linguistiche e digitali. Manca soprattutto una struttura stabile e duratura che supporti gli enti locali nel redigere piani credibili e sostenibili.
In provincia di Caltanissetta, ad esempio, come riportato dal “Fatto Nisseno”, il segretario PD Bufalino ha denunciato un disallineamento grave tra bisogni e risposte: “I territori più deboli non vengono rafforzati, ma lasciati alla deriva. L’idea stessa che il rilancio sia impossibile diventa una profezia che si autoavvera”. In altre parole, se si dichiara un’area “irreversibilmente in declino” e contemporaneamente non si fa nulla per aiutarla a uscire da quella condizione, il risultato è che la diagnosi diventa condanna. Non per limiti oggettivi, ma per abbandono istituzionale.
“Basilicata24” evidenzia inoltre come molti fondi, pur formalmente disponibili, vengano gestiti con modalità che favoriscono i comuni più attrezzati, creando un circolo vizioso in cui “chi ha, riceve di più, e chi non ha resta fermo”. Questa distorsione alimenta il senso di ingiustizia tra amministratori e cittadini delle aree interne, che si sentono esclusi da un progetto di sviluppo che invece dovrebbe porli al centro. Si tratta di una dinamica nota anche a livello europeo: i territori fragili non riescono a usare le risorse perché non sono messi in condizione di farlo.
In questo scenario, l’obiettivo 4 del PSNAI – quello dell’accompagnamento al declino – suona come un’ammissione implicita di fallimento istituzionale. Invece di rafforzare i territori fragili, si decide di “gestirne” la decadenza. Ma questa non è una strategia: è una rinuncia. E se non si investe proprio dove c’è più bisogno, se non si costruisce un sistema di supporto stabile e continuo, allora nessun piano – per quanto ben scritto – potrà mai essere efficace. Le aree interne, per uscire davvero dal ciclo della marginalità, non hanno bisogno di dichiarazioni simboliche, ma di strumenti reali, assistenza tecnica, formazione del personale e una governance dedicata.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
07

Il PSNAI ha un approccio coerente con le dinamiche demografiche europee

FAVOREVOLE

Inquadrare le aree interne italiane come un’anomalia nazionale è un errore concettuale che oscura la realtà più ampia: quella di un’Europa che da anni affronta dinamiche demografiche simili in ampie porzioni del suo territorio. In Francia, nei Paesi nordici, nelle aree orientali della Germania e in vaste zone dell’Est Europa, il progressivo spopolamento di zone rurali e montane ha spinto i governi a formulare politiche differenziate, tarate sulla capacità reale dei territori di invertire la tendenza. In questo senso, il PSNAI 2021–2027 non è un atto isolato o improvvisato, ma si inserisce in un dibattito continentale maturo che accetta la complessità e rifiuta le soluzioni simboliche. Come spiega Filippo Stirati, ex sindaco di Gubbio e già capofila di un’area interna dell’Umbria, citato dalla “Cronaca Eugubina”, il vero dramma sarebbe fingere che tutti i territori siano recuperabili allo stesso modo. Stirati, pur critico nei confronti della formulazione dell’obiettivo 4 del PSNAI, riconosce che occorre una “nuova programmazione territoriale” capace di distinguere tra le diverse vocazioni, risorse e possibilità. In altri termini, una pianificazione realistica che rispecchi le condizioni materiali dei luoghi e non si fondi su una nostalgica idealizzazione della ruralità. Anche il documento Rinnovare le radici, discusso nel meeting nazionale delle Aree Interne e riportato da “CityNotizie”, parla di necessità di una governance territoriale più sofisticata, in grado di superare la discontinuità e l’improvvisazione del passato. Ciò implica anche una selettività negli interventi: investire dove ci sono margini di ripresa demografica e fornire invece strumenti di resilienza sociale e coesione dove la ripresa non è più plausibile. È una prospettiva europea, questa, condivisa anche dalla Svimez e ripresa in vari rapporti OCSE.
Il PSNAI, in questo senso, rappresenta una forma di allineamento con le migliori pratiche di policy dell’Unione. È significativo che la proposta di “accompagnamento dignitoso” per i territori più fragili sia stata concepita come alternativa all’abbandono silenzioso: invece di sparire dalla mappa delle priorità pubbliche, queste aree vengono presidiate, dotate di una cornice di intervento sociale, sanitario e logistico minimo. Una scelta discutibile, forse, ma comunque preferibile all’assenza di strategia. In più, come evidenziato anche nell’analisi di “Basilicata24”, il problema non è solo nelle intenzioni dello Stato, ma nella capacità delle amministrazioni locali di attivare e usare le risorse disponibili: i fondi europei, il PNRR, le misure di coesione territoriale sono già oggi strumenti a disposizione dei territori, ma troppo spesso restano inutilizzati. Accusare il piano di “condannare i paesi alla morte” significa trascurare la vera questione: chi gestisce quei territori ha davvero la volontà e la capacità di rilanciarli? Il PSNAI non risponde a tutte le domande, ma ha il pregio di introdurre, forse per la prima volta, una categorizzazione dei territori fondata su evidenze e indicatori oggettivi, non su spinte emotive o pretese ideologiche. È una svolta culturale: guardare la realtà e cercare, con onestà e strumenti mirati, di agire secondo un principio di equità asimmetrica. Proprio come fanno, da anni, le democrazie europee più avanzate.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
08

Modelli virtuosi dimostrano che il rilancio è possibile

CONTRARIO

Una delle critiche più forti al PSNAI 2021–2027 riguarda l’assenza di una visione proattiva, orientata alla rigenerazione sociale ed economica. Non si tratta solo della formulazione contestata dell’“accompagnamento al declino”, ma del fatto che il piano sembra ignorare i numerosi esempi di territori che, pur partendo da condizioni difficili, sono riusciti a reinventarsi. L’esistenza di questi modelli virtuosi – molti dei quali raccontati da “CityNotizie”, “Cronaca Online” e Progetto Radici – smonta l’assunto di fondo secondo cui alcune aree sarebbero irrimediabilmente condannate alla decadenza.
Il documento Rinnovare le radici, in particolare, presentato a Fabriano da ALI e sostenuto da Uncem, Upi e Svimez, propone una visione alternativa concreta: infrastrutturazione capillare, servizi essenziali garantiti, autonomia amministrativa e innovazione economica. L’idea è che si può vivere e prosperare anche nei borghi e nei piccoli centri, a patto che ci sia una regia politica coraggiosa e continuità negli investimenti. In Sardegna, ad esempio, la presidente Alessandra Todde ha adottato un approccio radicalmente diverso rispetto a quello nazionale: fondi per la natalità, incentivi alle PMI, potenziamento della governance locale, infrastrutture mirate.
Un altro esempio viene dalla Sicilia, dove – come si legge nel documento Rinnovare le Radici – Open Fiber ha completato il Piano Banda Ultra Larga in 300 comuni, portando connettività ad alta velocità in zone tradizionalmente escluse dal digitale. Questo progetto, realizzato in collaborazione con Infratel e il Ministero delle Imprese, dimostra che anche le aree interne possono diventare laboratori di innovazione tecnologica, capaci di attrarre imprese, lavoratori da remoto e nuovi residenti. Sono risultati concreti, che migliorano la qualità della vita e creano le condizioni per un ritorno stabile delle popolazioni giovanili.
Se questi modelli esistono e funzionano, la domanda diventa inevitabile: perché il PSNAI non li assume come riferimento? Perché non propone una politica espansiva per le aree a declino demografico, piuttosto che limitarsi a una gestione minimalista della loro decadenza? La risposta, secondo i critici, sta nella mancanza di volontà politica e nella tendenza a cercare soluzioni semplici per problemi complessi. Ma è proprio questo che il PSNAI dovrebbe evitare: diventare una ricetta standardizzata, incapace di valorizzare le differenze e di premiare le buone pratiche.
I modelli virtuosi dimostrano che il rilancio è possibile e che le aree interne possono diventare parte della soluzione, non del problema. Serve però una politica che investa nei territori, che scommetta sulle persone e che smetta di considerare le comunità montane, collinari e rurali come costi da contenere. Invece di classificare i territori in base al loro tasso di sopravvivenza demografica, bisognerebbe considerarli per quello che rappresentano: pezzi fondamentali dell’identità nazionale, laboratori di resistenza e motori potenziali di un’Italia più coesa.

Nina Celli, 8 luglio 2025

 
09

Le comunità non vogliono assistenzialismo ma strumenti per restare e innovare

CONTRARIO

Una delle critiche più profonde mosse al PSNAI 2021–2027 non riguarda solo le sue dichiarazioni di principio, ma il modello culturale che sottende all’intero impianto strategico: quello secondo cui le aree interne siano spazi da accompagnare con compassione verso la loro fine naturale. Spazi da gestire come architetture di servizio minimo piuttosto che come laboratori di futuro. È questa logica che le comunità locali rifiutano con, rivendicando invece un ruolo attivo nella costruzione del proprio destino. Non chiedono un welfare compassionevole, né assistenzialismo. Chiedono strumenti per restare, innovare, rilanciare. Una posizione condivisa da numerosi amministratori, sindaci, studiosi e cittadini, che nei mesi scorsi hanno riempito le pagine di “Cronaca Eugubina”, “Basilicata24”, “Vivienna” con appelli, denunce e proposte.
Nel suo intervento su “Basilicata24”, la sociologa Teresa Delle Donne descrive con lucidità la frattura tra la retorica delle politiche pubbliche e la realtà quotidiana dei paesi: “Feste, eventi e sagre non bastano. I territori prosperano se si investe per accrescere il benessere e la salute della gente che li abita ogni giorno”. Il rischio, secondo l'autrice, è trasformare i borghi in parchi tematici occasionali, animati da eventi turistici ma vuoti di servizi, visione e dignità. Invece di investire in infrastrutture, sanità, scuola e trasporti, si spendono risorse per comparse, passerelle e storytelling istituzionale. Ma la memoria, la coesione e la comunità non si costruiscono con la nostalgia.
Anche Katya Rapè, segretaria PD di Enna, intervistata da “Vivienna”, va nella stessa direzione: “I nostri territori non sono un peso da gestire. Sono ricchezza, identità, risorsa. Non vogliamo essere accompagnati al declino. Vogliamo un piano giovani, un piano lavoro, una strategia che renda il restare una scelta, non una condanna”. Le sue parole non sono isolate. In tutto il Paese si moltiplicano le voci che chiedono politiche attive, non gestione passiva.
“Cronaca Eugubina”, riportando l’intervento dell’ex sindaco Stirati, parla di “cure palliative per un malato terminale”. Ma le comunità locali non si sentono affatto in coma. Sentono di avere ancora idee, energia, cultura, relazioni, capitale umano. Chiedono semplicemente che lo Stato non si limiti a osservarle da lontano. Che non definisca il loro orizzonte in base a un algoritmo. Che non usi l’irrecuperabilità come criterio di selezione politica. Vogliono poter scegliere di restare senza sentirsi rassegnati, né tantomeno puniti.
È questa la vera posta in gioco: la pretesa che anche nei luoghi marginali venga riconosciuto il diritto alla progettualità, all’innovazione, all’inclusione. Perché, se lo Stato si limita a “garantire un declino dignitoso”, smette di essere motore di equità. E se la politica accetta questa logica, allora diventa il primo agente di una disuguaglianza istituzionalizzata. Il problema, quindi, non è solo nel PSNAI, ma la sua visione, troppo fredda e limitata. Le comunità interne, invece, chiedono uno sguardo più umano. Non sono rovine da preservare, né statistiche da gestire. Sono luoghi da vivere, da costruire, da reinventare.

Nina Celli, 8 luglio 2025

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