Nr. 365
Pubblicato il 03/07/2025

One Big Beautiful Bill Act

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Mentre gli Stati Uniti si preparano a celebrare l’anniversario della propria indipendenza, l’attenzione è concentrata sull’approvazione, da parte del Congresso, del One Big Beautiful Bill – un pacchetto legislativo imponente, controverso e destinato a segnare un punto di svolta nella politica economica e sociale americana. Promosso con forza dal presidente Donald Trump, il disegno di legge si presenta come una riforma “totale”, pensata per ridisegnare l’architettura fiscale dello Stato federale, ristrutturare radicalmente la spesa pubblica e ridefinire il rapporto tra individuo e istituzioni.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - I tagli fiscali e gli incentivi permanenti danno una spinta all’economia reale

Questa legge è un tentativo di imprimere una direzione stabile alla politica fiscale americana, orientandola verso una riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese.

02 - Aumento del deficit e insostenibilità fiscale: rischio sistemico per l’economia americana

Il disegno di legge è stato duramente contestato per il suo impatto sul deficit e sul debito pubblico, che ammonterebbero ad almeno 2,4 trilioni di dollari in dieci anni.

03 - Riforma del welfare mira alla sostenibilità: i tagli selettivi portano efficienza

Vi è un filone di analisi economica e politica che sostiene l’opportunità di un riequilibrio della spesa sociale.

04 - Il provvedimento erode i diritti sociali, con il rischio di esclusione sanitaria per i più vulnerabili

Il disegno di legge si traduce concretamente in una serie di misure che colpiscono le fasce più vulnerabili della popolazione.

05 - La riforma energetica e la fine dei sussidi ambientali riportano la neutralità del mercato

La riforma energetica contenuta nel provvedimento può essere letta come un tentativo di rimuovere distorsioni di mercato e di restituire centralità alla concorrenza.

06 - L'eliminazione degli incentivi verdi è un’inversione pericolosa nella lotta al cambiamento climatico

Il disegno di legge cancella i crediti fiscali destinati alle energie rinnovabili, penalizzando settori come il solare, l’eolico, la mobilità elettrica e la riqualificazione energetica degli edifici.

07 - Il Big Beautiful Bill vuole riaffermare la sovranità federale e il controllo della spesa

Dietro l’architettura del One Big Beautiful Bill Act emerge una visione coerente di ribilanciamento dei poteri tra federazione e Stati, tra governo centrale e autorità locali.

08 - Il Big Beautiful Bill porta instabilità politica, debolezza istituzionale e crisi della legittimità democratica

Il One Big Beautiful Bill Act un testo polarizzante che ha spaccato il Congresso, l’opinione pubblica e generato un clima di conflitto istituzionale.

 
01

I tagli fiscali e gli incentivi permanenti danno una spinta all’economia reale

FAVOREVOLE

Tra i pilastri del One Big Beautiful Bill emerge con forza l’estensione, su base permanente, dei tagli fiscali già introdotti dalla Tax Cuts and Jobs Act del 2017. Questa scelta non è solo una replica di politiche passate, ma un tentativo ambizioso di imprimere una direzione stabile e prolungata alla politica fiscale americana, orientandola verso una riduzione strutturale della pressione fiscale su famiglie e imprese. I promotori della legge sottolineano come la permanenza di tali tagli consenta una maggiore prevedibilità per chi investe, lavora o assume, favorendo una pianificazione economica più efficiente e meno soggetta ai cicli politici.
Il disegno di legge introduce detrazioni permanenti per settori chiave come ricerca e sviluppo, considerate da molti analisti strumenti essenziali per stimolare l’innovazione e la produttività interna. A queste si aggiungono nuove agevolazioni specificamente pensate per i lavoratori dei settori a basso reddito, tra cui deduzioni per straordinari, mance e interessi su prestiti auto. Secondo un’analisi pubblicata da “Investor’s Business Daily”, l’impatto fiscale complessivo del pacchetto ammonta a circa 4,5 trilioni di dollari in dieci anni, con un effetto espansivo a breve termine che – secondo le stime dell’Office of Management and Budget – potrebbe generare una crescita reale del PIL compresa tra lo 0,3% e lo 0,9% nei primi tre anni.
Dal punto di vista politico, il disegno è stato descritto da Donald Trump come “un miracolo fiscale per la middle class”, sottolineando l’intento dichiarato di far arrivare i benefici direttamente nelle buste paga dei lavoratori. Il senatore per lo Stato dell'Oklahoma Markwayne Mullin ha sostenuto che “questi tagli sono strutturati per chi si alza alle sei del mattino”, indicando chiaramente la volontà di costruire consenso fra i lavoratori a basso e medio reddito. I dati supportano parzialmente queste affermazioni: secondo il Brookings Institution, la riduzione dell’aliquota effettiva sui redditi inferiori ai 100.000 dollari rafforza la capacità di spesa delle famiglie e può contribuire a un contenimento dell’indebitamento privato nel breve termine.
Se da un lato è evidente che i principali beneficiari dei tagli sono le imprese e i contribuenti ad alto reddito, dall’altro non si può ignorare l’effetto psicologico e reale di un sistema fiscale reso più semplice e prevedibile. In particolare, le piccole imprese e le start-up risultano favorite dalla possibilità di dedurre in modo stabile costi di investimento e formazione, con un potenziale impatto positivo sulla creazione di occupazione e sulla vitalità economica locale. Inoltre, la formalizzazione delle mance e la tracciabilità fiscale delle stesse sono misure che affrontano un settore tradizionalmente opaco, con potenziali ricadute positive sul gettito e sull’equità contributiva.
Sul fronte macroeconomico, le analisi pubblicate dal “Wall Street Journal” e da “Brookings” riconoscono che, pur in presenza di un aumento significativo del deficit, i benefici a breve termine sullo stimolo della domanda aggregata non sono trascurabili. In un momento in cui l’economia americana sta mostrando segni di rallentamento, misure di impulso immediato alla liquidità possono produrre un effetto moltiplicatore, in particolare se indirizzate a settori con alta propensione al consumo. I rischi di medio termine legati alla sostenibilità fiscale rimangono, ma nel dibattito pubblico non si può escludere che la leva fiscale venga impiegata per rafforzare la crescita in una fase congiunturale complessa.
L’approccio del Big Beautiful Bill alla leva fiscale, dunque, si configura come un tentativo di rilanciare il dinamismo economico americano attraverso tagli permanenti e incentivi mirati. Pur non esente da critiche sul piano distributivo e della sostenibilità di bilancio, questa strategia propone un modello economico fondato sulla fiducia nel mercato, sulla libertà d’impresa e sulla riduzione della pressione tributaria come fattori abilitanti per la crescita.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
02

Aumento del deficit e insostenibilità fiscale: rischio sistemico per l’economia americana

CONTRARIO

La principale critica rivolta al One Big Beautiful Bill riguarda la sua sostenibilità fiscale. Pur proponendosi come una manovra espansiva, volta a stimolare crescita e investimenti, il disegno di legge è stato duramente contestato per le sue proiezioni di impatto sul deficit e sul debito pubblico, che secondo le stime più prudenziali ammonterebbero ad almeno 2,4 trilioni di dollari in dieci anni, ma che altre analisi – inclusa quella del Congressional Budget Office – fanno salire fino a 3,3 o persino 3,8 trilioni nel medesimo periodo. La cifra netta varia a seconda degli scenari assunti, ma il consenso tra gli economisti è pressoché unanime nel considerare il saldo profondamente negativo.
Il cuore del problema risiede nell’asimmetria tra i tagli fiscali permanenti e i tagli alla spesa che, invece, sono parziali, selettivi e difficilmente applicabili nella loro totalità. Come ha evidenziato William G. Gale in un'analisi pubblicata da “Brookings”, i benefici di breve periodo sul PIL sono trascurabili – inferiori allo 0,1% annuo secondo alcuni modelli – mentre i costi di lungo termine si accumulano senza che vi sia una strategia di compensazione efficace. In particolare, la scelta di rendere permanenti i tagli fiscali per le imprese e le famiglie ad alto reddito, senza contropartite sufficienti in termini di riduzione della spesa obbligatoria, costituisce secondo molti un errore strutturale.
Il “Wall Street Journal” ha dato voce alla preoccupazione dei mercati, notando che l’indice del dollaro ha perso l’11% nel primo semestre del 2025, con il rischio concreto che il trend prosegua fino a una svalutazione del 30–35%. Ciò è direttamente collegato alla percezione di instabilità fiscale e perdita di credibilità degli Stati Uniti come emittenti di debito sovrano. I Treasury bond, un tempo considerati rifugi sicuri per gli investitori globali, iniziano a essere trattati con maggiore cautela, proprio a causa dell’assenza di un piano coerente di rientro dal disavanzo.
Anche il rischio di innescare una crisi di fiducia sulla solvibilità statale non è più un’ipotesi marginale. Il costo annuale per interessi sul debito ha già superato il trilione di dollari, come sottolineato dal “New York Times”, e l’aumento della spesa militare e delle politiche migratorie – inseriti nel disegno di legge senza coperture credibili – contribuisce a rendere il mix fiscale ancora più sbilanciato. Il tentativo di ridurre il deficit attraverso tagli a programmi sociali come Medicaid e SNAP appare insufficiente e, secondo alcune stime, politicamente insostenibile.
Il Center on Budget and Policy Priorities ha pubblicato più rapporti in cui evidenzia che, anche ipotizzando un’applicazione integrale dei tagli alla spesa previsti, il saldo netto del provvedimento rimane fortemente passivo. Inoltre, la legge non introduce riforme strutturali che affrontino le vere cause dell’insostenibilità del bilancio federale, come la spesa previdenziale, il sistema sanitario per gli anziani (Medicare) o la riforma delle spese fiscali più regressive.
Dal punto di vista politico, il rischio è duplice: da un lato si compromette la possibilità futura di attuare manovre anticicliche nei momenti di crisi; dall’altro si espone il Paese al rischio di downgrading da parte delle agenzie di rating, con effetti immediati sul costo del capitale, sui mutui, sulle imprese e sui consumatori. L’euforia politica per l’approvazione di un grande pacchetto fiscale potrebbe presto lasciare spazio alle conseguenze di una crisi di bilancio, le cui ripercussioni si estenderebbero ben oltre le dinamiche di Washington.
Il One Big Beautiful Bill Act appare, per molti analisti, come un esempio da manuale di politica fiscale irresponsabile: tagli duraturi alle entrate, aumenti discrezionali della spesa e una fiducia eccessiva nella crescita come panacea. Una scommessa ad alto rischio, che mette in discussione non solo l’equilibrio dei conti pubblici, ma anche la stabilità macroeconomica e la leadership finanziaria globale degli Stati Uniti.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
03

Riforma del welfare mira alla sostenibilità: i tagli selettivi portano efficienza

FAVOREVOLE

Il One Big Beautiful Bill non si limita a intervenire sul versante fiscale, ma propone una revisione strutturale del sistema di welfare. In particolare, attraverso la riforma di Medicaid e la riduzione dei sussidi per alcuni programmi federali. Questo aspetto è stato ampiamente criticato dalle opposizioni e da parte della stampa, ma vi è un filone di analisi economica e politica che sostiene l’opportunità di un riequilibrio della spesa sociale. Questo specialmente in un contesto in cui il debito federale ha superato il 120% del PIL e la spesa obbligatoria rappresenta oltre il 70% del bilancio federale, come ricordato dalla senatrice Katie Britt in un’intervista della “CNN”.
Il disegno di legge introduce criteri di accesso più stringenti per Medicaid, tra cui l’obbligo di 80 ore mensili di attività lavorativa per adulti abili, anche in presenza di figli di età superiore ai 15 anni. Tale misura, secondo i promotori, mira a ridurre frodi, abusi e una dipendenza passiva dallo Stato, privilegiando invece un modello di welfare attivo. Il senatore Jim Banks ha dichiarato che l’obiettivo è “riservare l’assistenza sanitaria a chi ne ha davvero bisogno, escludendo chi può lavorare ma sceglie di non farlo”, espressione ha suscitato polemiche, ma riflette una visione fortemente meritocratica dell’accesso alle risorse pubbliche.
Dal punto di vista economico, il Congressional Budget Office ha stimato che la sola riforma di Medicaid genererà un risparmio di circa 930 miliardi di dollari in un decennio. Questa cifra, oltre a rappresentare una voce significativa nella compensazione dei tagli fiscali, può contribuire alla stabilizzazione del debito a medio termine. Anche il Center on Budget and Policy Priorities, pur fortemente critico rispetto agli effetti sociali della legge, riconosce che l’impianto normativo è coerente con l’obiettivo di contenimento del deficit strutturale.
Va sottolineato che le modifiche introdotte non rappresentano una semplice logica di taglio, ma propongono anche forme di riallocazione delle risorse. Alcune delle economie ottenute attraverso le nuove regole per Medicaid, SNAP e altri programmi saranno destinate a rafforzare la spesa in difesa e sicurezza interna, settori considerati prioritari dalla corrente maggioritaria del Partito Repubblicano. Inoltre, il disegno di legge include finanziamenti mirati – seppure modesti – a favore degli ospedali rurali e dei centri sanitari nei territori meno serviti, per mitigare l’effetto redistributivo negativo delle misure.
Non si può ignorare che la sostenibilità dei sistemi di welfare è uno dei temi centrali del dibattito economico occidentale. Organizzazioni come l’OCSE e l’IMF hanno più volte sottolineato la necessità per gli Stati Uniti di intervenire su programmi come Medicare e Medicaid, il cui costo cresce a ritmi superiori a quello dell’economia. Il Big Beautiful Bill, in questa ottica, rappresenta un tentativo controverso ma coerente di affrontare questo nodo, privilegiando una filosofia di “efficienza selettiva” rispetto a un approccio universalistico.
Il messaggio politico che la riforma del welfare intende trasmettere è il ripristino di un principio di reciprocità tra cittadino e Stato, dove l’accesso ai benefici non è solo un diritto, ma comporta anche obblighi minimi di partecipazione alla vita economica. Una visione che può apparire dura, ma che trova consenso in ampie fasce dell’elettorato conservatore e in parte del centro moderato, come dimostrano i sondaggi condotti da “The Daily Beast” e “CNN”. Queste ultime, pur registrando un’ampia disapprovazione complessiva del disegno di legge, segnalano livelli di sostegno elevati per alcune misure specifiche come i requisiti di lavoro.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
04

Il provvedimento erode i diritti sociali, con il rischio di esclusione sanitaria per i più vulnerabili

CONTRARIO

Uno degli effetti peggiori del One Big Beautiful Bill riguarda la sua incidenza sui diritti sociali, in particolare sull’accesso alla sanità pubblica e ai programmi di sostegno al reddito. A fronte di un risparmio stimato in circa 930 miliardi di dollari per Medicaid – secondo le proiezioni del Congressional Budget Office – il disegno di legge si traduce concretamente in una serie di misure che colpiscono le fasce più vulnerabili della popolazione. Il cambiamento più radicale è l’introduzione di requisiti di lavoro obbligatori per tutti gli adulti abili, comprese le madri con figli sopra i 15 anni, per poter accedere o mantenere i benefici di Medicaid. Questa misura, già adottata in forma limitata in alcuni Stati, viene ora estesa su scala nazionale, senza tener conto della realtà socioeconomica e occupazionale delle diverse aree del paese.
Il Center on Budget and Policy Priorities ha stimato che l’impatto netto del provvedimento comporterà la perdita di copertura sanitaria per oltre 12 milioni di persone entro il 2034. Altre proiezioni, come quella elaborata da “Energy Innovation”, parlano addirittura di 17 milioni di cittadini potenzialmente esclusi, includendo le conseguenze dei tagli all’Affordable Care Act e al programma SNAP. Il meccanismo previsto dalla legge non tiene conto delle barriere strutturali all’occupazione – disabilità, carenze di trasporto, mancanza di assistenza all’infanzia – che rendono l’obbligo di lavoro non solo penalizzante, ma di fatto discriminatorio per molte categorie, tra cui donne sole, disoccupati cronici e anziani non ancora coperti da Medicare.
A questi dati si aggiunge la preoccupazione per gli effetti indiretti delle modifiche al Federal Medical Assistance Percentage (FMAP). La riduzione della quota federale di copertura dei costi sanitari spingerà molti Stati – in particolare quelli con bilanci già fragili – a ridurre i servizi offerti o a restringere l’accesso ai programmi. Il senatore Thom Tillis, pur appartenendo al Partito Repubblicano, ha dichiarato pubblicamente il suo dissenso, affermando: “il mio Stato [North Carolina] sarà costretto a scegliere tra tagliare servizi essenziali o far uscire centinaia di migliaia di persone dal sistema sanitario pubblico”.
L’impatto sanitario si accompagna a conseguenze economiche e sociali più ampie. Il taglio dei programmi di sostegno rischia di spingere ulteriormente nella povertà milioni di famiglie, aggravando disuguaglianze già crescenti. Secondo un report del “Washington Post”, numerosi economisti temono che la riforma possa annullare i progressi compiuti durante la pandemia in termini di accesso alla salute e riduzione della povertà infantile. In particolare, le donne e le minoranze etniche sono le categorie più esposte agli effetti della nuova normativa, come confermato anche dal “The Guardian”.
Dal punto di vista morale e costituzionale, la critica principale rivolta alla legge è che essa sovverte il principio di universalismo selettivo su cui si fonda la protezione sociale americana: la possibilità, per chi versa in condizione di bisogno, di accedere a un minimo di sicurezza economica e sanitaria. Il nuovo approccio introduce una logica condizionata, punitiva e fortemente ideologica, che equipara il bisogno alla colpa e riduce l’intervento pubblico a mera redistribuzione meritocratica.
Non sorprende, dunque, che l’opposizione alla legge sia stata particolarmente intensa da parte di associazioni sanitarie, gruppi di difesa dei diritti civili, ordini medici e organizzazioni religiose. Come riportato da “AP News” e “MarketWatch”, si moltiplicano le proteste e le azioni legali contro le nuove regole, in particolare nei confronti dell’attivazione automatica dei tagli a Medicare previsti dalla clausola PAYGO, che potrebbe sottrarre fino a 500 miliardi di dollari ai programmi sanitari per anziani tra il 2027 e il 2034.
Il Big Beautiful Bill, sul piano sociale, si pone come una riforma regressiva che penalizza i più deboli, frammenta il sistema di protezione sanitaria e mina la coesione sociale. Più che una modernizzazione del welfare, si tratta di una ritrazione dello Stato in settori fondamentali per l’uguaglianza e la dignità dei cittadini.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
05

La riforma energetica e la fine dei sussidi ambientali riportano la neutralità del mercato

FAVOREVOLE

Tra i punti più controversi del One Big Beautiful Bill vi è l’eliminazione o la drastica riduzione dei crediti fiscali e degli incentivi a favore delle energie rinnovabili introdotti con l’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden. Questa misura è stata duramente contestata da ambientalisti, industriali delle rinnovabili e personalità di spicco come Elon Musk, che ha definito la legge “insana e distruttiva”. Tuttavia, da una prospettiva alternativa – quella della neutralità economica e dell’efficienza allocativa – la riforma energetica contenuta nel provvedimento può essere letta come un tentativo di rimuovere distorsioni di mercato e di restituire centralità alla concorrenza.
La logica che sottende l’abolizione di sussidi specifici è che lo Stato non debba intervenire per favorire un settore a scapito di altri, soprattutto quando tali interventi si traducono in un costo fiscale rilevante e in effetti poco misurabili sulla produttività o sulla competitività industriale. I promotori della legge sostengono che 1,6 trilioni di dollari di “Green New Deal tax credits”, così come definiti dal senatore Jim Banks, abbiano beneficiato in modo sproporzionato imprese ad alta capitalizzazione e progetti concentrati in pochi Stati favorevoli al Partito Democratico, con scarsa ricaduta sulla creazione di lavoro duraturo in ambiti tradizionali.
L’eliminazione graduale dei crediti per il solare, l’eolico e la mobilità elettrica – secondo quanto riportato da “Reuters” e “AP News” – è accompagnata dall’introduzione di una nuova tassazione sugli impianti già in funzione e dall’obbligo di completamento entro il 2027 per mantenere l’accesso a benefici residui. Questa scelta, pur penalizzante nel breve termine per l’industria verde, si inserisce in una visione più ampia di ridefinizione dei confini tra pubblico e privato: l’obiettivo è lasciare che sia il mercato, e non il fisco, a selezionare le tecnologie energetiche più efficienti, senza condizionamenti ideologici.
Dal punto di vista del bilancio pubblico, la riforma energetica permette una riduzione della spesa fiscale che – secondo il “Wall Street Journal” – contribuisce in modo significativo a contenere l’aumento del deficit strutturale. In una fase in cui il debito pubblico raggiunge livelli storicamente elevati, la cancellazione di agevolazioni settoriali rappresenta una leva importante per il consolidamento fiscale, evitando tagli lineari ad altri comparti più sensibili, come difesa, sanità o previdenza.
Un altro aspetto da considerare riguarda la transizione energetica “tecnologicamente neutra”. Invece di incentivare direttamente fonti rinnovabili selezionate, il Big Beautiful Bill investe – in modo indiretto – su fonti tradizionali e su infrastrutture trasversali (oleodotti, gasdotti, sistemi di stoccaggio), lasciando alle imprese la libertà di decidere come produrre energia in base ai costi e ai ritorni attesi. Questa impostazione può accelerare l’adozione di tecnologie ibride, come il gas naturale con sequestro del carbonio, che combinano sostenibilità e accessibilità, secondo quanto illustrato in uno studio dell’Energy Innovation Institute.
Sul piano geopolitico, la fine dei sussidi alle rinnovabili può essere letta come un tentativo di rafforzare l’indipendenza energetica americana. La riduzione della dipendenza da fornitori internazionali di componenti fotovoltaici – spesso localizzati in aree strategicamente sensibili come la Cina – è stata evocata da diversi senatori come una delle motivazioni sottostanti alla riforma, in un contesto in cui la sicurezza energetica è tornata al centro del dibattito.
Sebbene la riforma energetica del Big Beautiful Bill comporti effetti negativi nel breve periodo sul settore delle rinnovabili, essa rappresenta un intervento coerente con una visione liberale dell’economia, basata sulla neutralità del mercato e sulla riduzione delle distorsioni fiscali. La sfida sarà verificare se, nel medio periodo, tale approccio riuscirà a favorire soluzioni energetiche più efficienti e realmente sostenibili, non imposte dall’alto ma selezionate dal basso.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
06

L'eliminazione degli incentivi verdi è un’inversione pericolosa nella lotta al cambiamento climatico

CONTRARIO

Un aspetto particolarmente criticato del One Big Beautiful Bill è la sua esplicita volontà di smantellare l’architettura di incentivi ambientali costruita negli ultimi anni, in particolare attraverso l’Inflation Reduction Act. Il disegno di legge cancella o limita in modo drastico i crediti fiscali destinati alle energie rinnovabili, penalizzando settori come il solare, l’eolico, la mobilità elettrica e la riqualificazione energetica degli edifici. Questa operazione, che i promotori giustificano come un ritorno alla neutralità fiscale e alla concorrenza di mercato, è stata definita dagli esperti un vero e proprio attacco alla transizione energetica e un arretramento nelle politiche climatiche globali.
Il danno immediato è di tipo occupazionale e industriale. Secondo un’analisi pubblicata da “Energy Innovation”, la cancellazione dei crediti verdi provocherà la perdita di oltre 800.000 posti di lavoro nel settore delle rinnovabili entro il 2035. Settori in piena espansione, come il fotovoltaico domestico, vedranno un crollo degli investimenti già nel secondo semestre del 2025, come riportato da “AP News”. Le aziende del settore, tra cui molte start-up, si trovano già in difficoltà a causa dell’improvvisa incertezza normativa e della rimozione del credito del 30% per le installazioni residenziali. Le ricadute colpiranno in modo particolare gli stati del Midwest e del Sud, dove l’adozione delle tecnologie verdi era in forte crescita anche tra le famiglie a basso e medio reddito.
Ma l’impatto più profondo è ambientale e geopolitico. Tagliando i crediti per la produzione eolica, l’energia solare e l’installazione di batterie, la legge ostacola il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione previsti dagli Accordi di Parigi. Secondo un rapporto di “Reuters”, le emissioni USA torneranno a crescere già dal 2026, invertendo un trend positivo consolidato. La mossa indebolisce la leadership americana nella diplomazia climatica, rafforza la posizione dei produttori di combustibili fossili e aumenta la dipendenza energetica da tecnologie obsolete e da filiere dominanti, come quella del gas naturale.
L’intervento normativo non è neutrale: prevede l’introduzione di tasse selettive su progetti eolici e solari, scoraggia nuovi investimenti e impone limiti temporali stringenti per completare i cantieri già finanziati, pena la perdita dei benefici fiscali. Inoltre, impone vincoli che privilegiano tecnologie di generazione più tradizionali, riattivando l’interesse per centrali a carbone e progetti di estrazione non convenzionale. Questo orientamento ha attirato critiche anche da parte di imprenditori favorevoli al mercato libero, come Elon Musk, che ha definito la riforma “una follia che danneggia gli Stati Uniti nel momento in cui il mondo si muove in direzione opposta”.
Anche le implicazioni economiche a lungo termine sono preoccupanti. La rimozione dei sussidi ambientali comporta un aumento delle bollette energetiche: secondo lo studio di “Energy Innovation”, i costi energetici complessivi per le famiglie americane aumenteranno di circa 170 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Le tecnologie verdi, infatti, non solo producono energia più pulita, ma sono ormai competitive sul piano dei costi: sostenerle equivale a favorire l’efficienza economica. Penalizzarle, al contrario, significa imporre un costo maggiore alla collettività per mantenere in vita infrastrutture fossili inefficienti.
La scelta di colpire i settori dell’energia pulita in un momento storico in cui gran parte del mondo industrializzato investe in rinnovabili e decarbonizzazione appare strategicamente miope. Come si legge su “Vox”, il Big Beautiful Billgira le spalle al futuro”, disinvestendo in ricerca, sostenibilità e innovazione proprio quando queste rappresentano le leve della competitività globale. Paesi come la Cina e l’Unione Europea stanno accelerando la transizione con piani miliardari, mentre gli Stati Uniti rischiano di restare indietro e perdere il treno dell’industria verde. Il disegno di legge rappresenta una svolta negativa per l’ambiente, l’innovazione e l’occupazione, con conseguenze che vanno ben oltre i confini economici per toccare l’identità energetica e geopolitica del Paese. Invece di promuovere un’economia sostenibile e resiliente, il Big Beautiful Bill rallenta la transizione, penalizza le famiglie e arretra sul fronte climatico.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
07

Il Big Beautiful Bill vuole riaffermare la sovranità federale e il controllo della spesa

FAVOREVOLE

Oltre alle dimensioni fiscali ed economiche, il One Big Beautiful Bill Act si propone come una dichiarazione di principio sul piano istituzionale. Dietro l’architettura della legge emerge una visione coerente di ribilanciamento dei poteri tra federazione e Stati, tra governo centrale e autorità locali. In una fase in cui la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici e il consenso verso la funzione redistributiva dello Stato appare in erosione, il disegno di legge mira a rafforzare il principio di responsabilità fiscale e decisionale a livello statale, rilanciando l’idea che ogni territorio debba poter gestire in autonomia i propri programmi sociali e le proprie priorità economiche.
Questa impostazione è evidente, ad esempio, nella riforma del Federal Medical Assistance Percentage (FMAP), l’indice che determina il contributo federale al finanziamento di Medicaid. La proposta di abbassare il FMAP per gli adulti abili senza figli – avanzata dal senatore Rick Scott e sostenuta da figure come Ron Johnson – è un chiaro segnale di spinta verso una maggiore compartecipazione locale, con lo scopo di responsabilizzare gli Stati nell’erogazione di servizi e nel contenimento dei costi. Come si legge su “Reuters”, ciò significa che i singoli Stati avranno più margine nel decidere chi includere nei programmi sanitari, ma anche maggiori oneri nel finanziarli, incentivando efficienza e razionalizzazione.
Un approccio simile si rileva nel trattamento dei fondi destinati alla difesa e alla sicurezza interna. Il provvedimento prevede un incremento selettivo delle risorse per il Pentagono e per le agenzie migratorie, ma lascia agli Stati più spazio nella gestione delle politiche di frontiera. Questa decentralizzazione – pur ritenuta eccessiva da molti – rappresenta una delle rivendicazioni storiche del federalismo conservatore, che ha sempre visto con sospetto la crescente estensione dei programmi federali unificati, in particolare nel welfare e nell’energia.
Sul piano politico, la legge è stata costruita come una prova di forza istituzionale: l’uso della procedura di riconciliazione al Senato per bypassare l’ostruzionismo e il tentativo di far coincidere l’approvazione definitiva con il 4 luglio non sono solo simbolici. Essi segnano una volontà precisa di “riappropriazione del potere di spesa” da parte del Congresso e del partito di maggioranza. Come osservato da “The Guardian” e “Time”, questo disegno non è privo di rischi, ma risponde a un’esigenza diffusa nell’elettorato repubblicano di “restituire al popolo il controllo del bilancio”, espressione ripetuta da Trump e dai suoi sostenitori in comizi e media nazionali.
La strategia del Big Beautiful Bill suggerisce anche una ridefinizione dei confini ideologici tra centro e periferia, tra Stato e individuo. La legge rifiuta l’idea che la centralizzazione sia sinonimo di efficienza o giustizia, a favore di una visione opposta. Sottende che la riduzione dell’intermediazione federale favorisca soluzioni più adatte alle specificità locali, sia in termini economici che culturali. Si tratta di un modello di governance che risponde, nel linguaggio politico della destra americana, all’esigenza di “liberare l’energia dei territori”, restituendo flessibilità amministrativa e discrezionalità normativa agli Stati.
Il Big Beautiful Bill è più di una manovra economica: è un atto politico che riafferma la centralità del principio federale nella gestione della spesa pubblica. In un contesto segnato da sfiducia e polarizzazione, questa visione – pur divisiva – offre una risposta strutturata alla crisi di legittimità delle istituzioni centrali.

Nina Celli, 3 luglio 2025

 
08

Il Big Beautiful Bill porta instabilità politica, debolezza istituzionale e crisi della legittimità democratica

CONTRARIO

Il One Big Beautiful Bill Act non è soltanto una legge economico-finanziaria. È diventato un simbolo di divisione ideologica, un testo polarizzante che ha spaccato il Congresso, diviso l’opinione pubblica e generato un clima di conflitto istituzionale senza precedenti nella storia recente americana. L’intero processo legislativo, come osservato da “Time” e “The Guardian”, si è svolto in un contesto di forte tensione politica, con un uso massiccio della procedura di riconciliazione per forzare l’approvazione al Senato, passata con il solo voto del vicepresidente Vance in un 51-50 al cardiopalma. La Camera ha seguito per pochi voti, con una maggioranza risicatissima di 219 contro 213.
L’approccio scelto dai promotori della legge ha alimentato non solo il conflitto partigiano, ma anche una crisi più profonda di fiducia nelle istituzioni. L’opposizione democratica ha denunciato la totale esclusione dal processo negoziale, mentre diversi parlamentari repubblicani hanno espresso forti riserve, arrivando perfino a votare contro il disegno. Senatori come Thom Tillis, Susan Collins e Josh Hawley hanno sollevato dubbi sulla portata dei tagli sociali, sull’equilibrio fiscale e sugli effetti elettorali di lungo periodo. Questa frammentazione interna dimostra che il consenso attorno alla legge è più fragile di quanto suggerisca l’approvazione formale.
Anche sul piano dell’opinione pubblica, il provvedimento si è dimostrato profondamente divisivo. Secondo un’analisi condotta dalla “CNN” e rilanciata da “The Daily Beast”, l’indice di approvazione netta (Net Approval) del Big Beautiful Bill oscilla tra –19% e –29%, una delle peggiori performance registrate per una legge fiscale di portata storica. I segmenti di popolazione più contrari sono le donne, le minoranze etniche, i giovani under 35 e gli elettori indipendenti. La legge è percepita da molti come “un colpo al welfare" e un regalo fiscale ai ceti più ricchi, in un contesto già segnato da disuguaglianze crescenti e tensioni sociali.
Le conseguenze di questa polarizzazione non si limitano all’arena politica, ma si estendono al funzionamento delle istituzioni democratiche. Il ricorso a meccanismi procedurali straordinari per forzare il calendario legislativo, la volontà di legare l’approvazione alla simbologia del 4 luglio e la marginalizzazione del dibattito parlamentare contribuiscono a un clima di delegittimazione reciproca, in cui la legge del numero prevale sul principio del compromesso. Questo trend, già evidente in altri ambiti legislativi, rischia di diventare strutturale, minando alla base l’equilibrio tra potere esecutivo e legislativo.
Inoltre, la natura esplicitamente identitaria del provvedimento – definito dallo stesso Trump come “la legge più bella e più potente mai scritta” – ha reso il dibattito pubblico meno tecnico e più emotivo, polarizzando anche i media, gli ambienti accademici e le associazioni di categoria. Da un lato, l’entusiasmo dei sostenitori che vedono nella legge una rinascita dell’America “vera”, dell’autosufficienza e della responsabilità; dall’altro, il timore che si stia costruendo un sistema economico più iniquo, più autoritario e meno trasparente.
In ultima analisi, la forza della critica non risiede soltanto nei contenuti della legge, ma nel modello politico e istituzionale che essa sembra rappresentare: un’esecutività muscolare, una visione redistributiva squilibrata e una logica “vincitori contro vinti” che rischia di erodere il capitale democratico e la coesione nazionale. In una fase in cui la democrazia americana è osservata a livello globale come un barometro della tenuta dell’Occidente, il Big Beautiful Bill viene percepito da molti non come una riforma, ma come una rottura.

Nina Celli, 3 luglio 2025

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