Nr. 243
Pubblicato il 14/06/2022

Suicidio medicalmente assistito

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale della proposta di referendum sull’eutanasia legale promossa dall’associazione Luca Coscioni (che prevedeva la parziale abrogazione dell’articolo 579 del Codice Penale sull’omicidio del consenziente), non si è fermato il lavoro del Parlamento nell’ambito del fine vita. Il 10 Marzo 2022, infatti, è stato approvato alla Camera un disegno di legge sulle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” che è stato immediatamente trasmesso al Senato e che dal 26 Aprile è in esame presso la Commissione dello stesso.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - È necessario procedere con un disegno di legge per garantire una morte dignitosa

I numerosi passi compiuti dalla legislazione italiana negli ultimi anni non sono ancora sufficienti. L’Italia non è allineata con molti paesi europei, che già hanno una legge sul suicidio assistito, e per questo molte persone ancora soffrono.

02 - La legge attualmente vigente è sufficiente a garantire una morte dignitosa

La legge attualmente vigente offre un ampio ventaglio di possibilità in materia di fine vita e per una morte dignitosa. Permette di rinunciare preventivamente ad alcuni trattamenti, di sospenderli ove sproporzionati e di seguire una terapia palliativa per lenire le sofferenze della malattia. Non è quindi necessario spingersi a rendere lecito il suicidio.

03 - Il disegno di legge preserva il diritto alla vita e non introduce il diritto di morte

Il disegno di legge è in armonia con le ultime sentenze della Corte costituzionale e non mira a introdurre un diritto alla morte, ma è semmai espressione del diritto alla vita. Per questo motivo esso si oppone alla proposta di referendum (parzialmente abrogativo dell’articolo 579 C.p. sull’omicidio del consenziente) recentemente dichiarata incostituzionale.

04 - Il disegno di legge apre la strada all’introduzione di un diritto di morte nel nostro paese

Il disegno di legge apre le porte all’introduzione del diritto di morte nel nostro paese non solo perché non è sufficientemente chiaro e articolato, rischiando così di creare confusione e ingiustizia, ma anche perché espressione di una visione della sofferenza e della morte che avvicina alla cultura dello scarto.

05 - Un diritto in più contro la sofferenza

Permettere in alcuni casi particolari il suicidio assistito non significa lavarsi le mani e abdicare ai propri doveri di cura. Le cure palliative, l’attenzione alla relazione e alla sofferenza rimarranno diritti fondamentali e doveri primari nel fine vita.

06 - Il disegno di legge è sbrigativo e potenzialmente discriminatorio

Il disegno di legge non è un progresso della legislazione italiana ed è potenzialmente discriminatorio. Esso prevede l’autonomia fisica e non contempla i casi in cui esistano sofferenze insostenibili che non richiedono l’uso di trattamenti di sostegno vitale.

 
01

È necessario procedere con un disegno di legge per garantire una morte dignitosa

FAVOREVOLE

Il fine vita è un tema di estrema attualità che va a intrecciarsi con questioni fondamentali della vita del singolo, ma anche della collettività. Non sorprende, quindi, che negli ultimi anni sia sorta con sempre più forza la necessità di affrontare la questione non solo dal punto di vista etico, ma anche e soprattutto dal punto di vista legislativo. Infatti, dai primi pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB - Comitato che funge da consulente per il governo in merito alle questioni etiche) sulla sospensione dei trattamenti (Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico, Comitato Nazionale per la Bioetica, 24 ottobre 2008)  e sulle cure palliative (Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, Comitato Nazionale per la Bioetica, 29 gennaio 2016) ha preso avvio una riflessione parlamentare che ha portato a sviluppare una legge sulle cure palliative (Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, Legge 15 marzo 2010, n. 38, “Normattiva”) e sulle disposizioni anticipate di trattamento (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, Legge 22 dicembre 2017, n. 219, “Normattiva”).

Seppur questi siano da considerare dei notevoli passi avanti compiuti dalla legislazione italiana, che le permetterebbero di allinearsi con la legislazione attualmente presente in molti paesi europei, ciò non appare sufficiente. Infatti, in molti paesi non solo è già legale il suicidio medicalmente assistito (Elisabetta Pulice, Germania - Disegno di legge 6 novembre 2015: approvata la legge sul suicidio assistito, “Biodiritto”, 6 novembre 2015), ma anche l’eutanasia (Beatrice Carminati, La disciplina del fine vita in Europa, “Biodiritto”, 25 gennaio 2022). Secondo l’associazione Luca Coscioni, associazione promotrice della recente proposta di referendum sull’eutanasia legale, il parlamento si muove troppo lentamente: Grazie alle disobbedienze civili di Marco Cappato e Mina Welby abbiamo ottenuto nel 2017 la Legge che riconosce il valore del Testamento Biologico, e una sentenza della Corte costituzionale che ha aperto dei varchi sulla disponibilità della vita umanae nonostante una proposta di legge di iniziativa popolare depositata nel 2013 e due richiami della Corte costituzionale, il Parlamento in tutti questi anni non è mai riuscito a discutere di eutanasia legale” (Comitato Promotore Referendum Eutanasia Legale, Le ragioni, “referendum.eutanasialegale.it”, consultato il 9 giugno 2022).

Procedere con il disegno di legge, quindi, è un’urgenza, non solo a livello giuridico, ma anche e soprattutto a livello umano: si tratta di considerare il bene delle persone che soffrono: “Oggi in Italia possono porre fine alle loro sofferenze solo i pazienti per cui risulti sufficiente l’interruzione delle terapie, come previsto dalla Legge 219/2017”(Ibidem). Inoltre, come ricorda Giorgio Trizzino (Misto), “le cure palliative non sempre possono raggiungere il loro obiettivo, perché si fermano a un certo punto. [...] non tutti i dolori possono essere trattati, non tutti i sintomi possono essere affrontati” (Resoconto dell’Assemblea seduta n. 635 di mercoledì 9 febbraio 2022).

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

 
02

La legge attualmente vigente è sufficiente a garantire una morte dignitosa

CONTRARIO

Essere contro un disegno di legge sul suicidio medicalmente assistito non significa rassegnarsi al dolore. Esistono già altre soluzioni rispetto al suicidio assistito in grado di eliminare il dolore e di preservare la dignità come la rinuncia ai trattamenti e le cure palliative, che non procurano la morte, ma accompagnano durante il percorso di fine vita riducendo la sofferenza psichica e fisica (Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, Comitato Nazionale per la Bioetica, 29 gennaio 2016). Grazie alla legge 219/2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e il consenso informato è possibile rinunciare o sospendere alcuni trattamenti di sostegno vitale. La sospensione e la rinuncia ai trattamenti sono volti a evitare di ledere la dignità della persona tramite trattamenti sproporzionati. Con la rinuncia, infatti, il paziente concorda preventivamente con il medico (tramite una pianificazione condivisa delle cure) a quali trattamenti non vorrà essere sottoposto in futuro (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, Legge 15 marzo 2010, n. 38, “Normattiva”), mentre la sospensione è una scelta fatta dall’équipe medica sulla base delle volontà precedentemente espresse nelle disposizioni anticipate di trattamento (se presenti). Queste possibilità sono già reali e costituzionali, la Corte di Cassazione, infatti, ricorda che “Il rifiuto di terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso” (Ilaria Anna Colussi, Corte di Cassazione - sez. I civ. - Caso Englaro: interruzione dei trattamenti e incapacità, “Biodiritto”, 16 ottobre 2006).

Una seconda possibilità già presente in Italia è la medicina palliativa, ossia “l’insieme dei trattamenti rivolti ai malati inguaribili al fine di migliorare la loro qualità della vita, riducendo il livello di sofferenza e dolore. Diversamente dalle altre branche della medicina, la medicina palliativa non è finalizzata a combattere la malattia: la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) la definisce una disciplina che ‘cura anche quando non si può guarire’. In quest’ambito si inserisce anche la terapia del dolore, che è l’insieme di terapie farmacologiche finalizzate alla soppressione ed al controllo del dolore” (Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, Comitato Nazionale per la Bioetica, 29 gennaio 2016). Compito delle cure palliative, quindi, è proprio quello di farsi carico della sofferenza fisica e psichica del paziente per restituire una morte naturale ma al contempo dignitosa. Inoltre, Monsignor Vincenzo Paglia ha ricordato che le cure palliative “agiscono nel rispetto e nella promozione della dignità della persona, evitando scorciatoie che la mortificano, come i vari modi di sopprimere la vita, dall’assistenza al suicidio all’eutanasia” (Campagna contro l'eutanasia, Pro Vita: “Ecco i nostri manifesti choc”, “ilgazzettino.it”, 10 febbraio 2022).

Tutte queste misure sono già state dichiarate costituzionali (Sentenza Corte costituzionale 2019/242), dunque ammissibili e lecite. Quindi, come ricorda Roberto Bagnasco (FI), “la legge sul biotestamento consente già di fare quasi tutto” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021).

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

 
03

Il disegno di legge preserva il diritto alla vita e non introduce il diritto di morte

FAVOREVOLE

Il disegno di legge approvato dalla Camera non solo trova l’appoggio della Corte costituzionale, perché in grado di preservare il diritto alla vita, ma è anche in grado di evitare di istituire un diritto alla morte opponendosi all’eutanasia. Infatti, con la sentenza 242/2019, la Corte costituzionale ha chiarito che l’aiuto al suicidio non è punibile nel caso in cui la persona che lo richiede sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (Sentenza Corte costituzionale 2019/242). Inoltre, il dibattito parlamentare ha ritenuto particolarmente importante ribadire che il tema centrale della legge è proprio la tutela del diritto alla vita (art. 2 della Costituzione).

Incostituzionale, invece, era il quesito referendario che andava ad agire non sull’art. 580 C.p. (sull’aiuto al suicidio), ma sull’art. 579 (Omicidio del consenziente, Codice penale art. 579). In merito alla proposta di referendum, infatti, la corte si era espressa così: “È inammissibile la richiesta di referendum sull’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (Omicidio del consenziente) poiché, rendendo lecito l’omicidio di chiunque abbia prestato a tal fine un valido consenso, priva la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione” (Inammissibile il quesito sull’omicidio del consenziente: non assicura la tutela minima del diritto alla vita, Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, comunicato del 2 marzo 2022). Insomma: esso avrebbe reso lecita l’uccisione di una persona con il suo consenso al di fuori di tre casi (la minore età, l’infermità mentale o psicologica e l’estorsione del consenso) (Mario Romano, Eutanasia legale e referendum: le ragioni dell’inammissibilità, “Sistema Penale”, 25 gennaio 2022). Il risultato sarebbe stata la piena disponibilità della vita e il diritto di morire (non la tutela del diritto alla vita)(Sentenza Corte costituzionale 2022/50).

Il quesito del referendum e la proposta di legge, dunque, intervengono su aspetti differenti. Il referendum riguardava la non punibilità del medico che somministra attivamente un farmaco letale e dunque la fattispecie di “omicidio”; mentre, il secondo consente il suicido assistito sulla base dei presupposti della Corte costituzionale.

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

 

 
04

Il disegno di legge apre la strada all’introduzione di un diritto di morte nel nostro paese

CONTRARIO

Seppur nel disegno di legge non siano presenti espliciti riferimenti a un diritto di morte, esso apre la porta all’ingresso dell’eutanasia nel nostro ordinamento giuridico. Roberto Bagnasco (FI), infatti, afferma “questa legge introduce, per la prima volta nel nostro ordinamento, il favor mortis invece del favor vitae”. “Nel caso di una legge come questa, oltre al merito del testo in esame, vanno valutate, a mente fredda, la visione di uomo e di società, che ne viene fuori [...] vogliamo che si affermi una concezione in base alla quale è preferibile eliminare il sofferente invece di mettere in atto ogni tentativo reso possibile dalla scienza e dalla coscienza dei medici per eliminare la sofferenza? Preferiamo l'autodeterminazione della disperazione o vogliamo potenziare, con adeguato supporto medico e psicologico, la vera libertà di scelta per la persona malata e per i suoi familiari? [...] In una società che invecchia, come la nostra, il rischio è che l'eutanasia - e dico cose molto gravi, purtroppo - serva non per alleviare le sofferenze ma per alleggerire i bilanci pubblici. Questa è l'estrema conseguenza; mi auguro che non ci arriveremo mai, ma le preoccupazioni evidentemente non possono non esserci” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021). Si tratterebbe quindi di una legge che va nella direzione della “cultura dello scarto” e dell’“eliminazione del sofferente”. In accordo con questa linea, si è pronunciato anche Papa Francesco ricordando che: “la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”; “Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio” (Benedetta Capelli, Dicastero Famiglia e Vita: l’eutanasia non è una forma di solidarietà sociale, “Vatican News”, 11 febbraio 2022).

Inoltre, Maria Carolina Varchi (FDI) richiama l’attenzione sulla complessità del tema: “non si possono mettere sullo stesso piano i familiari di chi soffre, i familiari conviventi che assistono per lo più impotenti alle indicibili sofferenze di un proprio congiunto, alle cosiddette ‘cliniche exit’, che fanno del suicidio assistito la propria principale attività e, ovviamente, non si può paragonare una situazione personale, intima, familiare con un giro di affari, con una attività imprenditoriale.” “Noi riteniamo che questo sia un precedente pericoloso, non perché abbiamo la palla di vetro, ma perché semplicemente basta effettuare un'osservazione di natura comparatistica con gli ordinamenti in cui questo tipo di leggi già sono in vigore per vedere come il piano inclinato che si apre consenta lo scivolamento pericoloso verso una concezione della vita come bene disponibile, una concezione della vita intesa come un bene rispetto al quale si possano fare valutazioni di priorità per la difesa dello stesso”. “Il nostro ordinamento, a partire dal suo pilastro principale, che è la Costituzione, è improntato al favor vitae. Non troveremo mai tra i principi cardine del nostro ordinamento un principio che vada nella direzione del favor mortis e questo è secondo me un dato che il legislatore in questa fase sta trascurando, discostandosi quindi da quello che dovrebbe essere l'obiettivo principale” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021).

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

 
05

Un diritto in più contro la sofferenza

FAVOREVOLE

Compito della legge è quello di garantire libertà e autonomia preservando i diritti. Questa legge non andrebbe a intaccare l’attuale legislazione, ma ne rappresenta una significativa integrazione verso l’autonomia di chi soffre. Troppo spesso, infatti, non è il paziente a scegliere, ma sono altri per lui: “Le decisioni di fine vita sono decisioni personalissime e, in quanto tali, devono essere prese con la massima libertà dalla persona per sé stessa” (Fine vita, eutanasia e testamento biologico, “associazionelucacoscioni.it”, consultato il 9 giugno 2022). Nicola Stumpo (LEU), infatti ritiene che il ddl debba procedere perché è giusto mettere tutti in condizione di poter scegliere nel caso di malattie terminali per cui la scienza non ha soluzioni. Questo non autorizza a dimenticare tutte le altre possibilità: “Le cure palliative devono essere parte della sanità di tutto il Paese; non dobbiamo continuare a dire che esistono sacche di territorio in cui non ci sono le cure palliative; le cure palliative non sono in contrapposizione, ma sono uno dei percorsi” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021). La legge è quindi una possibilità in più che non sottrae alcun diritto. Secondo Lucia Annibali (IV), infatti, al malato va comunque assicurato il massimo ascolto e l’assistenza necessaria: “Con la legge oggi in discussione abbiamo cercato, dunque, di dare una disciplina organica alla morte volontaria medicalmente assistita, muovendoci all'interno del perimetro tracciato dalla Corte, senza prevedere in alcun modo trattamenti eutanasici. Deve essere chiaro che al malato va assicurato il massimo ascolto e tutta l'assistenza necessaria e che il suo non dovrà essere un gesto disperato di chi si sente abbandonato, bensì il frutto di una decisione che matura dentro un percorso di cura, nell'ambito del quale vengono prospettate al malato le alternative possibili, dove si accerta che non vi siano condizionamenti o abusi che facciano leva sul suo stato di vulnerabilità; un percorso che ha anche l'obiettivo di rimuovere le incertezze e i timori dei diversi soggetti coinvolti nel procedimento, evitando inerzie e ritardi di fronte a situazioni dolorose e cariche di sofferenza, come quelle contemplate nel testo normativo” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021). 

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

 
06

Il disegno di legge è sbrigativo e potenzialmente discriminatorio

CONTRARIO

Questa legge, che si propone di rendere legale il suicidio medicalmente assistito in Italia non sarebbe un progresso, ma addirittura sarebbe discriminatoria. Doriana Sarli (Misto M-PP-RCSE) afferma, infatti, “in questa legge ci sono numerose discriminazioni: un malato estremamente grave che non è in grado di iniettarsi da solo la sostanza letale è escluso dal percorso di questa normativa, perché questa legge prevede solo l'autonomia del soggetto per potersi iniettare la sostanza letale. Si prevede che il paziente sia collegato a mezzi di sostegno vitale e noi sappiamo che ci sono condizioni di patologie gravi e irreversibili, fonti di sofferenze insostenibili, che non sono legate a mezzi di sostegno vitale. Ci sono persone che vivono dipendenti da terzi e da farmaci e condizioni cliniche che, comunque, pongono il paziente in una condizione per cui lui non reputa più dignitosa la sua vita” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021). 

Inoltre, Maria Carolina Varchi (FDI) afferma: “Io non sono convinta che l'approvazione di questa legge, oggi, segni un progresso [...] questa è la legge del fallimento di uno Stato che da anni approva una legge sulle cure palliative e, ancora oggi, non ha la forza economica di sostenerle” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021).

Dello stesso avviso è l’associazione Luca Coscioni, promotrice della proposta di referendum recentemente respinta dalla Corte costituzionale: “Ciò che più colpisce nel testo in discussione è la discriminazione che il Parlamento crea nei confronti delle persone malate. Se il testo passasse sarebbe infatti possibile fare richiesta di assistenza medica al suicidio solamente a persone con autonomia fisica, ma non a chi ha ormai perso qualsiasi possibilità di mobilità, pur rimanendo perfettamente capace di intendere e volere. [...] Ulteriore discriminazione riguarda tutte quelle persone che, pur malate di patologie irreversibili e portatrici di gravi sofferenze ritenute intollerabili (pensiamo a un terribile cancro non più curabile), non sono collegate a macchinari o non necessitano di trattamenti sanitari per continuare a respirare, nutrirsi o idratarsi”. Più che di progresso dei diritti sembra quindi possibile parlare di “un irragionevole arretramento dei diritti oggi faticosamente conquistati grazie a chi ha deciso di rendere pubblica la propria storia” (Matteo Mainardi, Suicidio assistito: i problemi della legge in discussione, “associazionelucacoscioni.it”, 9 dicembre 2021).

Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022

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