Il reddito di cittadinanza rafforza il potere contrattuale dei lavoratori, al punto che si potrà arrivare all’emancipazione dal lavoro

Il reddito di cittadinanza rafforza il potere contrattuale del lavoratore

L’economista Andrea Fumagalli, nell'articolo Dieci tesi sul reddito di cittadinanza (Settembre 1998), reperibile sul sito “ecn.org”, afferma che “Permettere una maggior disponibilità di reddito in un ambito di contrattazione individuale porta ad un maggior potere contrattuale perché meno dipendenti dal ricatto del bisogno e quindi più possibilità di incidere almeno parzialmente sulle proprie condizioni di lavoro (in primo luogo, il tempo di lavoro)”. Questa tesi viene portata avanti anche dal Movimento 5 Stelle, che considera il reddito di cittadinanza “la priorità del Paese”, “liberando i cittadini dal ricatto del lavoro sottopagato, dalle clientele e dalla mafia”( #Marcia5Stelle per il Reddito di Cittadinanza, prima tappa: Bolzano, Il Blog di Beppe Grillo, 25 aprile 2015).

E’ l’ora di emanciparsi dal lavoro

In occasione della festa del lavoro del primo maggio 2017, l’associazione Basic Income Network afferma che proprio il reddito di base dia nuova forza contrattuale ai lavoratori per dire no ai lavori sottopagati. “Questo è il secolo dell’emancipazione tecnologica dal lavoro stesso. La disoccupazione non è qualcosa da temere. È qualcosa di benvenuto. Senza reddito di base, il 1 ° maggio celebriamo il giorno del lavoro umano. Con reddito di base, domani celebriamo il giorno del lavoro della macchina”. (1 maggio 2017: un reddito di base diritto fondamentale, Bin Italia, 1 maggio 2017).

I primi frutti dell’esperimento finlandese

Sul sito “Basic income Network”, Francesca Bria riporta un primo bilancio positivo dell’esperimento di reddito di base promosso in Finlandia, i cui destinatari (2000 persone) ricevono 560 euro al mese senza l’obbligo di ricercare lavoro o di giustificare come viene speso il denaro. Secondo Marjukka Turunen dell’agenzia di assicurazione sociale finlandese, la misura riduce lo stress da disoccupazione dei cittadini, che non temono più la sottrazione del sussidio.

 

Mercato del lavoro funzionante, e non reddito di cittadinanza

In un'intervista realizzata da Anna Guida (Pietro Ichino: il reddito minimo può funzionare solo a certe condizioni “repubblicadeglistagisti.it”, 27 marzo 2013), alla domanda: “Non pensa che l’introduzione del reddito minimo garantito avrebbe conseguenze positive, cioè al rialzo, sulle retribuzioni offerte dai datori di lavoro, soprattutto nel caso dei lavoratori atipici? Non crede cioè che renderebbe i lavoratori (specie precari) meno ricattabili e finalmente non più 'disposti a tutto'?” Pietro Ichino, giurista, giornalista e Senatore del Partito Democratico, risponde con un netto No: “la protezione contro i possibili abusi dei datori di lavoro non può essere questa. La vera protezione più efficace dovrebbe essere data da un mercato del lavoro funzionante bene, con buoni servizi di assistenza intensiva e di formazione mirata agli sbocchi occupazionali esistenti, che consenta a qualsiasi lavoratore di andarsene dall’azienda in cui è trattato male perché ce ne è un’altra che valorizza meglio il suo lavoro. Insomma, un mercato del lavoro che funziona bene vale molto di più di un reddito minimo per garantire il buon trattamento dei lavoratori”.

Il reddito minimo garantito sottrae risorse alle casse integrazioni in deroga

Anche Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl, ha dichiarato, secondo quanto riportato dal sito “affariitaliani.it”, che “l’ipotesi di inserire nella legge di stabilità un provvedimento sul reddito minimo garantito è la solita discussione per toglier molte casse integrazioni, soprattutto quelle in deroga” (Paolo Fiore, Ichino ad Affari: "Reddito minimo e contratti di ricollocazione. Dalla cig effetti rovinosi", “Affariitaliani.it”, 7 ottobre 2013).

Ridare valore al lavoro e ridisegnare il welfare, senza soluzioni semplicistiche

Francesco Luccisano e Stefano Zorzi su “linkiesta.it” sottolineano l’entusiasmo delle imprese high-tech per il reddito di cittadinanza, che in verità denota una “accettazione frettolosa di una “fine del lavoro” catartica e liberatoria. In California, insomma, si comincia a credere che possa esistere un mercato senza lavoro” (Francesco Luccisano, Stefano Zorzi, Parliamo di reddito di cittadinanza perché non crediamo nel futuro del lavoro, “linkiesta.it”, 6 settembre 2016). Il lavoro sta perdendo valore a favore delle rendite finanziarie e degli algoritmi, però rinunciarvi completamente significherebbe annullare il miglior strumento di mobilità sociale che l’umanità abbia sperimentato. Bisognerebbe invece ridare valore al lavoro, comprendendone le mutazioni e adattando le politiche di welfare al nuovo contesto socio-economico. Alcuni interventi possibili riguardano la detassazione del lavoro, un efficace coordinamento tra scuola e lavoro e sussidi di disoccupazione flessibili.

Un’alternativa statalista al reddito di cittadinanza

Il giornalista esperto di economia Paolo Barnard, al posto del reddito di cittadinanza, propone un programma di Piena Occupazione Transitorio a spese dello stato, che consista nell’assunzione di tutti i disoccupati italiani ad un reddito di poco inferiore a quello medio del settore privato, con lo scopo di sostenere il PIL. “La differenza fra questi redditi e lo sciocco reddito di cittadinanza del M5S è che con i programmi di Piena Occupazione si prendono tre piccioni con una fava: si evitano rischi inflattivi; si alza il PIL pro-capite senza macrosbilanciamenti, con la possibilità cioè di modulare la spesa pubblica sempre ottimizzando la capacity del Paese; e si alzano i redditi per tutti, gettando una soglia sotto la quale il settore privato non può più tentare di trascinarci (cosa che invece col reddito di cittadinanza farà di certo)” (Paolo Barnard, Tutti esperti, da dietro il pc. Precisazione per intelligenti, paolobarnard.info).