Giornalisti e hacker sostengono l’attività di WikiLeaks e ne evidenziano l’importanza

In questi anni, sui social network, si sono scatenati accesi dibattiti, soprattutto dopo l’arresto di Julian Assange, considerata una forma di persecuzione nei confronti dell’attività di WikiLeaks. Il fondatore dell’organizzazione nasce come hacker e mette a disposizione la sua abilità per il bene dell’umanità e per far emergere la verità. Il suo ruolo è riconosciuto su più fronti, in primis sui social, dove sono nati diversi gruppi in suo favore come “Don’t touch Mr. Julian Assange” che ad oggi conta migliaia di iscritti.

In generale, gli utenti riconosco a WikiLeaks la capacità di scovare i segreti e le storture del sistema. “Discredito della politica internazionale, della finanza globale, sono tali che chiunque interpreti la parte dello smantellatore gode di molta popolarità sul social network. ‘AffariItaliani.it’ ha appena pubblicato un sondaggio che ha chiesto agli italiani cosa pensa di Assange, e la vittoria dei favorevoli è schiacciante: per il 65% la pubblicazione deve andare avanti” (Marco Viviani, Facebook si divide: pro e contro Julian Assange e Wikileaks, “webnews.it”, 3 dicembre 2010).

WikiLeaks si configura come un ibrido e ci si chiede se l’attività sia giornalistica o una mera raccolta di fonti, captate dagli informatori più disparati. “Wikileaks non fa giornalismo e non va confuso con le operazioni del tipo ‘gola profonda’. Mi spiego: qui abbiamo un data base pubblicato senza filtri particolari né selezioni. L’esposizione in pubblico di contenuti con gradi di segretezza – e privatezza – diversi. Non è solo il rendere trasparente la comunicazione diplomatica, cioè ciò che per sua natura e linguaggio è ufficialmente non trasparente. Ma più in profondità siamo di fronte ad un metodo che propone di, anche radicalmente, di fondare sulla trasparenza i contenuti a partire dall’impossibilità costitutiva di tenere celati quei contenuti che hanno lo statuto del digitale” (Giovanni Boccia Artieri, Quer pasticciaccio brutto via WikiLeaks, “mediamondo.wordpress.com”, 30 novembre 2010).

Un dibattito che coinvolge ogni parte del globo, con un filo comune, volto a sottolineare l’estremo coraggio dell’organizzazione: “Negli ultimi anni l'informazione, le notizie, il nostro lavoro si sono fatti sempre più difficili a causa dell'opacità, della mancanza di trasparenza, del gusto per la segretezza e della crescente capacità di manipolazione dei dati mostrata da organismi pubblici e privati. L'apparizione di Wikileaks ha cambiato tutto.” (Soledad Gallego-Díaz, Información transparente contra el secretismo de los Gobiernos, “internacional.elpais.com”, 28 novembre 2010).

“La differenza sta nel fatto che i mezzi d’informazione tradizionali fanno parte di un contesto imprenditoriale e politico soggetto a delle pressioni. Internet è più libera. La rete è protetta dal principio costituzionale della libertà di espressione, e i giornalisti dovrebbero difendere Wikileaks, perché i prossimi a essere attaccati potrebbero essere loro” (Ernesto Belisario, Wikileaks fa bene o male all’open government?, “apogeonline.com”, 13 gennaio 2011).

Come già detto, anche il mondo degli hacker sostiene l’operato di Wikileaks. Anonymous, gruppo molto potente, all’epoca ha preso di mira Paypal, Amazon e le poste svizzere, per aver bloccato le donazioni, unica forma di sostentamento del sito. Anche Visa e Mastercard, hanno sospeso i bonifici su pressione degli Stati Uniti che accusavano Assange di spionaggio. Twitter ha imposto un blocco ai sostenitori di Wikileaks, "Operation Payback". Emblematica la vicenda di Sarah Palin, la repubblicana che si è fatta riprendere mentre uccideva un caribù in una battuta di caccia. Il documento preso da Wikileaks ha innescato le reazioni degli hacker animalisti.

“Questa è una guerra di dati, stiamo cercando di tenere internet aperto e libero per tutti, proprio come internet è sempre stato'', ha detto alla BBC un portavoce di ‘Anonymous', un uomo dall'accento britannico che si fa chiamare Coldblood. ‘Alcuni dei nostri obiettivi sono Amazon, Mastercard, Visa e PayPal’, ha aggiunto l'hacker. Parlando in chat con giornalisti della agenzia AFP, gli hacker pro-Assange hanno raccontato di aver iniziato gli attacchi del tipo denial of service (DDoS), ovvero il bombardamento di richieste verso un sito che ne provoca il blocco, con solo 50 utenti, ma che oggi la squadra ha raggiunto quota 4mila. ‘Li reclutiamo attraverso internet, il che significa dovunque: forum, Facebook, Twitter... fai un nome e vedrai che noi lo usiamo’” (Wikileaks, il web si divide nella guerra pro e contro Assange, “tg1.rai.it”, 9 dicembre 2010).

Si va verso una trasparenza totale, agevolata dalle nuove normative e dalle nuove tecnologie. Un ruolo fondamentale è ricoperto anche dai social con la loro velocità di diffusione dei messaggi e dai cittadini che sono sempre più curiosi di conoscere le dinamiche che si nascondono nei palazzi del potere. Se i Governi continueranno a custodire gelosamente le informazioni relative al proprio operato, fenomeni come quello di WikiLeaks non rimarranno isolati; al contrario, se le Amministrazioni si apriranno realmente, consentendo ai cittadini di verificare quello che fanno è verosimile che saranno apprezzate per quello che di buono hanno fatto e che saranno giustificate per gli errori, accrescendo fiducia e credibilità nelle istituzioni.

“Siamo entrati in una nuova fase della comunicazione politica. Non tanto perché sono stati rivelati segreti o pettegolezzi, quanto per la loro diffusione attraverso un canale che sfugge al controllo degli apparati” (Manuel Castells, La ciberguerra di Wikileaks, “internazionale.it”, 16 dicembre 2010).

La maggior parte dei media però, odia WikiLeaks, perché sovverte un modo di propinare la notizia, antico e superato. Per il grande giornalismo Wikileaks è un valore aggiunto, per il giornalismo in genere può rappresentare un ostacolo. La piattaforma ha scelto da sempre di passare dati e informazioni, infatti, solo alle grandi testate internazionali.

“La seconda reazione pavloviana del sistema mediatico rintracciabile nei commenti di questi giorni è un corale: chi c’è dietro Wikileaks? Lo hanno scritto tutti, ancora una volta con qualche patetica preoccupazione per il destino democratico del pianeta. Evidentemente l’ipotesi che ci siano soggetti animati da sentimenti di altruismo e trasparenza non appartiene più nemmeno all’orizzonte del possibile. Dal punto di vista dei cittadini lettori di giornali la medesima domanda poteva essere applicata fino a ieri ai giornali stessi, con gli stessi angosciosi dubbi. Fidarsi di Wikileaks o del Wall Street Journal? Il candidato argomenti a piacere” (Massimo Mantellini, Perché i giornalisti odiano Wikileaks, “mantellini.it”, 29 novembre 2010).

I cittadini si risvegliano e si fanno domande, vogliono sentirsi coinvolti e questo può destabilizzare il potere. “Paesi attenti al controllo dell'informazione come la Cina potrebbero temere anche solo l'eco delle divulgazioni di Wikileaks possa spingere i suoi cittadini a farsi domande pericolose; l'Australia ha detto di star pensando se avviare procedure penali nei confronti dei responsabili delle divulgazioni (Assange ha passaporto aussie); Washington, invece, continua a condannare l'operato del sito, in quanto metterebbe in pericolo le vite dei diplomatici: il presidente dell'House Homeland Security Committee, Peter King, ha chiesto anche che Wikileaks fosse identificata ufficialmente come ‘organizzazione terroristica’ e di ‘processare Assange per spionaggio’” (Wikileaks uguale terrorismo 2.0?, “punto-informatico.it”, 29 novembre 2010).

Claudio Alessandro Colombrita, 12 aprile 2017

L’opinione pubblica, i social network, gli hacker e i cittadini si dividono profondamente sul giudizio su Wikileaks.  Si parla tanto di risultati clamorosi, di dati top secret, di conquiste democratiche ma la realtà mostra altro. Si tende a gonfiare un fenomeno di portata ben più ridotta. “Le prime letture concordano: nessuno dei 250mila e passa file usciti dal sacco di Wikileaks sembra essere, al momento, top secret. E' un'immensa mole di rapporti e dispacci che mette in seria difficoltà i suoi autori, i membri del corpo diplomatico Usa, e rischia di pregiudicare politiche e rapporti internazionali, oltre a distruggere molte reputazioni. Ma nessuna trama segreta, finora, ci è stata rivelata” (Davide Orecchio, Wikileaks, la diplomazia resta nuda, “rassegna.it”, 29 novembre 2010).

“La diplomazia è stata messa a nudo. La violazione senza precedenti e dalle conseguenze ancora incalcolabili della segretezza mette a rischio il funzionamento stesso della politica estera, se i diplomatici non possono più esprimere la loro opinione. Quegli stessi funzionari che indossano sorrisi e cravatte ma che poi, dimessi gli abiti di rappresentanza, devono scrivere corrispondenze dure e senza peli sulla lingua alle loro capitali” (Nicolas Richter, Gefährliches Geschwätz, “sueddeutsche.de”, 29 novembre 2010).

Un tornado solo in apparenza, come confermato da Edward Luttwak, consulente del Dipartimento di Stato americano: “La bomba-Wikileaks esplodendo si trasformerà in un palloncino. I documenti diffusi sono segreti d'ufficio e non veri segreti. Verranno svelati molti segreti di Pulcinella. Su tutte le comunicazioni tra le ambasciate e il Dipartimento di Stato, c'è stampigliato 'secret', ma segreta è la comunicazione, mentre molto spesso il contenuto non lo è. O meglio non è un vero e proprio segreto, ma un segreto d'ufficio. È frutto della lettura dei giornali del Paese, di incontri con giornalisti, con funzionari statali, con personalità politiche nessuno dei quali rivela informazioni segrete, ma piuttosto fornisce le sue valutazioni su questo e su quello". (I veri segreti non vengono scritti ma è da ingenui confidarsi nella sauna, “ilsussidiario.net”, 29 novembre 2010). WikiLeaks sfrutta l’effetto sorpresa, smuove le acque ma poi, andando a fondo, si scopre che non ha nulla di concreto.

Vincent Cannistraro, ex responsabile dell'Intelligence per il Consiglio per la sicurezza nazionale Usa e capo dell'antiterrorismo della Cia, spiega a “Il Messaggero” “Le rivelazioni non sono veramente segrete perché le informazioni realmente top secret passano su diversi canali, e sono poche decine. Ogni messaggio spesso arriva a centinaia di destinatari. Possono essere dispacci imbarazzanti per il candore con cui descrivono un capo di governo, ma stiamo scoprendo l'acqua calda". (Vincent Cannistraro, “pressreader.com”, 29 novembre 2010).

Uno studio condotto da Elizabeth Blanks Hindman (Washington State University) e Ryan J. Thomas (University of Missour-Columbia) ha analizzato il modo di rapportarsi a WikiLeaks dei giornali e ha evidenziato un risultato sorprendente. La piattaforma viene vista con sospetto e non viene riconosciuta come fonte giornalistica, anche perché il giornalismo tradizionale è il solo e unico rappresentante dell’interesse pubblico.

Gli editoriali dei giornali principali hanno preso tutti le distanze da WikiLeaks, sostenendo che certe informazioni dovrebbero essere mantenute nell’alveo della segretezza, difendendo la realpolitik della sicurezza nazionale. WikiLeaks è complessivamente rappresentata come incauta e accusata di agire senza alcun riguardo per le conseguenze delle sue azioni. (Philip di Salvo, I primi 10 anni di WikiLeaks, “wired.it” , 4 ottobre 2016).

Sul fronte hacker, non è vero che tutti siano schierati dalla parte di Assange e soci. Esistono diversi nemici. A fare le spese del primo attacco coordinato è stato il server del quotidiano libanese al-Akhbar che aveva pubblicato documenti riservati. “Dai siti sensibili della pubblica amministrazione a quelli delle grandi multinazionali, ai grandi monopoli bancari, quest'ultimi tra l'altro prossime vittime di Wikileaks, come annunciato da Julian Assange. Insomma una battaglia che si gioca in rete e che potrebbe alla fine destabilizzare un sistema su cui poggiano gran parte delle informazioni sensibili” (Alessandro Ambrosin, Wikileaks. E' guerra informatica tra hacker pro e contro Assange, “dazebaonews.it”, 9 dicembre 2010).

WikiLeaks è un calderone che non fa distinzioni, non ha capacità di discernimento, mescola dati e informazioni sensibili a semplici confidenze e non si sostituisce in alcun modo al giornalismo tradizionale, unico paladino dell’interesse pubblico. Un numero sorprendente di editoriali analizzati ha preso apertamente le distanze da WikiLeaks, sostenendo che certe informazioni dovrebbero essere mantenute nell’alveo della segretezza, difendendo la realpolitik della sicurezza nazionale.

Non ci sono contesti, scelte editoriali, c’è una bulimia di diffusione che rischia di essere dannosa per tutti. “Dirò qualcosa di impopolare, lo so, ma a me l’idea di Wikileaks di rendere pubbliche 250.000 “conversazioni private” non è piaciuta per nulla. Trovo la cosa fallimentare e pericolosa, e spiego subito il perché: Nessun utente medio è in grado di leggere/capire/giudicare appieno documenti che parlano di politica internazionale, di rapporti tra ambasciate e consolati, di mosse diplomatiche fra paesi amici/nemici. Non parliamo poi dell’italiano medio, dell’homo televisivus per eccellenza, tutto preso fra calcio e veline, fra Grande Fratello e Ruby Rubacuori.

E allora, a predigerire i contenuti dell’immensa mole di file per poi darli in pasto all’uomo della strada, ci pensa la figura del giornalista. Peccato che sia quasi sempre un personaggio schierato, da una parte o dall’altra, che trova il massimo gusto nel calcare la mano sugli aspetti pruriginosi o semplicemente futili di questo o quell’uomo politico: basta leggere gli ultimi titoli dei vari quotidiani nazionali ed internazionali per capire di cosa sto parlando. 

Eccoci quindi al paradosso: Wikileaks nasce per liberare l’informazione, per far sapere ai piccoli le cose che i grandi vogliono tenere nascoste. Nasce all’insegna della trasparenza, della giustizia, dell’etica, della democrazia. Ma Wikileaks fallisce proprio nel non filtrare la montagna di dati in suo possesso, delegando alla funzione di filtro coloro che quotidianamente manipolano l’informazione” (Wikileaks e il paradosso dell’informazione, “blog.tagliaerbe.com”, 29 novembre 2010).