L’austerità porta ad un aumento delle disuguaglianze e del malessere sociale

La distinzione tra disuguaglianza positiva e negativa

“La disuguaglianza non è un problema in sé, ma che è un sintomo di altri problemi. E infatti, molte discussioni sulla disuguaglianza vanno in questa direzione. Ci sono tanti tipi diversi di disuguaglianza, e tanti diversi meccanismi all’opera. È un errore raggrupparli tutti assieme, e affrontare il sintomo comune, ‘disuguaglianza’, senza attaccare i problemi. È come dire che ‘la febbre è un problema. Quindi dedichiamoci alla riduzione della febbre’". L’economista John Cochrane, nell’articolo “Come e perché preoccuparsi della disuguaglianza” pubblicato sul sito “noisefromamerika.org” il 15 dicembre 2014, invita così a distinguere i vari tipi di disuguaglianza. Esiste una disuguaglianza positiva, come nel caso di Steve Jobs che, fondando Apple, ne trae un forte beneficio economico personale. E’ lecito arricchirsi, anche molto, per le proprie capacità e per i propri meriti personali. Per aumentare l'uguaglianza è necessario sacrificare l'efficienza economica, poiché gli elevati guadagni incentivano gli individui a lavorare sodo e innovare. Nel modello comunista, l’egualitarismo ha condotto al fallimento economico, in assenza di incentivi nella creazione di ricchezza e innovazione. D’altro canto, negli ultimi anni ci sono varie disuguaglianze che si sono ridotte: basti pensare alla disparità dei redditi tra uomini e donne, oppure la disuguaglianza tra paesi nel mondo.

Ciò che interessa è la lotta alla povertà e non la disuguaglianza economica, sostiene l’economista Deirdre McCloskey dell’Università dell’Illinois: “Gli strati sociali più bassi oggi possono condurre una vita migliore rispetto a quella di due o tre generazioni fa se comparata a quella dei ricchi. Il gap nei consumi si è radicalmente ridotto", continua McCloskey (Lorenzo Castellani, Il Capitalismo ci ha offerto "un grande pasto gratis", dice McCloskey, “Istituto Bruno Leoni”, 23 settembre 2015). Gli attuali poveri possono accedere a un paniere di beni molto maggiore rispetto al passato, probabilmente superiore persino a quello di cui potevano disporre i benestanti del passato. D’altro canto, Le disuguaglianze negative esistono: esse derivano dalle rendite di posizione e da una visione distorta e familistica del capitalismo: “L’utilizzo del potere statale per procurare ricchezza e privilegi a sé e ai propri colleghi e familiari, sono problemi enormi; problemi che non stanno foraggiando soltanto la disuguaglianza, ma anche la povertà, la miseria, l’assenza di crescita” (John Cochrane, “Come e perché preoccuparsi della disuguaglianza”, “noisefromamerika.org”, 15 dicembre 2014). Esattamente ciò che è avvenuto nei cosiddetti PIIGS, e che li ha resi più vulnerabili alle turbolenze economico-finanziarie degli ultimi anni: "I privilegi sono propri del feudalesimo e non del capitalismo", sottolinea McCloskey. Il capitalismo "è il più grande marchingegno per la lotta alla povertà che sia mai stato creato. Perciò dobbiamo essere contro la retorica dell'eguaglianza e dalla parte della concorrenza" (Lorenzo Castellani, Il Capitalismo ci ha offerto "un grande pasto gratis", dice McCloskey, “Istituto Bruno Leoni”, 23 settembre 2015). Il capitalismo poco competitivo, imperfetto e statalista dei paesi mediterranei, ha creato i prerequisiti della crisi economica, oltre all’accumulo di debito pubblico (in Italia e Grecia) o privato (in Spagna e Irlanda). Le politiche di austerità hanno cercato di correggere la rotta, limitando solo nel breve periodo il reddito disponibile delle famiglie, allo scopo di salvare i conti pubblici e rilanciare l’economia. Se tali politiche non fossero state implementate, si sarebbe verificato un impoverimento ancora maggiore, e la speculazione finanziaria avrebbe colpito i paesi mediterranei in maniera ancor più accentuata, causandone un probabile default. In Irlanda l’austerità ha già portato i suoi frutti, e secondo l’indice di Gini la disuguaglianza è rimasta stabile tra il 2008 e il 2013 (Michael Savage, Tim Callan, Brian Nolan, Brian Colgan, The Great Recession, Austerity and Inequality: Evidence from Ireland, “ESRI Working Paper” No 499, aprile 2015). La crescita economica nel 2015 ha raggiunto il 7%, grazie al taglio della spesa pubblica improduttiva e alla capacità del governo di attrarre investimenti esteri.

Alcuni dati sulle disuguaglianze

Il coefficiente di Gini, concepito dallo statistico Corrado Gini, serve a misurare la disuguaglianza, in particolare nella distribuzione del reddito e della ricchezza (Corrado Gini, Variabilità e mutabilità, Paolo Cuppin, 1912). Esso consiste in una scala da 0 a 1, con lo zero che indica la massima uguaglianza e 1 la massima disuguaglianza. Nel 2011 i paesi europei più colpiti dalla crisi (e anche dalle misure di austerità) hanno registrato un indice più elevato: come Spagna (0,34), Portogallo (0,342) e Grecia (0,336). In Italia l’indice ammonta a 0,319, dunque meglio dei paesi sopracitati ma comunque sopra la media dei 28 paesi UE. Su “Lavoce.info”, gli autori Baldini, Giarda e Olivieri registrano un’impennata tra il 2010 e il 2012 della percentuale di individui in povertà relativa, ossia di persone che non riescono a fruire di beni e servizi relativamente allo standard medio di vita del paese. In Italia l’aumento della disuguaglianza si verifica a partire dal 2008, colpendo in particolare i redditi bassi. Secondo i dati del rapporto X dell’Istat, la quota di popolazione a rischio povertà è superiore rispetto alla media UE in Italia, Spagna e Grecia. In Italia nel 2011 è cresciuto notevolmente l’indicatore di grave deprivazione, passando dal 6,9% all’11,1%. In quell’anno sono aumentate le famiglie che non erano in grado di sostenere spese impreviste, di permettersi un pasto proteico ogni due giorni oppure di riscaldare adeguatamente le proprie abitazioni. Parallelamente, “l’aumento della diffusione della grave deprivazione si accompagna all’incremento del 15,3% del 2010 al 18,8% del 2011 della quota di persone in famiglie che ricevono aiuti (in denaro o in natura) da parenti non coabitanti, amici, istituzioni, o altri” (Rapporto BES: 6,7 mln di persone in difficoltà, “helpconsumatori.it”, 11 marzo 2013). Le maggiori disuguaglianze in Italia sono state registrate dall’ISTAT nel 2010 nelle regioni meridionali, con in testa Sicilia, Campania e Calabria, esattamente le regioni maggiormente colpite dalla crisi. “Inoltre, anche il rischio di povertà e quello di deprivazione mostrano evidenti segnali di peggioramento tra il 2010 e il 2011” (Ibidem).

Il ruolo dell’austerità nell’aumento delle disuguaglianze e della povertà

In generale in tutta Italia l’anno 2012 coincide con un maggiore ricorso all’indebitamento. Tale inasprimento della condizione economica delle famiglie italiane coincide temporalmente con la permanenza di Mario Monti al governo. Si ipotizza dunque che le politiche di austerità approvate dal suo governo abbiano condotto ad un’ulteriore crescita delle disuguaglianze, soprattutto al sud Italia. Anche nel resto d’Europa le politiche di austerità hanno avuto gli stessi effetti. L’economista Joseph E. Stiglitz sostiene che le politiche di austerità hanno gravemente danneggiato il modello sociale europeo, portando ad un aumento delle disuguaglianze e della disoccupazione, e anche ad un abbassamento dei salari. Le crescenti disuguaglianze “contribuiscono inutilmente alla sofferenza dei disoccupati e dei poveri per molti anni” (Oxfam: Le misure di austerity in Europa potrebbero creare 25 milioni di nuovi poveri entro il 2025, “eunews.it”, 12 settembre 2013).

Un paper degli studiosi Savage, Callan, Nolan e Colgan mette in luce la correlazione tra austerità e aumento delle disuguaglianze, prendendo in esame il caso dell’Irlanda. L’Irlanda viene spesso citato come caso di successo delle politiche di austerità, uscendo dal programma di salvataggio europeo e registrando un’ottima crescita economica (al 7% nel 2015). Benché l’indice di Gini sia rimasto tendenzialmente stabile tra il 2008 e il 2013, la ricerca mostra come il 10% della popolazione più povero abbia subito un calo del 20% del proprio reddito reale, rispetto al calo del 13% subito dalla media della popolazione. Attualmente circa il 30% della popolazione si trova in una situazione di forte deprivazione. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, tra il 2000 e il 2007 il dato era stabile tra il 4 e il 5%, mentre nel 2011 raggiunse il 15%. Per quanto l’Irlanda si trovi in una fase di crescita economica, a fine febbraio il partito del primo ministro di centrodestra Enda Kenny, promotore delle politiche di austerità durante la crisi, ha perso il 10% dei voti. Invece i partiti anti-austerità, Sinn Fein e Alleanza Indipendente, hanno raddoppiato i propri consensi, costringendo Kenny ad allearsi al suo storico rivale, Fianna Fail, dopo due mesi di stallo. In altri paesi le crisi politiche si sono verificate in maniera ancor più dirompente: la Spagna si trova, nel luglio 2016, senza un governo da 4 mesi, mentre in Grecia tra dicembre 2014 e settembre 2015 si sono tenute ben tre tornate elettorali. La Grecia rappresenta un caso emblematico di esplosione delle disuguaglianze sociali. Il prof. Guglielmo Forges Davanzati evidenzia su “MicroMega” come la crisi greca sia inserita “in un processo rilevante di redistribuzione del reddito fra Paesi centrali e Paesi periferici dello sviluppo capitalistico e, all’interno di questi ultimi, di ulteriore polarizzazione dei redditi” (Guglielmo Forges Davanzati, La crisi greca e l'Europa delle diseguaglianze, “MicroMega”, 13 luglio 2015). Infatti, sulla base di dati Eurostat, Davanzati osserva che “le diseguaglianze distributive, misurate con l’indice di Gini, sono maggiori nei Paesi periferici dell’Eurozona”. Un Working Paper della banca di Grecia sottolinea come “gli sforzi per il consolidamento fiscale abbiano avuto ricadute sulle spese per la protezione sociale”. La spesa sociale è crollata nel 2011 e nel 2012. “Indicativamente, il 10% più povero della popolazione riceve il 6,6% di trasferimenti sociali (pensioni escluse), mentre il 12,5% va alle fasce di reddito medio e il 7,4% al 10% più ricco della popolazione. Questo ovviamente non garantisce uno standard minimo di vita per i poveri e le famiglie svantaggiate, mentre la spesa sociale frammentata e burocratizzata tende di fatto a creare discriminazioni tra le varie categorie di beneficiari”.

Gloria Gattoni, 28 ottobre 2016