Il clima è un sistema complesso, il suo cambiamento va analizzato in base a numerosi fattori, sia antropici che naturali

Adottare una prospettiva multidisciplinare

Il convegno Storia ed evoluzione del clima terrestre, svoltosi a Padova il 28 ottobre 2015, ha posto l'accento sull'importanza di contestualizzare storicamente i cambiamenti climatici, analizzandoli attraverso una prospettiva culturale e multidisciplinare. È stato evidenziato come, nel corso della storia, i cambiamenti climatici siano stati il risultato di complessi fenomeni naturali, e non esclusivamente antropici, sottolineando il ruolo di variabili su larga scala come le variazioni solari, le eruzioni vulcaniche e le dinamiche oceaniche.

L’intervento Cambiamenti climatici e risposte sociali: per una storia culturale del clima, proposto da Emanuela Guidoboni, storica del clima e direttrice del Centro Euro-Mediterraneo di Documentazione su Eventi Estremi e Disastri, ha posto l’attenzione ai cicli climatici storici, come il raffreddamento del XIII secolo e il riscaldamento medievale, che mettono in discussione l’idea che le attività umane rappresentino l’unico motore dei cambiamenti attuali. In questa prospettiva, viene richiamato il concetto di resilienza, evidenziando come le civiltà abbiano saputo adattarsi alle variazioni climatiche, trovando soluzioni sostenibili anche in condizioni avverse. Questo approccio invita a considerare la possibilità di affrontare le sfide climatiche attuali senza ricorrere a narrazioni allarmistiche o apocalittiche.
Il confronto tra le preoccupazioni legate al "Global Cooling" degli anni '60 e '70 e il "Global Warming" odierno offre un ulteriore spunto di riflessione. In entrambi i casi, sono stati proposti interventi drastici per affrontare i cambiamenti percepiti, sottolineando come la risposta umana al clima sia spesso influenzata da approcci politici e speculative piuttosto che da un’analisi scientifica rigorosa.
Secondo la sua analisi, le civiltà umane hanno sempre vissuto in relazione dinamica con il clima, adattandosi a periodi di riscaldamento e raffreddamento. Il periodo caldo medievale, ad esempio, ha rappresentato un'opportunità per le coltivazioni nelle regioni settentrionali, mentre il raffreddamento successivo ha portato carestie e crisi demografiche.
Guidoboni critica l’approccio antropocentrico che spesso domina il dibattito sui cambiamenti climatici, evidenziando che fenomeni naturali di grande portata, come eruzioni vulcaniche o variazioni nell'attività solare, hanno sempre giocato un ruolo fondamentale. Questo approccio storico invita a considerare il clima come un fenomeno ciclico, non esclusivamente determinato dalle attività umane: “Il cambiamento climatico ha una storia molto lunga, in cui l’uomo non è l’attore principale al centro della scena”. Così, la studiosa sottolinea l'importanza di adottare una visione multidisciplinare, che includa non solo climatologi, ma anche storici ed esperti di scienze sociali per comprendere appieno l'impatto delle variazioni climatiche nel lungo periodo.

Il clima ha anche una storia culturale

Come ricorda Emanuela Guidoboni, Wolfgang Behringer, autore del libro Storia culturale del clima (Bollati Boringhieri, Torino, 2007), esplora come le società umane abbiano interpretato e reagito ai cambiamenti climatici nel corso dei secoli. Il suo lavoro evidenzia le risposte culturali, spesso intrise di superstizione, ai cambiamenti climatici percepiti come catastrofici. Ad esempio, durante il raffreddamento medievale, eventi climatici estremi venivano attribuiti a streghe o figure magiche, mostrando come il clima influenzasse non solo le condizioni materiali, ma anche le credenze e le strutture sociali. La sua analisi aiuta a comprendere come la percezione del clima sia stata culturalmente mediata, suggerendo che anche oggi la narrazione del cambiamento climatico possa essere influenzata da pregiudizi culturali o interessi politici ed economici. Behringer invita a riflettere sulla necessità di un equilibrio tra consapevolezza scientifica e cautela nell'attribuire cause univoche a fenomeni complessi.

L’incertezza dei modelli climatici

Un tema centrale emerso durante il convegno è rappresentato dalle incertezze insite nei modelli climatici, i quali si basano principalmente su dati degli ultimi 100-150 anni, trascurando la complessa storia climatica della Terra. Questa prospettiva invita a interrogarsi sulla credibilità di un approccio che attribuisce un ruolo predominante alle attività umane, rispetto alle forze naturali che per millenni hanno modellato il clima terrestre. Viene inoltre mossa una critica verso l'approccio mediatico e politico, accusati di semplificare la questione, focalizzandosi quasi esclusivamente sull'influenza antropica.
Alberto Mirandola, docente presso l’Università degli Studi di Padova, evidenzia la necessità di un approccio multidisciplinare per comprendere appieno i fenomeni climatici, tenendo conto della complessità del sistema terrestre. Sebbene gli impatti delle attività umane siano riconosciuti, si sottolinea l'importanza di non trascurare le forze naturali che continuano a plasmare il clima del pianeta, invitando a una riflessione scientifica priva di semplificazioni eccessive.

Vincenzo Artale

Artale, ricercatore dell'ENEA, è un esperto del ruolo dell'oceano nei cambiamenti climatici, intervenuto durante il convegno padovano, sottolinea come l'oceano non solo mitighi gli effetti climatici attraverso il trasporto di calore (ad esempio, tramite la Corrente del Golfo), ma rappresenti anche un elemento chiave per comprendere le dinamiche globali. Secondo Artale, i processi oceanici, come la circolazione termoalina, hanno tempi di risposta molto più lunghi rispetto a quelli atmosferici e possono influenzare il clima per decenni o secoli. Artale evidenzia anche come la complessità delle interazioni tra oceano e atmosfera renda difficile formulare modelli climatici affidabili. Ad esempio, il rilascio di acqua dolce dovuto allo scioglimento dei ghiacciai altera la salinità e la densità degli oceani, influenzando la circolazione termoalina e, di conseguenza, il clima globale. La sua ricerca richiama l’attenzione sulla necessità di considerare i processi naturali come forze fondamentali nei cambiamenti climatici, oltre agli impatti delle attività umane.

Riscaldamento ma anche raffreddamento: ogni cambiamento è possibile

L’articolo La Piccola Era Glaciale e la possibilità di un ritorno improvviso, di Federico De Michelis (“tempoitalia.it”, 28 dicembre 2024), analizza in modo approfondito le cause e le conseguenze della Piccola Era Glaciale (PEG), un periodo di raffreddamento globale che si verificò tra il XIV e il XIX secolo, influenzando il clima e la società. Contrariamente alla percezione comune di un pianeta completamente ghiacciato, la PEG rappresentò un moderato abbassamento delle temperature medie globali, sufficiente però a determinare effetti significativi sulle civiltà umane.
Le cause principali della PEG vengono ricondotte a tre fattori naturali fondamentali: la riduzione dell’attività solare, un’intensa attività vulcanica e cambiamenti nella circolazione termoalina degli oceani. Durante il minimo di Maunder (1645-1715), le macchie solari divennero estremamente rare, causando una riduzione della radiazione solare incidente sulla Terra e contribuendo a un generale calo delle temperature. Contemporaneamente, alcune grandi eruzioni vulcaniche rilasciarono nell’atmosfera enormi quantità di aerosol solforati, formando uno strato che rifletteva la luce solare e rafforzava il raffreddamento globale. Infine, alterazioni nella circolazione termoalina, il sistema di correnti oceaniche che distribuisce il calore a livello planetario, contribuirono ulteriormente a questa fase di raffreddamento.

L’Europa risentì in modo particolare degli effetti della PEG, con inverni rigidi e estati più brevi che determinarono un forte calo della produzione agricola. In Italia, la coltivazione di cereali e vite fu seriamente compromessa, causando carestie e un incremento delle malattie legate alla malnutrizione. Le società dell’epoca adottarono diverse strategie per adattarsi alle nuove condizioni climatiche, tra cui modifiche architettoniche per migliorare l’isolamento termico delle abitazioni e l’adozione di pratiche agricole innovative. La PEG influenzò anche la cultura, ispirando artisti che ritrassero scene invernali con fiumi ghiacciati e paesaggi ostili. Un esempio emblematico fu rappresentato dalle "fiere del ghiaccio," mercati e celebrazioni che si svolgevano sui fiumi ghiacciati, come il Tamigi a Londra e la Senna a Parigi. Eventi analoghi vennero documentati in Italia, sul Canal Grande di Venezia.

L’articolo affronta anche la possibilità di un futuro ritorno di condizioni simili alla PEG. Nonostante l’attuale riscaldamento globale causato dall’aumento delle emissioni di gas serra, alcuni scienziati suggeriscono che fenomeni naturali, come un’eruzione vulcanica particolarmente intensa o significative alterazioni nella circolazione termoalina, potrebbero provocare temporanei periodi di raffreddamento regionale. Tuttavia, è improbabile che questi fenomeni abbiano la stessa portata della PEG, dato il contesto climatico profondamente mutato rispetto al passato.
In conclusione, il testo sottolinea la complessità del sistema climatico terrestre, influenzato dall’interazione tra fattori naturali e antropici. Sebbene il trend generale indichi un riscaldamento globale, la possibilità di eventi transitori di raffreddamento non può essere completamente esclusa. La capacità di resilienza delle società e i progressi della ricerca scientifica saranno fondamentali per affrontare eventuali variazioni climatiche improvvise in futuro.

Il Sole, le variazioni orbitali e le eruzioni vulcaniche

Nel saggio Main factors influencing climate change: A review (Todor Nikolov, Nikola Petrov, Comptes Rendus de L'Academie Bulgare des Sciences, 67 (2014), 1455-1476), gli autori analizzano i principali fattori che influenzano i cambiamenti climatici, con particolare attenzione all'importanza del Sole come motore principale del sistema climatico terrestre. Todor Nikolov, Nikola Petrov analizzano il sistema climatico terrestre come un insieme complesso e caotico, influenzato da una combinazione di fattori astronomici, geofisici e antropogenici. Questo sistema risponde a influenze sia di lungo termine, come i cicli orbitali, sia a forze più immediate, tra cui le attività umane e gli eventi vulcanici. I cambiamenti climatici, descritti come ciclici, sono determinati principalmente da fattori naturali, quali l'attività solare, le variazioni orbitali e le dinamiche interne del pianeta. Tuttavia, nell'epoca moderna, e in particolare dopo la Rivoluzione Industriale, il ruolo dell'uomo è diventato un elemento significativo.
Il Sole è identificato come il principale fattore energetico per il clima terrestre. Citando Beer et al., viene definito come "il motore che guida il sistema climatico". La variabilità della radiazione solare nel tempo incide direttamente sulla temperatura e sul bilancio energetico del pianeta. I cicli solari, inclusi quelli delle macchie solari di 11 e 22 anni, sono strettamente correlati a variazioni climatiche. Periodi di bassa attività solare, come il Minimo di Maunder tra il 1645 e il 1715, sono associati a fasi di raffreddamento globale, come la Piccola Era Glaciale. Tuttavia, gli autori sottolineano i limiti della comprensione scientifica riguardo alla relazione tra variabilità solare e cambiamenti climatici, evidenziando l'importanza di ulteriori ricerche in questo ambito.

Un altro elemento chiave discusso riguarda i cicli orbitali della Terra, noti come cicli di Milanković, che influenzano il clima su scale temporali di migliaia di anni. Tra questi fattori, l’eccentricità dell’orbita terrestre varia ogni 100.000 anni, l’inclinazione dell’asse terrestre influisce sulla distribuzione stagionale della radiazione solare, e la precessione dell’asse segue un ciclo di 23.000 anni. Questi meccanismi sono considerati responsabili dei periodi di glaciazione e interglaciazione osservati nella storia geologica.

Altri fattori naturali giocano un ruolo rilevante nel modellare il clima terrestre. Le eruzioni vulcaniche, ad esempio, rilasciano aerosol nell’atmosfera che riflettono la luce solare, contribuendo a un raffreddamento globale. Eventi come l'eruzione del Monte Tambora nel 1815 hanno provocato impatti climatici significativi, come "l’anno senza estate". Inoltre, secondo la teoria della cosmoclimatologia proposta da Svensmark, i raggi cosmici galattici influenzano la formazione delle nubi, esercitando effetti indiretti sul clima.

Pur focalizzandosi principalmente sui fattori naturali, gli autori riconoscono il crescente impatto delle attività umane sul clima globale, in particolare attraverso l’aumento dei gas serra. Tuttavia, sottolineano che questi effetti devono essere valutati nel contesto della lunga storia di variabilità climatica naturale che caratterizza il sistema terrestre.

Nina Celli, 30 gennaio 2025

Il consenso scientifico

L'articolo Consensus on consensus: a synthesis of consensus estimates on human-caused global warming di John Cook e altri (“Environmental Reserch Letters”, 11 048002, 2016) fornisce un'analisi approfondita del consenso scientifico riguardo all'origine antropogenica del cambiamento climatico.
Il consenso scientifico sull’origine antropogenica del cambiamento climatico è stato ampiamente documentato attraverso molteplici studi indipendenti, i quali dimostrano che tra il 90% e il 100% degli scienziati che pubblicano sull’argomento concordano sul ruolo umano nel riscaldamento globale. In particolare, un’analisi condotta da Cook et al. (2013) su 11.944 abstract di articoli scientifici pubblicati tra il 1991 e il 2011 ha evidenziato che, tra i 4.014 abstract che esprimono una posizione chiara, il 97,1% supporta l’origine antropogenica del fenomeno. Gli autori sottolineano come “il consenso secondo cui gli esseri umani sono la causa del recente riscaldamento globale è condiviso dal 90%-100% degli scienziati del clima che pubblicano”.

Diverse metodologie sono state impiegate per valutare il livello di consenso. Tra queste, l’analisi degli articoli peer-reviewed rappresenta una delle strategie più utilizzate, permettendo di quantificare il supporto alla teoria del cambiamento climatico di origine antropica attraverso il contenuto degli studi pubblicati. In aggiunta, sondaggi condotti tra gli scienziati climatici hanno confermato tali risultati. Ad esempio, il sondaggio di Doran e Zimmerman (2009) ha rilevato che il 97% degli scienziati del clima attivamente impegnati nella ricerca sul riscaldamento globale concorda sull’origine antropogenica del fenomeno. Un ulteriore approccio è stato adottato da Shwed e Bearman (2010), i quali hanno analizzato le reti di citazioni tra gli scienziati del clima, dimostrando che il consenso si è formato precocemente ed è solido quanto il consenso scientifico sull’effetto nocivo del fumo sulla salute umana.

Nonostante le evidenze, alcune critiche sono state sollevate per contestare la validità delle stime sul consenso scientifico. Alcuni studiosi, tra cui Tol (2016), hanno cercato di ridimensionare la percentuale di accordo includendo opinioni di non esperti o considerando gli abstract che non esplicitano una posizione come rifiuto del consenso. Tuttavia, secondo gli autori dell’analisi, queste metodologie conducono a una distorsione dei risultati e non rappresentano accuratamente le opinioni degli scienziati del settore. Inoltre, l’analisi dimostra che il consenso scientifico cresce all’aumentare della specializzazione: tra gli scienziati climatici più pubblicati, la percentuale di accordo sull’origine antropogenica del riscaldamento globale raggiunge il 97%-98%. “Il 97% degli articoli che dichiarano una posizione sul riscaldamento globale antropogenico sostiene il consenso secondo cui gli esseri umani sono responsabili del cambiamento climatico” affermano gli autori, sottolineando la solidità delle evidenze raccolte.

Un aspetto cruciale emerso dallo studio riguarda la percezione pubblica del consenso scientifico, che gioca un ruolo determinante nell’accettazione delle politiche climatiche. Molti cittadini e leader politici sottostimano l’ampiezza del consenso scientifico, ritenendo erroneamente che la comunità scientifica sia divisa sulla questione. Tale percezione distorta ha un impatto significativo sul supporto alle misure di mitigazione del cambiamento climatico. Secondo gli autori, “la percezione pubblica del consenso scientifico è stata identificata come una credenza chiave che influenza altre convinzioni e atteggiamenti sul clima, incluso il sostegno alle politiche”. Una comunicazione efficace del consenso scientifico potrebbe quindi favorire una maggiore accettazione delle evidenze e promuovere azioni concrete per contrastare il riscaldamento globale.

Il consenso scientifico sull’origine antropogenica del cambiamento climatico è quindi solido, secondo gli autori, e sostenuto da una pluralità di studi indipendenti. La disinformazione su questo tema rappresenta un ostacolo significativo all’adozione di politiche efficaci per la mitigazione del cambiamento climatico, rendendo essenziale una corretta comunicazione delle evidenze scientifiche.

"Seepage", l’inquinamento del linguaggio scientifico

L'articolo Seepage: Climate change denial and its effect on the scientific community, scritto da Stephan Lewandowsky e colleghi (Stephan Lewandowsky, Naomi Oreskes, James S. Risbey, Ben R. Newell, Michael Smithson, in “Global Environmental Change”, Volume 33, luglio 2015, pp. 1-13) analizza l’influenza delle narrazioni negazioniste sul cambiamento climatico all’interno della comunità scientifica. Gli autori evidenziano come affermazioni prive di basi scientifiche, diffuse inizialmente in contesti non accademici, abbiano progressivamente influenzato il linguaggio e il pensiero di alcuni scienziati, portando a una sottostima della gravità del riscaldamento globale. Questo fenomeno, definito “seepage”, ha alterato il dibattito scientifico e la comunicazione dei rischi climatici. “Il seepage è l’influenza delle affermazioni non scientifiche sul linguaggio e sul pensiero scientifico, con effetti dannosi per il processo scientifico” affermano gli autori.
Uno dei meccanismi chiave del “seepage” è l’amplificazione strategica dell’incertezza da parte degli oppositori del consenso scientifico. Tale strategia, nota come “Scientific Certainty Argumentation Methods” (SCAMs), ha alimentato un clima di dubbio, influenzando il pubblico e la stessa comunità scientifica. “Gli argomenti contrari spesso esagerano il grado di incertezza scientifica per giustificare l’inazione” sottolineano gli autori. Un esempio evidente è la diffusione del termine “hiatus” per descrivere una presunta pausa del riscaldamento globale, non supportata da solide basi statistiche. “La retorica del hiatus è un esempio chiaro di seepage, in cui la comunità scientifica ha adottato un linguaggio creato dai negazionisti” affermano gli autori.
L’influenza del “seepage” si manifesta anche in una tendenza degli scienziati a minimizzare i pericoli climatici per evitare accuse di allarmismo, un fenomeno definito “erring on the side of least drama” (EOLO). “Gli scienziati, in risposta alle accuse di essere ‘allarmisti’, hanno dimostrato una tendenza a minimizzare i pericoli reali” spiegano gli autori. Fattori psicologici e sociali, come la pressione del pubblico e la percezione che i colleghi non condividano certe opinioni, hanno favorito un approccio eccessivamente prudente alla comunicazione scientifica.
Per contrastare il “seepage”, gli autori propongono un rafforzamento della comunicazione scientifica e una chiara distinzione tra dibattiti scientifici e politici. “Gli scienziati devono resistere alla tentazione di accettare i termini e le cornici narrative proposte dai contrari” concludono gli autori, sottolineando l’importanza di un approccio resiliente per preservare l’integrità del processo scientifico e promuovere politiche climatiche basate su evidenze rigorose.

 

Non verità assolute, ma le più probabili

L'articolo The Scientific Consensus on Climate Change: How Do We Know We’re Not Wrong? di Naomi Oreskes esamina le basi epistemologiche del consenso scientifico sul cambiamento climatico antropogenico. L’autrice evidenzia come, dal 1995, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) abbia confermato che il riscaldamento globale è un fenomeno documentato e attribuibile all’attività umana. Questo consenso, sebbene non rappresenti una certezza assoluta, costituisce il miglior giudizio possibile basato sulle conoscenze disponibili. “Il consenso scientifico non è una dimostrazione di certezza assoluta, ma rappresenta il miglior giudizio possibile basato sulle conoscenze disponibili” afferma l’autrice (Naomi Oreskes, The Scientific Consensus on Climate Change: How Do We Know We're Not Wrong?, in Climate Modelling: Philosophical and Conceptual Issues, a cura di Elisabeth A. Lloyd ed Eric Winsberg, Springer, 2018, pp. 31–64).
L’articolo sottolinea che il consenso si fonda su metodologie rigorose che garantiscono la sua affidabilità, come la replicabilità, la coerenza teorica e la verifica empirica. “Anche se non possiamo essere certi che il consenso scientifico sia corretto, gli strumenti di verifica disponibili suggeriscono che sia altamente improbabile che sia sbagliato” sostiene l’autrice, ribadendo la solidità delle evidenze a sostegno della scienza del clima.
Oreskes analizza anche il ruolo di interessi esterni nel dibattito sul cambiamento climatico. Le critiche al consenso provengono spesso da lobby industriali e gruppi politici, che enfatizzano l’incertezza scientifica per ritardare interventi di mitigazione. “Le critiche alla scienza del clima sono spesso motivate da interessi economici e politici piuttosto che da autentiche dispute scientifiche” osserva l’autrice.

Il consenso cresce al crescere della competenza

L'articolo Consensus revisited: quantifying scientific agreement on climate change and climate expertise among Earth scientists 10 years later, pubblicato su “Environmental Research Letters”, analizza l’evoluzione del consenso scientifico sull’origine antropogenica del cambiamento climatico, aggiornando i dati di studi precedenti come quello di Doran e Kendall Zimmerman (2009). I risultati confermano che il consenso è cresciuto nel tempo, con percentuali che variano in base al livello di esperienza degli scienziati.
Secondo lo studio, il 91,1% degli scienziati intervistati riconosce che il riscaldamento globale è principalmente causato dall’attività umana, mentre tra gli esperti con almeno il 50% delle loro pubblicazioni sul cambiamento climatico il consenso sale al 98,7%. Tra gli scienziati con oltre 20 pubblicazioni sul tema, l’accordo raggiunge il 100%. “Tra gli scienziati con più di 20 pubblicazioni rilevanti sul cambiamento climatico, il consenso raggiunge il 100%” riportano gli autori, sottolineando la forte relazione tra competenza ed accettazione del consenso scientifico (Myers, Krista, et al. Consensus Revisited: Quantifying Scientific Agreement on Climate Change and Climate Expertise among Earth Scientists 10 Years Later, “Environmental Research Letters”, vol. 16, no. 10, 2021, p. 104030).
Questi risultati confermano che il dibattito sulla realtà del cambiamento climatico non è una controversia scientifica, ma una questione di percezione pubblica. Il rafforzamento del consenso tra gli esperti evidenzia che il riscaldamento globale di origine antropogenica è ormai una conclusione consolidata nella comunità scientifica.

Secondo i dati, la combustione di combustibili fossili è un fattore chiave

L'articolo Concerns about climate change and the role of fossil fuel use, scritto da Donald J. Wuebbles e Atul K. Jain, analizza il legame tra le emissioni antropogeniche di gas serra, in particolare quelle derivanti dall’uso di combustibili fossili e i cambiamenti climatici globali. Gli autori evidenziano come l’aumento delle concentrazioni di CO₂ dal periodo preindustriale – passate da 280 ppm a 364 ppm nel 1997 – sia principalmente attribuibile alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), “il bilancio delle prove suggerisce un'influenza umana sul clima globale”.
L’analisi dei dati storici mostra che il riscaldamento globale osservato supera la variabilità climatica naturale. Dal 1851 al 1995, la temperatura media globale è aumentata di circa 0,65°C, accompagnata dal ritiro dei ghiacciai, dalla riduzione della copertura nevosa e dall’innalzamento del livello del mare di 1,8 mm/anno. Gli autori sottolineano che “i recenti aumenti della temperatura media globale nell’ultimo decennio sembrano già superare la normale variabilità delle temperature degli ultimi mille anni”.
Attraverso modelli climatici avanzati, lo studio identifica il CO₂ come la principale causa dell’aumento delle temperature, responsabile del 64% del forcing radiativo. Le simulazioni dimostrano che le sole variazioni naturali, come l’attività solare e le eruzioni vulcaniche, non spiegano il rapido riscaldamento degli ultimi decenni. “Le variazioni naturali e solari non sono sufficienti a spiegare l’aumento delle temperature negli anni ’80 e ’90” affermano gli autori.
Le proiezioni climatiche dell’IPCC indicano che, senza interventi significativi, le concentrazioni di CO₂ potrebbero raggiungere tra 548 e 806 ppm entro il 2100, causando un aumento delle temperature globali fino a 4,5°C. Tra gli impatti previsti figurano l’insicurezza alimentare e idrica, l’aumento delle malattie legate al calore e l’innalzamento del livello del mare fino a un metro. “I modelli basati su computer del ciclo del carbonio hanno identificato la combustione di combustibili fossili come un fattore chiave nell’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica” riportano gli autori.
Lo studio conclude evidenziando l’urgenza di politiche efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e mitigare gli effetti del riscaldamento globale. Senza azioni concrete, le proiezioni indicano scenari con impatti ambientali e socioeconomici significativi (Donald J.Wuebbles, K. Jain Atul, Concerns about climate change and the role of fossil fuel use, “Fuel Chemistry Division Preprints”, vol. 46, no. 1, 2001, pp. 40-44).

Nina Celli, 30 gennaio 2025