I social network incidono sul fenomeno del bullismo e lo aggravano, configurando nuove fattispecie difficili da controllare

Numeri significativi

L’incidenza dei social network sul bullismo appare evidente ed è confermata dai numeri. Da una ricerca condotta da Amnesty International emerge che il 45% dei ragazzi intervistati pensa “che i social media abbiano fatto da cassa di risonanza e contribuito all’incremento del fenomeno” (Gli italiani e le discriminazioni, “amnesty.it”, 4 aprile 2018).
Un’altra ricerca condotta dal Dipartimento di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma e dal Moige (Movimento Italiano Genitori), svela che “ben 9 ragazzi su 10 usano il telefonino sia per i social, sia per l’accesso al web, e per un uso essenzialmente ricreativo. Nel mondo, il 71% di loro è online, comparato al 48% della popolazione totale” (Anna Maria Giannini, La violenza negli adolescenti. Bullismo, cyberbullismo, “moige.it”, 2018).

I social network amplificano la violenza

In una società sempre più violenta, dove la prevaricazione e l’aggressività trovano sempre nuove forme, i social network contribuiscono ad incrementare il bullismo, fattispecie sempre diverse e difficili da controllare. I nativi digitali, ragazzi cresciuti con la tecnologia, non riescono più a controllarla e ne sono influenzati tanto da modificare o amplificare tratti del loro carattere.
Il professor Luca Bernardo, direttore della Casa Pediatrica dell’Ospedale “Fatebenefratelli” di Milano, l’unico centro in Italia che si occupa a livello multidisciplinare di bullismo, cyberbullismo e altre forme di violenza sul web, spiega: “Il bullismo è ormai una malattia cronica del nostro Paese, e i social network sono uno dei fattori principali dei fenomeni di violenza e presa in giro nei confronti dei giovanissimi” (Enrico Caporale, Bullismo e cyberbullismo, un’emergenza sociale, “lastampa.it”, 20 aprile 2017).

Puntare sull’educazione digitale

I ragazzi studiano differenti materie a scuola, alcune poco attuali, ma non imparano come approcciarsi correttamente alla tecnologia e ai nuovi media. Si suppone che il ragazzo sia già preparato a un mondo così sconfinato e insidioso come quello della rete ma non è ancora chiaro che, anche in questo caso, è necessario un approccio educativo, che esalti le qualità del progresso e che metta in guardia dai rischi possibili in cui ci si può imbattere.
Il presidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Antonello Soro, dopo l’approvazione della legge sul cyberbullismo da parte del Parlamento, ha così commentato: “Particolarmente positiva è la scelta di coniugare approccio preventivo e riparatorio, grazie alla promozione dell’educazione digitale e alla specifica procedura di rimozione dei contenuti lesivi della dignità del minore” (Cyberbullismo: la legge pubblicata in Gazzetta, “altalex.com”, 18 giugno 2017).

Navigare in Internet e usare i social media non è atto fine a se stesso e può avere conseguenze ben precise. I ragazzi cercano di soddisfare la propria esigenza comunicativa, di raccontarsi, di vincere la propria timidezza, usano le piattaforme, spesso, con le migliori intenzioni del caso.
Ilaria Caprioglio, scrittrice e sindaco di Savona, evidenzia quale sia il problema: “Gli adulti, continuano a ritenere che l’approccio dei digital kids con le tecnologie sia corretto e consapevole, si tratta di un’idea falsa e pericolosa che ha contribuito a deresponsabilizzare genitori e insegnanti dal ruolo di guide. La famiglia, con il sostegno della scuola, dovrebbe aiutare i giovani a rispettare se stessi e gli altri, accettando le proprie e le altrui fragilità e accogliendo i rispettivi fallimenti; solo in questo modo le relazioni interpersonali che i nostri figli intrecciano online non rischiano di diventare trappole emotive nelle quali il soggetto più debole diventa la preda” (Ilaria Caprioglio, Bullismo digitale, “scienzecriminali.it”, 10 agosto 2017).

Claudio Alessandro Colombrita, 29 maggio 2018

I numeri non sono poi così allarmanti

I social network non hanno inciso poi più di tanto sul fenomeno del bullismo, che resta intatto nella sua preoccupante dimensione. Da una ricerca condotta da Amnesty International, si evidenziano anche altri fattori che hanno portato ad una crescita del fenomeno: “Il 26% crede che la crescita sia dovuta al costante clima di incitamento all’odio e alla discriminazione presente sui media. Per 1 Italiano su 4, invece, il bullismo è sempre stato presente e non ci sono differenze sostanziali rispetto al passato, se non un incremento delle denunce” (Gli italiani e le discriminazioni, “amnesty.it”, 4 aprile 2018).

Internet è solo uno dei problemi

Nell’analisi sulle nuove forme di bullismo, ci si concentra troppo sulla demonizzazione di Internet e dei social network e troppo poco sulle altre responsabilità, che sono evidenti, poiché di lungo corso. La scuola e la famiglia hanno la responsabilità maggiore, poi c’è la società, che non fornisce gli strumenti idonei per contrastare il fenomeno.
Giovanni Floris, giornalista e autore del libro "Ultimo Banco”, afferma: “La scuola sta andando a catafascio? Di chi è la colpa? Io credo di tutti. Si parla molto di internet, ma questo è solo uno strumento, come la tv, la radio, la penna o la voce. Il punto è come lo si utilizza e chi lo utilizza. La colpa è di tutti: degli studenti, dei genitori, dei docenti e dei politici" (Eleonora Lo Russo, Scuola, tra violenza e bullismo: cosa possono fare i docenti, “donnamoderna.com”, 20 aprile 2018).
Come non parlare poi della politica, che non ha mai promosso iniziative ad hoc, volte a sensibilizzare i ragazzi sui pericoli della rete. I corsi e gli incontri sono sempre sporadici, in un percorso frammentato, frutto di estemporaneità e non di un programma preciso.
Ilaria Caprioglio, scrittrice e sindaco di Savona afferma: “L’opinione pubblica ha preferito ravvisare nel demone digitale un comodo capro espiatorio che ha permesso di alleggerire le coscienze, assopite sotto la coltre del mito del nativo digitale” (Ilaria Caprioglio, Bullismo digitale, 10 agosto 2017).

La solitudine è il male di oggi

Il bullismo è un fenomeno che ha radici profonde e antiche e la sua analisi non si può limitare alle nuove forme di comunicazione e alla sua evoluzione in cyberbullismo. Esistono diverse forme di violenza e numerosi canali in cui si possono propagare, non c’è più una nozione ben definita di spazio e tempo ma il vero motivo per cui un ragazzo diventa bullo è la solitudine, sensazione che non è di certo stata portata per la prima volta alla ribalta dai nuovi media.
Marta Serafini, giornalista, conferma: “A leggere le storie di questi ragazzi viene da pensare che il problema non sia solo la tecnologia. Ma la solitudine. Allora ai genitori non resta che una strada. Stare attenti. E fare anche di più. Insegnare l’autostima ai figli. E spiegare loro che non è un like o un post su Facebook a determinare quanto valiamo. Ma soprattutto che insultare qualcuno nascosti dietro un profilo anonimo è un comportamento da vigliacchi e da conigli” (Marta Serafini, Le applicazioni e i social che aiutano i cyber bulli, “27esimaora.corriere.it “, 16 settembre 2013).
Il web può contribuire ma non è la causa del problema. La solitudine è un tarlo che logora piano piano, sia il bullo che rafforza la sua violenza, sia la vittima, che non sa come reagire e con chi parlare. Bisognerebbe agire su più fronti, per incidere anche sull’autostima dei ragazzi e per inculcare i veri e sani valori della vita.