I veli islamici integrali devono essere vietati per questioni di sicurezza

Non si può bandire totalmente il burqa per motivi di sicurezza

Chi si oppone a un divieto generale dei veli islamici integrali non ritiene il problema della dissimulazione del viso di cruciale importanza per la sicurezza e il controllo. Non è, infatti, dimostrabile che questi abiti possano minare l’ordine pubblico e la democrazia. John Dalhuisen, di Amnesty International, si è mostrato critico nei confronti dei politici che invocano la necessità dei divieti per questioni di sicurezza: “Le legittime esigenze di sicurezza possono essere soddisfatte istituendo limitazioni alla copertura completa del volto in luoghi ad alto rischio ben definiti. Ogni persona dovrebbe essere obbligata a mostrare il volto quando obiettivamente necessario, per esempio in caso di controllo dell'identità” (La Francia vota contro il velo integrale, “Amnesty International Sezione Italia”, 14 luglio 2016).

La corte di Strasburgo

Nel 2014 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, chiamata in causa da una ragazza francese di religione islamica, si è pronunciata sulla legge varata nel 2010 dal governo Sarkozy. I giudici europei hanno dato ragione alla Francia, considerando la normativa non in contrasto con le libertà di culto e di espressione, ma hanno respinto le motivazioni sulla sicurezza pubblica. Come testimonia Ivan Ingravallo, professore di Diritto Internazionale all’Università degli Studi di Bari: “con riferimento al requisito della necessità, essa (la Corte di Strasburgo) non ritiene che il divieto generale di indossare abiti che coprono interamente il volto possa essere giustificato per motivi di pubblica sicurezza, nel nome dell’uguaglianza tra uomini e donne o del rispetto della dignità umana” (Ivan Ingravallo, La Corte di Strasburgo e il divieto di burqa: osservazioni critiche, “Academia”, 24 luglio 2014). Il governo può ottenere gli stessi risultati nella gestione dell’ordine pubblico e nelle misure anti terroristiche imponendo l’obbligo di mostrare il volto in determinate situazioni, come nei controlli di polizia.

Questioni di sicurezza

Sicurezza interna e antiterrorismo sono temi usati dai sostenitori dei divieti per i veli islamici. Il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maizière ha presentato in parlamento un pacchetto di riforme volte ad aumentare le misure contro il terrorismo. Tra le proposte è inserito anche il divieto del burqa e del niqab nei luoghi pubblici. Per De Maizière, infatti, il velo integrale crea forti difficoltà nella gestione dei controlli, nelle pratiche di videosorveglianza e nei procedimenti di identificazione personale (Alessandro Ricci, Germania vuole aumentare le misure antiterrorismo e vietare il burqa, “eunews”, 11 agosto 2016). Natalia Ferrara Micocci, del Partito liberale radicale del Canton Ticino, ha più volte legato il problema dei veli islamici con il problema della sicurezza interna del paese. Nell’Intervento a nome dell’ampia maggioranza della commissione della legislazione, rapporto 7055, infatti, la Micocci, in qualità di relatrice, parla della necessità di limitare la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici.

Il dibattito in Italia

In Lombardia dal 2016 non è più possibile entrare negli ospedali e negli uffici regionali con abiti che impediscono il riconoscimento. Il cartello apposto in questi luoghi riporta tre immagini: un casco integrale, un passamontagna ed un burqa. Roberto Maroni, leghista, governatore della Lombardia, ha precisato che la sicurezza dei cittadini è una priorità assoluta. Lo stesso ha fatto l’assessore alla Sicurezza, Simona Bordonali: “In Lombardia non è più possibile entrare in ospedale e negli uffici regionali con burqa, niqab o qualsiasi oggetto che impedisca la riconoscibilità” e ha promesso severi controlli sulle affissioni dei cartelli e sul rispetto della normativa (Pierpaolo Lio, Le misure anti burqa in Lombardia "Vietato negli ospedali e negli uffici", “Corriere della Sera”, 2 gennaio 2016).
Dario Nardella, sindaco di Firenze, intervenendo ad un meeting di Comunione e Liberazione nell’agosto del 2016, ha precisato il rapporto tra burqa e sicurezza: “Bisogna distinguere tra le misure di sicurezza e la libertà religiosa. Se il burqa crea problemi dal punto di vista della sicurezza perché non rende riconoscibili le persone allora siamo nel campo della sicurezza” (Burqa, Nardella: "Distinguere tra sicurezza e libertà di culto", “La Nazione”, 20 agosto 2016).
Anche Ussama Dannawi, leader dei Giovani Musulmani, intervistato da “La Stampa”, ha parlato di diritto alla sicurezza: “Chi viene a vivere in Europa deve accoglierne le leggi, comprese quelle per la sicurezza. Se c’è un conflitto tra il burqa e la legge dello stato, bisogna scegliere quest’ultima: d’altra parte la religione non obbliga a indossarlo” (Francesco Curridori, “Il diritto alla sicurezza viene prima del diritto al burqa”, “Il Giornale”, 19 agosto 2016).

Alessandro De Sanctis, 15 novembre 2016