Molte argomentazioni contro i termovalorizzatori derivano da informazioni errate

Incenerimento ed altri processi di trattamento dei rifiuti urbani

E’ ormai noto a tutti nel mondo che una politica esitante ed incoerente di trattamento e smaltimento dei rifiuti, certamente condizionata anche da fattori locali non facilmente gestibili, ha determinato in grandi città e relative regioni una situazione parossistica e quasi incontrollabile che, purtroppo, si riflette con luce sinistra sull’intera comunità nazionale.

Quelle drammatiche e ripetitive immagini televisive di montagne di rifiuti non hanno logorato soltanto la reputazione di suggestiva bellezza di luoghi fra i più belli del mondo, ma hanno anche occultato la realtà di una Italia dove non mancano città e regioni esemplari, che hanno dato al problema soluzioni positive, con la scelta e la realizzazione di impianti di trasformazione dei rifiuti urbani, di tecnologia innovativa e sicura. Decisioni condivise dalla collettività, che, ragionevolmente, non possono essere considerate aleatorie e irresponsabili.

E’ una pessima abitudine, quella di definire ‘emergenze’ tutte le situazioni disastrose che si verificano nel nostro Paese, spesso facilmente prevedibili o previste con largo anticipo, come quelle del trattamento dei rifiuti urbani e dell’energia, accomunate dai problemi afferenti l’ambiente. Le due questioni che, per la loro complessità e per gli enormi interessi sociali ed economici che implicano, dovrebbero essere trattate con metodo analitico e spirito costruttivo, diventano troppo spesso delle opportunità di vane contrapposizioni, vantaggiose solo politicamente, abitualmente definite ‘democratiche’ da accese minoranze politiche o da qualunquistiche singolarità teatrali.

La grande diffusione in Europa di impianti di alta tecnologia per il trattamento dei rifiuti urbani è il risultato di molti decenni di studi ed esperienze, che hanno permesso di adeguarli alle direttive sempre più severe emanate dalla Comunità Europea, interpretate e tradotte in norme nazionali e regolamenti dai singoli Stati che devono imporne il rispetto.

Naturalmente, la responsabilità delle scelte tecnologiche più appropriate e delle quote di rifiuti da attribuire ai vari trattamenti appartiene agli enti locali, che devono tener conto della natura stessa dei rifiuti prodotti e delle caratteristiche del loro territorio.
Bisogna notare che i progetti attuali prevedono, generalmente, una quota di incenerimento non superiore al 50%. La parte restante è destinata ad altri processi di trattamento, che dovrebbero essere definiti complementari (selezione dei rifiuti, recupero dei materiali da raccolta differenziata, trattamento di metanizzazione o compostaggio ecc.).
Ma di tutti gli impianti di trattamento, gli inceneritori sono quelli che suscitano nell’opinione pubblica, e malgrado tutto, i maggiori timori di inquinamento ambientale e una persistente opposizione alla loro presenza nelle regioni che ne avrebbero maggiore bisogno.
Timori attualmente non condivisibili e che dovrebbero essere definiti ormai 'storici’, perché trovavano una giustificazione nella presenza, nelle emissioni dei primi e vecchi impianti, di quantità non trascurabili di ‘diossine’ e di ‘furani’ (anch’essi tossici), che sono certamente le sostanze più temute.
Ma la situazione è molto cambiata nel tempo ed è opportuno riportare qui di seguito, almeno per queste sostanze, i valori numerici medi attuali di concentrazione, rilevati in Francia, dove gli impianti di incenerimento sono numerosi e distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Le emissioni rilevate di diossine e furani sono comprese tra 0,002 e 0,05 ngTEQ/m3, senza superare mai il massimo normativo di 0,1 ng/m3 indicato dalla Direttiva Europea 2000/76/CE, tenendo conto che la concentrazione è espressa in “Equivalenza Tossica – TEQ” e che 1ng (nanogrammo) = 0,000000001 g (un miliardesimo di grammo).
Nei vecchi impianti non adeguati alle nuove norme, le emissioni raggiungevano dei valori che potevano superare i 200 ng/m3.
Senza aggiungere altri valori numerici, di meno facile comprensione, si riassumono le più rilevanti conclusioni espresse da singoli studiosi e Istituti scientifici indipendenti:

- una forte riduzione delle cadute di polveri pesanti nei campi;

- la conseguente diminuzione dell’esposizione alimentare umana, originata dai prodotti animali erbivori (latte e

carne).

Parallelamente, è stato verificato con cura che le concentrazioni di queste sostanze nei licheni che crescono nelle zone urbane interessate dalla caduta delle emissioni di inceneritori non è diversa da quella misurata nelle zone urbane esterne a quelle di probabile caduta. E questo dimostra che i rischi aggiuntivi imputati alla presenza dei moderni impianti sono praticamente nulli.

Un’altra analisi comparativa mostra anche che la supposta alta tossicità delle scorie, cioè di quelle sostanze non combustibili presenti nei rifiuti e utilizzate talvolta per i sottofondi stradali, è trascurabile rispetto a quella dell’asfalto usato abitualmente per rivestire le strade.
Né deve stupire che il tenore in diossine di queste scorie è inferiore a quello di numerosi terreni agricoli sui quali l’allevamento dei bovini è praticato o autorizzato.
Vale ancora la pena di ricordare che questi impianti sono, ormai, tutti dotati di mezzi di prelievi e misurazione in continuo e che il controllo dell’ambiente circostante è molto frequente (almeno 2 volte per anno).

Queste informazioni, anche se incomplete, dovrebbero contribuire a ridimensionare i timori che ancora persistono nei cittadini nei confronti degli inceneritori (ormai tutti termovalorizzatori, perché permettono di recuperare il calore prodotto con conseguente risparmio di risorse naturali) e indurli a considerare che l’impatto sulla salute delle emissioni di questi impianti è trascurabile rispetto alle tante altre fonti di rischi (emissioni di automobili, impianti industriali di altra natura, utilizzo di prodotti domestici non particolarmente salutari, combustione all’aperto dei propri rifiuti, fuochi d’artificio ecc.), che essi accettano senza esprimere una particolare preoccupazione o repulsione. Ciò solo perché hanno la sensazione di conoscerle meglio o perché, per alcune di queste, fanno prevalere il loro diritto alla libertà di utilizzarle.

E’ falso, d’altra parte, ritenere che i termovalorizzatori siano in contrasto con una politica più incisiva di raccolta differenziata, di riutilizzo, recupero e prevenzione quantitativa dei rifiuti urbani, ormai in crescita inarrestabile.

Bisogna considerare, invece, l’incenerimento come una componente importante ed insostituibile di un progetto unico, che deve integrare tutti i mezzi di trattamento complementari, in percentuali anche più alte rispetto alle attuali, e destinare progressivamente alla trasformazione funzionale o al recupero le discariche dove si accumula la totalità dei rifiuti prodotti. Tenendo ben presente che una discarica implica, generalmente, una sorveglianza ambientale valutabile in 50 anni, cioè trenta anni in più del periodo di utilizzazione effettiva, se questo è stato di 20 anni. Purtroppo, il periodo di utilizzazione è molto superiore a quello qui indicato, nella maggioranza dei casi.

La situazione dei rifiuti non potrà che peggiorare rapidamente in molte città e regioni dove l’uso delle discariche esistenti non potrà essere protratto a lungo e l’apertura di altre trova forti e giustificate opposizioni da parte delle popolazioni.

Ma sono ancora molte le amministrazioni locali che non riconoscono l’urgenza del problema e si affidano alle moratorie per allontanarne la soluzione, giustificando il loro attendismo con il ‘principio di precauzione’, molto alla moda e illusoriamente rassicurante.
Questo principio trova, infatti, una sua corretta applicazione quando non si hanno sufficienti conoscenze per valutare i rischi legati a una certa fonte e non si dispone dell’esperienza e dei mezzi per evitarli o ridurli a un livello accettabile. Non sembra proprio il caso dello smaltimento dei rifiuti urbani.
Può apparire un paradosso, ma è necessaria un’ultima moratoria: la moratoria delle moratorie. Cioè una parentesi per decidere. Ma le parentesi temporali italiane hanno, talvolta, la data di origine, ma quasi mai quella di fine parentesi.

Gli impianti di termovalorizzazione possono essere inseriti armonicamente nell’ambiente

La giornata è splendida. Il cielo è azzurro e terso e l’atmosfera del mese di ottobre, nella grande Piazza del Casinò di Montecarlo, è gradevole e gioiosa.
Le aiuole fiorite e le fontane a cascata, arricchite su un fianco della piazza da alberi rari e ben curati, danno una sensazione di armonia e fanno sentire il piacere di vivere.
L’amenità del luogo non ci fa dimenticare lo scopo principale del nostro breve viaggio nel più piccolo e affascinante Stato del mondo: vedere l’impianto di trattamento dei suoi rifiuti urbani e industriali, che integra tutto il sistema di pulitura urbana e di raccolta dei rifiuti domestici e industriali e contribuisce in maniera determinante a salvaguardare la salubrità e l’immagine di alta distinzione turistica del Principato.

Raggiungiamo a piedi e in pochi minuti il quartiere di Fontvieille, dove l’impianto è localizzato. Proprio ai piedi della celebre Rocca, la parte più antica del Principato, dove sono il Palazzo del Principe, il Museo Oceanografico e l’Acquario.
Ma qui, con nostro stupore, non troviamo alcun segno apparente di un impianto di trattamento di rifiuti: non un fumaiolo, non una nuvoletta di fumo o di vapore, nessun cattivo odore, nessun rumore di lavorazioni industriali. Siamo costretti a chiedere ulteriori informazioni a un vigile che, gentilmente ma con una espressione divertita, ci dice che la sede dell’impianto è proprio alle nostre spalle, a pochi metri.

L’edificio è situato nel centro di Fontvieille. E’ perfettamente integrato nel contesto urbano e non è facilmente distinguibile dagli altri che lo circondano. Le sue facciate sono persino ornate con affreschi e i suoi muri sono protetti da una perfetta isolazione fonica che elimina quasi del tutto le emissioni sonore verso l’esterno. L’edificio occupa una superficie al suolo di soli 1500 mq, che giustifica la sua estensione in altezza. E in esso trovano posto non solo gli uffici della S.M.A. – Société Monegasque d’Assainissement, che gestisce l’impianto, ma anche quelli di altre società indipendenti.

Il direttore tecnico ci riceve con molta cortesia e ci introduce in una grande ed elegante sala di riunione. Alle pareti c’è tutta la storia fotografica degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani e industriali del Principato, dalle origini fino ai giorni nostri.Dei grandi pannelli illustrano gli schemi funzionali di questi impianti.
Siamo costretti ad un grande sforzo di auto-controllo quando ci informa che il primo impianto di trattamento del Principato, mediante incinerazione, è stato inaugurato nel 1898, centodieci anni fa. Alcune fotografie ingrandite, di color seppia e di tono nostalgico, mostrano gli operai dell’epoca in posa accanto ai macchinari.

Questo impianto comprendeva 2 forni con una capacità di trattamento di 40 T/giorno ed era già equipaggiato di un sistema di recupero di energia.
Con una buona manutenzione e alcune innovazioni, questo primo impianto ha funzionato con continuità fino alla fine del settembre 1938, quando la gestione della raccolta e del trattamento dei rifiuti passa alla Società attuale, la S.M.A.
Il secondo impianto, la cui realizzazione accanto al sito del primo era stata curata da questa stessa società, viene inaugurato nel marzo del 1939 e resta in funzione, senza interruzioni, fino al febbraio del 1980.
Anche questo impianto aveva due forni, con una capacità di distruzione non superiore al primo, ma privo di recuperatore di energia. In compenso era già provvisto di efficaci dispositivi di depurazione dei fumi, delle polveri e dei gas di combustione.

Nei primi mesi del 1980 viene inaugurato il terzo impianto con una capacità di incinerazione di 80.000 T/anno. Esso è tuttora in funzione, dopo aver subito delle notevoli trasformazioni innovative nel 1993.
Lo scopo principale di questi adeguamenti tecnologici era quello di ridurre ancora di più le emissioni di cloro e di metalli pesanti e perfezionare la filtrazione delle polveri presenti nei fumi all’uscita degli elettro-filtri, per portarsi al disotto dei limiti indicati dai regolamenti, già molto severi, della Comunità Europea, adottati anche dal Principato di Monaco.
Queste emissioni sono, nelle condizioni attuali di funzionamento, inferiori a quelle misurabili in un qualsiasi ambiente urbano a basso traffico.
L’energia termica recuperata è valorizzata in tre forme:

• l’elettricità;
• il caldo ed il freddo per il condizionamento degli edifici del quartiere;
• Il turbo-alternatore che produce l’energia elettrica ha una potenza di 2,6 megawatts. Il vapore che esce dalla turbina alimenta una centrale termofrigorifera per gli altri due usi.

A 18 km da Monaco-Montecarlo c’è Nizza, dotata anch’essa di un moderno impianto di trattamento, sufficiente per smaltire i propri rifiuti e quelli di altri comuni intorno. E che a pochi Km oltre Nizza c’è Antibes, anch’essa centro di un turismo internazionale e dotata di un proprio impianto di trattamento dei rifiuti urbani e industriali. E poi si potrebbe continuare.

Sabino Gallo, 29 dicembre 2017