Il 41-bis comprime i diritti fondamentali dell’individuo

Il rispetto dei diritti e delle libertà è garantito

Il provvedimento è chiamato “carcere duro” non a caso. Tuttavia, la logica di repressione e la risposta forte dello Stato non compromettono diritti e libertà dell’individuo.
Nel recente passato sono stati diversi i tentativi di sfuggire al regime del 41-bis. Avvocati, magistrati di sorveglianza, associazioni e, ovviamente, detenuti, hanno provato in tutti i modi a mettere in discussione la misura. Celebre il caso di Bernardo Provenzano, boss mafioso cui fu negata la scarcerazione. La Corte di Cassazione ha all’epoca bocciato, infatti, il ricorso incentrato sulla necessità di tutelare la salute del detenuto.

Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, ha posto l’accento sulle cure all’interno dell’ospedale, a qualche giorno dalla sentenza della Cassazione sul caso Riina: “Si tratta di una condizione che non abbassa il livello di cura, ma anzi assicura la stessa assistenza sanitaria degli altri reclusi, se non addirittura migliore” (Franco Roberti: “Riina deve rimanere al 41 bis, ha gravi problemi di salute ma resta il capo di Cosa nostra" “corriere.it”, 6 giugno 2017).

Spesso si simulano malattie o si lamenta la compressione di diritti per ottenere la liberazione

Non è raro imbattersi in richieste, ricorsi e proclami sostenuti da presunte compressioni di diritti o da malattie gonfiate dalle perizie.
Nando dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, assassinato il 3 settembre del 1982 a Palermo si è così espresso dopo la sentenza della Cassazione su Riina: “Non sono per il no di principio ma occorrono fior di perizie per decidere se effettivamente qualcuno stia davvero morendo e, di conseguenza, mandarlo a casa. Ne abbiamo avute troppe di perizie di comodo per non sapere come si riesca a restare anni e anni agli arresti domiciliari. Se si tratta di prendere uno e portarlo a casa perché sta morendo, va bene, ma siccome ci sono malati che improvvisamente si riprendono, ciechi che improvvisamente ci vedono, moribondi che danno ordini..." (Riina, le reazioni alla sentenza della Cassazione, “rainews.it”, 5 giugno 2017).

I moniti nazionali e internazionali

Il 41-bis ha origini lontane, come origini lontane hanno anche i moniti sollevati da alcuni organismi nazionali e internazionali. Corti italiane, tribunali europei e comitati si sono spesso schierati contro l’Italia e contro il provvedimento.
Per due volte, nel 1995 e nel 2000, il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.) ha rilevato condizioni di detenzioni particolarmente dure e ha evidenziato lo stato di privazione psichica e materiale in cui venivano a trovarsi i detenuti. Tra le altre cose le relazioni familiari erano scoraggiate sia nella frequenza che nelle modalità. Una situazione segnalata alle autorità italiane ma non recepita, perché nella seconda visita restava tutto immutato (Il regime del 41 bis, “abuondiritto.it”, 23 luglio 2014).

Repressione senza rieducazione

Tra l’esigenza di rendere il carcere impermeabile e gli abusi consumati nei confronti dei detenuti il passo non è breve ma lo è diventato. Una logica esclusivamente repressiva, contraria alla Costituzione e alla funzione rieducativa della pena. Vengono soddisfatte solo le funzioni retributive e repressive della sanzione, con un sacrificio ingiustificato dei principi costituzionali.
Vincenzo Fragalà, ex membro della Commissione Giustizia alla Camera di Alleanza Nazionale aggiunge: “La contraddizione risiede in una norma immaginata e poi approvata avendo di mira l’obiettivo di rendere impermeabile l’interno del carcere dall’esterno e che, invece, si è prestata a vessazioni e a veri e propri abusi per i quali la Corte Costituzionale è dovuta intervenire più volte…” (La vergogna del 41 bis, “laici.it”, consultato il 22 giugno 2017).

Il ritorno traumatico alla vita reale

Il soggetto viene chiuso in gabbia, isolato dal mondo esterno e non viene neanche preparato al “ritorno al mondo”.
Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, ha lamentato un’irragionevolezza sul fatto che i detenuti vengano sottoposti al regime speciale fino al giorno precedente l’uscita dal carcere: “Ciò appare davvero irragionevole, poiché vuol dire che nel giro di 24 ore una persona passa dal rappresentare un pericolo per la comunità al punto da richiedere un particolare regime di detenzione, a essere totalmente inoffensiva tanto da poter essere rimessa in libertà. Nel rispetto del principio della progressività del trattamento penitenziario, si raccomanda pertanto che sia garantito la cessazione dell’applicazione del regime di 41-bis per un tempo congruo in prossimità del fine pena” (Carceri, si riaccende il dibattito sul 41 bis, “lastampa.it”, 19 aprile 2016).

Limitazioni così importanti non sono sempre necessarie

Non sempre le limitazioni adottate dall’ordinamento giuridico nel 41-bis sono considerate necessarie, “si tratta di restrizioni che non sempre riflettono la necessità di impedire i contatti tra prigionieri e gruppi criminali, ma potenzialmente sconfinano nella pura vessazione” (Gregorio Romeo, Sepolti vivi: luci e ombre del 41-bis, il più duro regime carcerario italiano, “news.vice.com”, 29 giugno 2016). L’equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali ed esigenze di prevenzione e sicurezza è labile e deve essere meglio tarato.
La dignità dell’essere umano deve assumere un ruolo preminente, come sottolineato anche dagli addetti ai lavori. Sono tante le iniziative contro il 41-bis e a favore dei detenuti come essere umani detentori di diritti, anche da parte di avvocati e parte della magistratura. 

Inoltre, fare ricorso contro il 41-bis è estremamente complicato: “Il ricorso del detenuto contro il regime 41-bis è sottoposto al vaglio esclusivo del Tribunale di sorveglianza di Roma che, peraltro, molto raramente accoglie i reclami. Secondo alcuni osservatori, è a questo livello che il meccanismo del carcere duro presenta maggiori criticità, soprattutto quando si tratta di contestare i decreti di proroga del ministro della Giustizia” (Ibidem).

Claudio Alessandro Colombrita, 12 luglio 2017