Il 41-bis è una misura di emergenza, pertanto non può stabilizzarsi nel nostro ordinamento giuridico

Una risposta forte per un problema importante

Il 41-bis mantiene intatta la sua ratio originaria e rappresenta una risposta idonea alla criminalità organizzata. I collegamenti sul territorio, l’ascendente che i boss esercitano anche dal carcere, una rete organizzata nel minimo dettaglio e resistente ai colpi inflitti dalla giustizia, richiedono una misura perentoria e dai connotati forti.

Claudio Martelli, il ministro della Giustizia che all’epoca avallò con forza il provvedimento, ha affermato prima della sua deposizione al processo per la trattativa Stato-mafia: “La misura del 41 bis la scrivemmo Loris D'Ambrosio ed io, dissi di dare carattere di temporaneità al 41 bis in quanto giustificata da una particolare emergenza” (Mafia. Claudio Martelli "il 41 bis lo scrivemmo io e D'Ambrosio. Rimosso perché troppo contro i boss", “ossolanews.it”, 9 giugno 2016).

Le recenti polemiche sollevate dall’opinione pubblica non possono trovare fondamento. Un’attenuazione del 41-bis non è possibile perché, nel corso del tempo, si è già fatto molto per smussare un regime che deve essere necessariamente duro, per caratura dei destinatari e per raggiungere il suo scopo.

Troppi permessi vanno contro la misura

“Dall’inizio dell’anno i magistrati di Sorveglianza hanno disposto, sulla base di ‘emergenze’ espresse dai detenuti, diciassette permessi. Ognuno di questi viaggi organizzati dallo Stato costa circa ventimila euro alle casse pubbliche. Lo scorso anno sono stati venti i detenuti riportati a casa. Dal 1992, quando è stata introdotta la norma, al 2009, non ne era stato accordato nessuno” (Lirio Abbate, I boss col 41 bis vanno a casa: così tradiamo la memoria di Falcone, “espresso.repubblica.it”, 16 maggio 2017).

Troppo buonismo dunque, concessioni esagerate che costano tanto allo Stato e che rischiano di mettere a repentaglio la ratio della misura. Un’inversione di tendenza rispetto al passato, come se l’emergenza criminale fosse venuta nel frattempo meno.

Un’attenuazione che ha origini lontane, come ricordato anche da Martelli: “La strategia antimafia che era stata impostata è stata sostanzialmente abbandonata nei suoi presupposti, come il fatto di mettere i mafiosi più pericolosi al regime del 41 bis favorendo la loro collaborazione con lo Stato attraverso una legislazione premiale. Ho visto giorno dopo giorno smantellare una serie di iniziative, di atti che erano stati messi in campo che avevano dimostrato la loro efficacia tanto da portare all'arresto di Riina. Io e Scotti fummo rimossi perché avevamo esagerato nella lotta alla mafia, stavamo sulle scatole a tanti" (Mafia. Claudio Martelli "il 41 bis lo scrivemmo io e D'Ambrosio. Rimosso perché troppo contro i boss", “ossolanews.it”, 9 giugno 2016).

Da emergenza a stabilizzazione il passo è breve

Il 41-bis rappresenta la risposta forte dello Stato all’emergenza mafiosa degli anni Novanta. In un periodo tristemente noto per alcuni importanti omicidi, l’ordinamento giuridico italiano si è dotato di uno strumento repressivo assolutamente circostanziato. Inizialmente, ad essere colpiti dal provvedimento, sono stati solo i boss mafiosi ma ben presto esso ha assunto proporzioni maggiori, andando a coinvolgere, tra gli altri, reati di terrorismo ed eversione.
La misura non è mai stata ridiscussa, nonostante ci siano stati, e ci siano tutt’oggi, gli elementi per farlo.

La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, in un recente rapporto, ha sottolineato i profili controversi della normativa. Una norma che per un decennio ha disciplinato un regime detentivo caratterizzato dalla temporaneità non ben definita in termini di durata e di procedimenti connessi e che lascia troppi margini di discrezionalità al ministro della Giustizia (Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sul regime detentivo speciale indagine conoscitiva sul 41-bis, “senato.it”, aprile 2016).

Sembra dunque che la misura si sia protratta nel tempo ingiustificatamente, venendo meno il requisito necessario della straordinarietà. La situazione attuale potrebbe comportare un provvedimento meno rigido e più conforme nella risposta alla criminalità: “Il primo problema attiene al carattere contagioso dell’art. 41-bis che, nato come misura emergenziale, ha finito per stabilizzarsi nell’ordinamento, trasformando la propria straordinarietà in emergenza quotidiana.
Emergenza quotidiana è un ossimoro, perché unisce due parole dal significato opposto: infatti, come ebbe a definirla la Corte costituzionale in una sua storica decisione, l’emergenza, nella sua accezione più propria, è una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo. Qui il cerchio si chiude” (Andrea Pugiotto, Capitolo settimo: Tra verità (delle cose) e dimensione simbolica (del diritto)"il caso del regime di carcere duro del 41-bis", “ristretti.it”, consultato il 22 giugno 2017).

La reiterazione continua dei decreti

Una misura nata per periodi circoscritti di tempo, che è ben presto diventata un provvedimento definitivo, con la pratica della reiterazione dei decreti, anche senza giustificazioni concrete: “L’automaticità del reitero dei decreti è una prassi costante, un gioco dell’oca da cui esci solo se ti arrendi con il pentimento o con la morte. Il 41 bis ha provocato una serie di abusi non compatibili né con la nostra Costituzione, né con il nostro tema penitenziario, che prevede come fine della pena anche la rieducazione”, ha affermato Maurizio Turco, ex capogruppo deputati dei Radicali al Parlamento europeo, ora coordinatore della Presidenza e del Partito Radicale (Gaia Bay Rossi, La vergogna del 41 bis, “laici.it”, consultato il 22 giugno 2017).

Claudio Alessandro Colombrita, 11 luglio 2017