La riduzione dell’orario di lavoro è una soluzione intelligente che non può andare a discapito del salario dei lavoratori. Maggiore qualità si raggiunge anche grazie ad un equo contemperamento tra giuste ore e giusto compenso.
La riduzione di orario non dovrebbe comportare una riduzione di salario
“Ma se il lavoro è un mezzo, perché spendiamo più tempo per lavorare che per godere dei frutti di quel lavoro? Qualcosa non funziona come dovrebbe. Cos’è che non torna? Il tempo. Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo in assoluto. Il pavimento sul quale tutto il resto dell’esistenza si muove: senza il tempo non potremmo far nulla. C’è un problema: il tempo è incontrollabile e non ne conosciamo la quantità a nostra disposizione. La società capitalistica, per com’è strutturata oggi, è una tirannica ideologia destinata al declino; lento forse, ma inesorabile, perché per la sua necessità di sopravvivenza spinge inesorabilmente verso uno sviluppo tecnico e culturale senza precedenti, che porterà presto alla luce delle masse tutti gli squilibri e le ingiustizie su cui è basata” (Andrea Brandi, Meno lavoro, più tempo: il futuro che ci attende “starsailor.it”, consultato il 15 maggio 2017).
Una delle possibili soluzioni per raggiungere l’equilibrio è il reddito di cittadinanza, uno dei punti fermi del programma del Movimento 5 Stelle. Un reddito che prescinde dalla riconduzione al lavoro e che potrebbe risolvere parecchi problemi: “Ma se si produce più ricchezza, i salari sono gli stessi, e gli orari sono gli stessi, allora dove finisce quella ricchezza supplementare? Finisce nelle tasche di pochissimi investitori e azionisti, di quell'1% o 10% di privilegiati che concentrano la ricchezza mondiale. Ridurre gli orari significa allora riappropriarsi di quei benefici, del progresso scientifico e tecnologico che in questo momento va ad alimentare solo i profitti di pochi” .(Marco Craviolatti, #ProgrammaLavoro: Riduzione dell'orario di lavoro, “beppegrillo.it”, consultato il 15 maggio 2015).
Da un altro punto di vista, le 8 ore di lavoro sono strettamente collegate alla ricchezza. Chi più lavora, più spende, perché non si riescono a fare le cose sane, come lo sport, la lettura, una passeggiata per la natura. La settimana di 40 ore è una creazione fortemente voluta dalla società.
Autori citati:
Brandi Andrea
- blogger
Craviolatti Marco
- attivista sindacale, presidente dell’associazione Etica & Lavoro Pasquale Tavano
Rinunciare a qualcosa comporta inevitabilmente sacrifici. Meno ore di lavoro corrispondono ad un minor salario e, in un periodo difficile come questo, la strada sembra tutta in salita.
La riduzione dell’orario lavorativo non è sostenibile
“La riduzione dell’orario di lavoro comporta teoricamente l’allargamento della base occupazionale, ma se ciò avvenisse a parità di salario si prospetterebbe il pericolo di appesantire gli oneri dei datori di lavoro, indebolendo dunque la loro concorrenzialità. Perciò la riduzione della giornata lavorativa non può prescindere da una completa revisione della contrattazione collettiva, della dottrina giuslavorista e del sistema di Welfare State” (Enrico Traino, Lavoro: ridurre l’orario, utopia o necessità? “pandorarivista.it”, 5 marzo 2017).
Ci sono numerose esperienze di riduzione dell’orario di lavoro fallite. Si guardi a quello della Volkswagen, che prevedeva una contrazione dell’orario fino a 30 ore o il tentativo di intervento della Francia per contrastare la disoccupazione nel 1997. Il ministro dell’Occupazione e della Solidarietà di allora, Martine Aubry, presentò un progetto di legge per stabilire a 35 ore la durata della settimana di lavoro per le imprese con più di 10 addetti dipendenti. Le motivazioni presentate da Aubry furono: occupazione, risultati produttivi, tempo libero e negoziazione decentrata. Questo progetto di legge prevedeva ingenti incentivi statali, o alleggerimento del peso fiscale, alle imprese per incoraggiare l’assunzione a tempo lavorativo ridotto.
Anche questo esperimento, però, non andò in porto: “Il lavoro non è solamente per l’uomo uno strumento di soddisfazione dei propri bisogni, ma è anche un mezzo di realizzazione personale, di inserimento sociale, di conferma della propria identità e della propria utilità all’interno della società. Anche qualora si riuscisse a finanziare, l’erogazione a larghe fasce della popolazione in età lavorativa di un reddito slegato dallo svolgimento di un’attività lavorativa, diventerebbe strumento sì di sussistenza, ma anche di emarginazione sociale ed alienazione individuale. Invece che finanziare il ‘reddito di cittadinanza’, è necessario identificare strumenti attraverso i quali gli Stati finanzino la riduzione dell’orario di lavoro. I tentativi effettuati sinora – si guardi per esempio all’esperienza francese – erano infatti destinati al fallimento, in quanto comportavano la crescita del costo orario del lavoro, che in una economia globale produce perdita di competitività; è necessario invece che alla riduzione dell’orario di lavoro corrisponda una riduzione del costo dell’ora lavorata, e questa compensazione deve essere posta a carico della fiscalità”. (Enrico Traino, Lavoro: ridurre l’orario, utopia o necessità? “pandoravista.it”, 5 marzo 2017).