La riduzione dell’orario di lavoro è una soluzione inevitabile per un miglioramento della salute della popolazione

Il troppo lavoro è un rischio per la salute

Se ne parla da tempo, è un argomento sempre spinoso in cui si alternano periodi, opinioni e punti di vista. La riduzione dell’orario di lavoro è però un’esigenza sempre più pressante, dati i livelli di stress raggiunti dalla popolazione. Le 40 ore settimanali sono un macigno difficile da assorbire, come confermato anche dal Movimento 5 Stelle, che da sempre si spende per ottenere una rivalutazione dell’orario di lavoro nell’ottica del massimo di ore lavorate. Così Marco Craviolatti, attivista sindacale, autore del libro E la borsa e la vita: “La riduzione strutturale dell’orario avrebbe uno straordinario impatto sulla vita individuale e sociale, attenuando la diffusa alienazione (da lavoro e dalla sua mancanza) e liberando tempo e spazio mentale per lo sviluppo personale, la partecipazione sociale, l’attività di produzione e scambio non monetario” (Paolo Hutter, Ridurre l’orario di lavoro? L’idea rilanciata nel libro di Craviolatti, “ilfattoquotidiano.it”, 16 gennaio 2015).
Un ragionamento logico, lavorare meno per far lavorare tutti, lo stesso ragionamento che ha portato negli anni Settanta, a passare da 48 ore a 40 di lavoro, lo stesso che potrebbe condurre, auspicabilmente, ad un ulteriore abbassamento dell’orario.

Domenico De Masi, sociologo del lavoro, non mette in dubbio che questa svolta si verificherà, resta da sapere quando: “Dobbiamo decidere cosa vogliamo: ci teniamo 4 milioni di disoccupati, o riduciamo l’orario lavorativo e li recuperiamo? Già passando da 40 a 36 ore li riassorbiremmo. Invece facciamo i Jobs Act e i voucher, e ci teniamo i disoccupati” (Alessio Mannino, "Lavorare meno, lavorare tutti. Ma la domenica non è tabù", “vvox.it”, 18 dicembre 2016).

Una ricerca condotta da Marianna Virtanen della University College di Londra, pubblicata sulla rivista “PLoS ONE”, attesta che lavorare troppo raddoppia il rischio di commettere errori ed entrare in depressione. Sette o otto ore sono il massimo consentito non conta solo il numero di ore, ma anche la qualità del lavoro e il tempo dedicato al riposo: "Sono tante le situazioni a rischio", spiega all' Ansa Ferdinando Pellegrino, psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Salerno, esperto di psicologia del lavoro: "In primis si rischia grosso se si investe tutto sul lavoro dedicandogli ogni energia, perché lavorare solamente porta a perdere il contatto con la realtà". Oltre alla depressione c'è anche un rischio per la salute, perché si finisce per scoppiare. Senza considerare i rischi per gli altri se questo professionista è un medico o un controllore di volo. In certi mestieri, poi, non reggi ritmi e orari esagerati: se sei un oncologo pediatra a continuo contatto con la sofferenza, o lavori in rianimazione con turni massacranti a contatto con la morte tutti i giorni, la depressione può bussare alla tua porta. È bene dunque moderarsi quando possibile, evitando troppi turni e straordinari” (Lavorare troppo fa male, si rischia la depressione, “panorama.it”, consultato il 15 maggio 2017).

Claudio Alessandro Colombrita, 5 giugno 2017

La riduzione dell’orario lavorativo non è una soluzione

Le 40 ore settimanali rientrano nella logica di una società civile. Esistono diverse forme di accordi tra lavoratore e datore di lavoro per gestire al meglio il rapporto lavorativo e, in questo senso, la contrattazione collettiva è spesso venuta incontro alle esigenze di particolari categorie. Il tetto massimo di ore settimanali sembra congruo rispetto alle energie della forza lavoro. Un problema semmai potrebbe derivare dalla dislocazione delle suddette ore nell’arco di una giornata e al superamento dei limiti: “L’Italia è un Paese in cui il lavoro inutile ce lo inventiamo, trascinandoci magari una pratica proprio per giustificare una certa mole di (pseudo)impegno orario: saremmo disposti a lasciare prima l’ufficio senza il timore che questo possa magari costituire una premessa al licenziamento quando gli affari dovessero andare male” (Simone Cosimi, Svezia, perché la giornata lavorativa di 6 ore non è possibile ovunque, “wired.it”, 5 ottobre 2015).

Ridurre l’orario di lavoro può creare poi altri problemi, come confermato addirittura negli anni Trenta dall’economista John Maynard Keynes: “Nel giro di cento anni l’espansione della tecnologia nei paesi sviluppati avrebbe ridotto i tempi di lavoro a 15 ore alla settimana, e il nuovo problema da affrontare sarebbe diventato come occupare il tempo libero mentre l’amore per il denaro in sé, distinto dall’amore per il denaro come strumento per godere delle gioie della vita, sarà riconosciuto per quel che è: una sorta di disgustosa ossessione” (Annamaria Testa, Lavorare meno non sempre ha effetti positivi, “internazionale.it”, 5 ottobre 2015).

La salute degli italiani è compromessa per altri motivi, il lavoro, se inteso in modo sbagliato o esasperato, può contribuire notevolmente ad innalzare il livello di stress. “Dunque come si esce da questo circolo vizioso? No, per ora (purtroppo) non diminuendo l’orario di lavoro. O almeno, non in maniera generalizzata. Piuttosto, almeno in Italia, fornendo ai cittadini-lavoratori servizi all’altezza, dagli asili nido ai trasporti pubblici locali, che consentano di recuperare un qualche grado di felicità e soddisfazione evitando di trasformare la giornata lavorativa in un calvario. Alla base di quest’operazione ci sono lotta a elusione ed evasione fiscale, come dire il Santo Graal in un Paese che sottrae 180 miliardi l’anno alle casse dello Stato. Quindi ai cittadini e alla loro quotidianità” (Simone Cosimi, Svezia, perché la giornata lavorativa di 6 ore non è possibile ovunque, “wired.it”, 5 ottobre 2015).