I robot sottrarranno lavoro e dignità all’uomo

Allarme posti di lavoro, uno su due potrebbe essere a rischio

“Robot dotati di intelligenza artificiale potrebbero portare via all’uomo entro metà ventunesimo secolo il 50 per cento di tutti i posti di lavoro”. Così comincia l’articolo intitolato Allarme lavoro: i robot ruberanno il 50% dei posti scritto da Enrico Franceschini per “La Repubblica” il 16 febbraio 2016. L’avvertimento arriva dagli atti del congresso annuale dell’American Association for the Advancement of Science [Associazione americana per il progresso scientifico, TdR], tenutosi a Washington per discutere, tra le altre cose, anche di rischi e previsioni future per l’evoluzione di robotica e intelligenza artificiale. Per quanto concerne il progressivo utilizzo di macchine in molti settori del lavoro, lo scenario prefigurato dal Professor Vardi della Rice University, è quello di un incremento esponenziale della disoccupazione umana. Il professore di scienze informatiche si domanda dunque quale spazio di azione rimarrà agli umani se i robot ne prenderanno il posto nella stragrande parte delle occupazioni. Il problema, riporta Franceschini citando Vardi, sarebbe che l’uomo ha bisogno di lavorare perché del lavoro ne giova il benessere psicofisico. Ma in termini economici il lavoro delle macchine sta diventando sempre più conveniente rispetto alla manodopera umana, e la società, prosegue Franceschini, non sembra ancora aver sviluppato valide contromisure per contrastare o ancora meglio incanalare positivamente il fenomeno crescente, a sua volta parte di quella che viene spesso definita rivoluzione digitale. Su una posizione simile si colloca il pensiero del Professor Bart Seldman il quale, dal Future of Life Institute di Cambridge, ha scritto una lettera aperta ai governi mondiali per sollecitarli ad affrontare con maggior lucidità l’intera questione, ma soprattutto a prestare più attenzione all’approdo delle tecnologie legate all’intelligenza artificiale in ambiti diversi da quello della produzione industriale, come gestione aziendale e istituzionale.

Vox populi

Ma tra chi è convinto che il futuro del lavoro sarà dei robot a discapito degli esseri umani, non vi sono solo accademici e istituzioni della ricerca. Stando a quanto riportato da Robert McHugh per “Businessworld.ie” in data 27 febbraio 2017, basandosi sui dati prodotti nel corso di un report a opera di iReach Insight, addirittura l’81% degli irlandesi (o meglio l’81% del campione di studio di mille individui adulti), ritiene che l’automatizzazione porterà a una progressiva disoccupazione. Il 22% degli intervistati percepisce la minaccia come immediata, il 64% invece ne immagina gli effetti solo in un futuro più lontano. In generale il 50% dei soggetti pensa che l’automatizzazione si compirà nel giro di pochi anni, e solo il 7% è dell’idea che simili preoccupazioni siano immotivate anche sul lungo periodo (Robert Mchugh, 81% of irish Believe Job Automation Will Contribute to Unemployment [L’81% degli irlandesi crede che l’automatizzazione del lavoro contribuirà alla disoccupazione, TdR]). Sembra dunque che esistano movimenti di pensiero trasversali alle maglie sociali e che travalicano i confini nazionali che interpretano la crescente robotizzazione come un’effettiva minaccia da cui guardarsi e per la quale i governi dovrebbero attrezzarsi diversamente da quanto fatto fino a oggi.

 

Guglielmo Papagni, 30 maggio 2017

Per non diventare moderni luddisti

In un articolo scritto per “Techcrunch” il 13 maggio 2016, con il titolo Robots Won’t Just Take Jobs, They Will Create Them [I robot non solo si prenderanno i lavori, essi li creeranno, TdR], Minul Khan riporta come, secondo uno studio dell’Università di Oxford, entro i prossimi due decenni un americano su due potrebbe aver perso il proprio lavoro, il quale sarebbe svolto da macchine. Trasporti, logistica e amministrazione sarebbero i settori più coinvolti nelle prime fasi. Ma secondo l’autore, tanto le ipotesi distopiche su un mondo senza lavoro umano e di accentramento dei capitali nelle mani dei possessori delle macchine, quanto quelle sulla possibilità che i governi diano un reddito minimo garantito ai propri cittadini sarebbero fuorvianti o riduttive. “Penso che sia tempo di affrontare la cosa in maniera diversa” (TdR), afferma Khan, “i robot nella forza lavoro rappresentano un’opportunità per stimolare la crescita del lavoro e per crearne di nuovi” (TdR). Storicamente le innovazioni hanno portato alla nascita di nuove forme di industria e di laboriosità, ma altrettanto hanno sollevato dubbi e paure.

La rivoluzione positiva della stampa

Un caso esemplare secondo Minul Khan è rappresentato dall’invenzione della stampa introno alla metà del XV secolo, la quale con il suo avvento ha tendenzialmente messo fine all’era degli scrivani. Allo stesso tempo però, proprio grazie a questa invenzione, l’industria dei libri è potuta fiorire, e con essa sono nati un gran numero di nuovi lavori relativi alla manifattura, il trasporto, la vendita di libri. Successivamente, all’abbassarsi dei costi, anche il settore giornalistico ha trovato terreno fertile per crescere e prosperare portando con sé un’altra esplosione di nuove occupazioni. A priori probabilmente non in molti avrebbero immaginato simili risvolti, e questo non è nemmeno l’unico punto di forza che fa gioco alle teorie di Khan. Infatti, prosegue, in tempi più recenti qualcosa di simile è accaduto anche nel settore agricolo e in quello tessile.

La parabola del movimento luddista

In particolar modo da quest’ultimo è partito un movimento che è diventato l’emblema di atteggiamenti conservatori nei confronti delle innovazioni, il Luddismo. I luddisti si consideravano protettori dei lavoratori contro l’avvento delle macchine, e nel corso della rivoluzione industriale britannica portarono avanti la loro battaglia sabotando l’introduzione dei nuovi macchinari. Il fatto stesso, prosegue Khan, che al giorno d’oggi essere definiti luddisti rappresenti un insulto, è indicativo dell’utilità retrospettiva delle lezioni storiche. Quindi è plausibile pensare che in futuro i robot svolgeranno la maggior parte delle mansioni che oggi conosciamo, ma al contempo non siamo in grado di prevedere precisamente come si evolverà il mondo del lavoro. In merito a ciò però, argomenta l’autore, possiamo osservare già adesso come l’affermazione delle macchine “intelligenti” possa avere un’influenza positiva. Basti pensare che, senza tecnologie digitali, non assisteremmo alla proliferazione dei dipartimenti di information technology nelle università di tutto il mondo. “La tecnologia non ha creato solo dipartimenti e lavori all’intero delle compagnie, ma ha anche creato il bisogno di compagnie e business completamente nuovi” (TdR). In maniera simile a quanto fatto quasi sei secoli fa dall’introduzione delle tecnologie di stampa, “Nuovi lavori verranno creati in campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica come le nanotecnologie e la robotica. Noi non dobbiamo diventare moderni luddisti”, conclude Khan, “impauriti di perdere i nostri lavori e il nostro posto nella società a vantaggio dei robot. Al contrario, possiamo dargli il benvenuto, sapendo che renderanno le nostre vite più semplici, come sempre fa la tecnologia, e sapendo che proprio per il fatto di esistere, essi creeranno nuovi lavori”.