Il finanziamento pubblico è un’occasione importante per garantire risposte ai cittadini tramite un utilizzo equo delle risorse

“La storia del finanziamento pubblico è iniziata con le banane. Nel 1965 un senatore democristiano, Giuseppe Trabucchi, fu il destinatario di alcuni finanziamenti illeciti per facilitare il monopolio nel mercato dei frutti esotici da parte di un produttore. Qualche anno dopo alcuni partiti (Dc, Psi, Psdi, Pri) furono coinvolti nel cosiddetto scandalo 'petroli': ricevevano finanziamenti (non dichiarati) dall’Enel e dalle compagnie petrolifere. Per prevenire le cattive condotte venne varata, nel 1974, la ‘legge Piccoli’, approvata in soli 16 giorni e votata da tutti i partiti, tranne quello Liberale. La norma prevedeva la prima forma di finanziamento pubblico e diretto ai gruppi parlamentari”.(Guido Mariani, Finanziamento pubblico ai partiti: come funziona, “lettera43.it”, 13 dicembre 2013

Lo squilibrio del fascismo viene combattuto garantendo la possibilità a tutti i partiti di partecipare alla scena politica del Paese. Inoltre il pubblico è meglio del privato e ciò si desume anche dai rigidi paletti che sono stati introdotti per i finanziamenti privati, memori dei recenti scandali. Imposto un limite di 300 mila euro a persone e aziende, un obbligo di trasparenza su chi ha donato e ciò che ha donato.

“Gli aspetti che mi sembrano più interessanti sono due. Anzitutto aver previsto, come nelle migliori leggi degli altri paesi europei, che il finanziamento sia composto non solo da un contributo elettorale (proporzionale al numero degli eletti, e quindi al successo nelle elezioni), ma in parte anche come co-finanziamento, per cui il finanziamento pubblico premia i partiti più radicati nella società che riescono a raccogliere da essa quote associative o erogazioni. Il secondo aspetto positivo è che finalmente si lega il contributo pubblico alle regole interne. Vi deve essere uno statuto “conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti. Non è molto, ma è già qualcosa” (Robeto Bin, Costituzione, partiti e costo della politica, “www.robertobin.it”, 6 marzo 2017).

D’altronde, il condizionamento dei privati sui partiti, una volta messo in moto il meccanismo delle donazioni, si può evincere guardando il sistema statunitense. L’abolizione del finanziamento porta a fare politica solo i più ricchi. "Con l'abolizione del finanziamento pubblico faranno politica solo i Paperon de Paperoni. Non uno scenario idilliaco, ma sicuramente verosimile. Solo i personaggi in grado di assicurare da soli il funzionamento della macchina partitica si sarebbero dati alla politica, gli unici a poterselo permettere. Ci sono però altri modi per ottenere soldi: le microdonazioni dei sostenitori, gli incontri ‘costosi’ con il politico di turno, le grosse donazioni. Il che ci riporta rapidamente alla possibilità che la politica diventi dipendente (ancor di più) dagli interessi delle lobby e multinazionali” (Finanziamento pubblico e privato ai partiti: qual è meglio?, “polisblog,it”, 22 dicembre 2014).

 

Claudio Alessandro Colombrita, 25 aprile 2017

Secondo un’altra teoria, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è vantaggiosa per una migliore selezione dei candidati. Particolarmente polemico “L’Espresso” in un’inchiesta: “Il vocabolario Treccani non lascia dubbi sulla definizione di ‘rimborso’: ‘Il fatto di venire rimborsato di quanto si è speso’. Evidentemente il concetto non è altrettanto chiaro alla politica italiana, che chiama ‘rimborsi elettorali’ anche erogazioni assai superiori ai costi sostenuti. Tanto da aver consentito, da quando è nata la Seconda Repubblica, che nelle casse dei partiti affluisse un utile di 1 miliardo e 753 milioni. Una ‘cresta’ che in 21 anni è costata ai contribuenti 230 mila euro al giorno compresi i sabati, le domeniche e i festivi. (Rimborsi, la grande abbuffata dei partiti Un tesoro incassato coi contributi pubblici, “espresso.repubblica.it”, 15 maggio 2015).

I numeri fanno paura: di fronte ai 727 milioni per le campagne elettorali dal 1994 a oggi, i partiti hanno incassato 2 miliardi e mezzo. Per ogni 100 euro impiegati, in pratica, lo Stato ne ha “rimborsati” 341: quasi tre volte e mezzo la somma effettivamente utilizzata. Una vera e propria truffa legalizzata, avallata dai recenti scandali come quello di Lusi e Belsito. Il contatto tra Stato e partiti nuoce al sistema perché anche all’interno dello Stato ci sono mele marce.

Tangentopoli è un caso eclatante, che ha spinto i cittadini a schierarsi con vigore contro il finanziamento pubblico.
I cittadini si sono espressi con un referendum ma sono stati ancora una volta raggirati perché è cambiato solo il nome, adesso si chiama rimborso.
I dati forniti da”L’Espresso” sono impressionanti, si parla addirittura di un Silvio Berlusconi che avrebbe incassato 700 milioni di euro con Forza Italia e Pdl, in circa 15 anni e di un Pd (inteso come famiglia allargata del centrosinistra) Paperone con circa 770 milioni. Poi tanti partiti meteore premiati di volta in volta per le loro brevi apparizioni. Non è possibile, in un periodo di crisi del genere, chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini. La riforma di Letta del 2012 è stato un passo importante, forse decisivo in questa logica e la soddisfazione dell’ex premier dell’epoca ne è una testimonianza: “Avevo promesso l’abolizione finanziamento pubblico partiti. Ora manteniamo la promessa” (Enrico Letta, Twitter, 13 dicembre 2013).

“Dall’altro lato, il vantaggio di un sistema privato di finanziamento è di carattere informativo: i finanziatori privati potrebbero essere più capaci di individuare quei candidati maggiormente adatti come politici, pagare contributi elettorali solo a questi e dunque aumentando le possibilità che essi vincano, a motivo delle maggiori risorse a disposizione. Dal punto di vista strategico, coloro che finanziano le campagne elettorali hanno convenienza a scegliere candidati di buona qualità in quanto si tratta di un ‘investimento’ migliore rispetto a candidati peggiori, il cui livello qualitativo più basso con una certa probabilità potrebbe essere rivelato agli elettori ed indurli a non votarlo. Puntare i propri soldi su un politico di qualità più bassa espone a un rischio maggiore di vedere sfumato l’investimento, quando per l’appunto accade che tale qualità sia rivelata a tutti. Un sistema di finanziamenti pubblici alla politica si basa solitamente su criteri di assegnazione predeterminata, per cui questo meccanismo positivo di segnalazione della qualità dei politici può realizzarsi solo nell’ambito di un sistema basato su contributi privati. Dall’altro lato la speranza –talora pesantemente velleitaria- è che un finanziamento pubblico eviti il rischio di politiche catturate dai finanziatori privati delle campagne elettorali” (Riccardo Puglisi, Finanziamento ai partiti: meglio l’uovo oggi della gallina domani ,“lavoce.it”, 13 dicembre 2013).